Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11621 del 26/05/2011

Cassazione civile sez. III, 26/05/2011, (ud. 27/04/2011, dep. 26/05/2011), n.11621

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9072/2009 proposto da:

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI FEDERICO II DI NAPOLI in persona del Rettore

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da

cui è difesa per legge;

– ricorrente –

contro

P.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA MARTIRI DE LA STORTA 39, presso lo studio dell’avvocato GIGLIO

PANARIELLO Francesca, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GOMEZ D’AYALA GIULIO giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

ASL/(OMISSIS) NAPOLI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3931/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

Sezione Quarta Civile, emessa il 10/102018, depositata il 14/11/2008,

R.G.N. 1795/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

27/04/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO SEGRETO;

udito l’Avvocato MAURO BIGI per delega dell’Avvocato GIULIO GOMEZ

D’AYALA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 27.2.2002 P.A. conveniva davanti al tribunale di Napoli l’Università degli Studi Federico II di Napoli e la ASL Napoli (OMISSIS), per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni conseguenti ad un intervento chirurgico alla spalla destra, erratamente eseguito, presso la clinica ortopedica dell’Università di Napoli il (OMISSIS).

Il tribunale, con sentenza del 6.2.2004, dichiarava il non luogo a provvedere nei confronti della ASL NA (OMISSIS) e condannava l’Università convenuta al risarcimento dei danni alla persona liquidati in Euro 51645,00, oltre interessi e rivalutazione.

Proponeva appello l’Università, assumendo il suo difetto di legittimazione passiva e ritenendo che la stessa appartenesse alla regione Campania.

La corte di appello di Napoli, con sentenza depositata il 14.11.2008, rigettava l’appello.

Riteneva la corte di merito che, nonostante che alla regione competessero l’attuazione dei piani sanitari regionali e l’esecuzione dei servizi sanitari, poichè la P. si era sottoposta ad intervento chirurgico presso la clinica dell’Università, quest’ultima era responsabile dei pretesi danni, poichè la prestazione d’opera professionale era stata richiesta a tale clinica universitaria e quindi al suo personale (con responsabilità ex art. 1228 c.c.).

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Università Federico II. Resiste con controricorso P.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 833 del 1978, art. 39, del D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 6, 8 sexies e 9, D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 35; del D.Lgs. n. 517 del 1999, artt. 1 e 2, L. n. 428 del 1990, art. 6, comma 2; art. 1228 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente deduce, sulla base della suddetta normativa, il difetto di legittimatio ad causam dell’Università, a cui non sarebbe imputabile l’evento dannoso, in quanto le facoltà universitarie di medicina concorrono, in rapporto di convenzionamento, all’attuazione dei piani sanitari regionali svolgendo attività socio-sanitaria, che si compenetra con la funzione didattica e di ricerca.

Secondo la ricorrente la responsabilità per eventi dannosi derivanti dall’espletamento dell’attività sanitaria da parte delle cliniche delle Facoltà universitarie di medicina, operanti in regime di convenzionamento, ricadrebbero esclusivamente sulle regioni, che hanno competenza legislativa ed amministrativa in materia sanitaria e che, allorchè si avvalgono dell’attività delle Università, adottano l’istituto della “avvalimento”, per ragioni di esigenze organizzative, con la conseguenza che la responsabilità rimane a carico dell’Ente avvalente, e cioè la Regione.

1.2.Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del motivo per violazione dell’art. 366 bis c.p.c..

Infatti il quesito di diritto proposto è adeguato al paradigma normativo.

2.1. Il motivo è infondato.

Va anzitutto precisato che, diversamente da quanto sostenuto dall’odierna ricorrente ed indicato anche nell’impugnata sentenza, non viene nel caso in rilievo una questione di legittimazione processuale (passiva) bensì di titolarità sostanziale del rapporto (v. Cass. 12/2/2008, n. 3269).

Risponde infatti a consolidato principio che la legitimatio ad causarti, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la indicazione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del Giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento (v.Cass., 30/5/2008, n. 14468).

Laddove la titolarità della situazione giuridica sostanziale, SLttiva e passiva, si configura invero come una questione che attiene al inerito della lite, rientrando nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata (v. Cass., 6/3/2006, n. 4796).

La legittimazione ad agire costituisce allora una condizione dell’azione per ottenere dal Giudice una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrarsi esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’attore, prescindendo dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa.

Appartiene invece al merito della causa, concernendo la fondatezza della pretesa, l’accertamento in concreto se l’attore e il convenuto siano, dal lato attivo e passivo, effettivamente titolari del rapporto fatto valere in giudizio (v. Cass., 30/5/2008, n. 14468).

2.2. Orbene, nel caso, a fronte della domanda proposta dall’attrice di risarcimento dei danni asseritamente subiti in conseguenza dell’intervento ortopedico effettuato presso la clinica dell’Università Federico II di Napoli, viene in rilievo il rapporto insorto tra tali soggetti.

La doglianza non attiene allora certamente alla dedotta legitimatio ad causam, attenendo essa all’identificazione del soggetto cui spetta la prestazione dovuta (cfr. Cass., 2 agosto 2005, n. 16158), e pertanto all’accertamento in concreto dell’effettiva titolarità del rapporto sostanziale insorto tra le parti e fatto valere in giudizio (v. Cass., 18 novembre 2005, n. 24457).

La questione è quindi di merito.

3.1.Al riguardo va sottolineato che come questa Corte ha già avuto modo di affermare, l’accettazione del paziente in una struttura (pubblica o privata) deputata a fornire assistenza sanitaria – ospedaliera, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità, laddove la responsabilità del medico dipendente dell’ente ospedaliero verso il paziente è fondata sul contatto sociale instaurantesi tra quest’ultimo ed il medico chiamato ad adempiere nei suoi confronti la prestazione dal medesimo convenuta con la struttura sanitaria, che è fonte di un rapporto il quale quanto al contenuto si modella su quella del contratto d’opera professionale, in base al quale il medico è tenuto all’esercizio della propria attività nell’ambito dell’ente con il quale il paziente ha stipulato il contratto, ad essa ricollegando obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi emersi o esposti a pericolo in occasione del detto “contatto”, e in ragione della prestazione medica conseguentemente da eseguirsi (v. Cass., 13/4/2007, n. 8826).

3.2. Sotto altro profilo, ai fini dell’individuazione del soggetto con il quale il paziente conclude il contratto di ricovero (e perciò del soggetto cui si renda riferibile la responsabilità civile derivante dal relativo inadempimento) non può invero prescindersi dalla considerazione di accordi eventualmente stipulati da una Università con strutture deputate a fornire assistenza sanitaria per la gestione di specifici istituti universitari.

E’ infatti noto che l’Università è posta a tale stregua in grado di svolgere, su richiesta di pubbliche amministrazioni o di privati, (anche) analisi, prove, controlli ed esperienze, compatibilmente con l’attività scientifica e didattica di essa propria.

Come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo, dell’assistenza ospedaliera svolta attraverso cliniche ed istituti universitari di ricovero e cura è menzione nella L. 12 febbraio 1968, n. 132, art. 1, comma 3 (recante disciplina degli enti ospedalieri e dell’assistenza ospedaliera), mentre l’apporto delle facoltà di medicina alla realizzazione degli obiettivi della programmazione sanitaria regionale nel settore assistenziale è indicato alla L. n. 833 del 1978, art. 39, istitutiva del servizio sanitario nazionale (Cass., 1/9/1999, n. 9198).

Nell’ambito della disciplina posta nel tempo dalle suindicate leggi le convenzioni risultano configurate quale strumento per consentire alle amministrazioni universitarie di far funzionare le cliniche universitarie come strutture ospedaliere (R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, art. 30; L. 12 febbraio 1968, n. 132, art. 50; D.P.R. 27 marzo 1969, n. 129, art. 4; L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 39; D.M. 9 novembre 1982; D.M. 12 maggio 1986).

3.3. Non vi è dubbio che sia le norme predette che quelle indicate dalla ricorrente, e cioè il D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 6, 8 sexies e 9; D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 35; D.Lgs. n. 517 del 1999, artt. 1 e 2; L. n. 428 del 1990, art. 6, comma 2 (anche se quelle del D.Lgs. n. 368 del 1999, non sono applicabili alla fattispecie ratione temporis, essendo l’evento verificatosi nel 1994) diano luogo ad un quadro di riferimento, secondo cui: a) le facoltà di medicina e chirurgia, concorrono, sulla base di un rapporto di convenzionamento, all’attuazione dei piani regionali sanitari; b) le funzioni amministrative e legislative in materia sanitaria e regionale spettano alle regioni; c) le regioni provvedono al sostegno delle attività svolte dalle università in tale ambito, attraverso il fondo sanitario e regionale.

Tuttavia da ciò non può trarsi l’equazione, sostenuta dalla ricorrente, secondo cui poichè la regione Campania è l’ente istituzionalmente deputato alla realizzazione dei programmi amministrativi e legislativi di assistenza sanitaria ed ospedaliera, su di essa ricade esclusivamente la responsabilità “contrattuale” per gli inadempimenti causati ai pazienti nell’ambito dell’attività chirurgica esperita presso cliniche universitarie con essa convenzionate.

3.4. Il convenzionamento delle facoltà di medicina con la regione, per l’attuazione dei piani regionali sanitari, non comporta di per sè il trasferimento all’Ente territoriale anche della gestione delle cliniche universitarie, in mancanza di un espressa disposizione in tal senso. Infatti solo la diretta gestione della clinica costituisce l’elemento idoneo ad individuare il soggetto titolare del rapporto instaurato con il paziente e conseguentemente a fondare la correlativa responsabilità (Cass. 1/9/1999, n. 9198).

Orbene nella fattispecie nè la sentenza impugnata nè la stessa ricorrente hanno mai assunto che per effetto della convenzione tra regione Campania ed Università la gestione delle cliniche universitarie fosse direttamente effettuata dalla regione, sia pure limitatamente all’attività di assistenza sanitaria.

4.1. Nè a diverso risultato porta l’assunto della ricorrente secondo cui tale conseguente diretta responsabilità della regione deriverebbe dall’istituto dallo “avvalimento” adottato dalla regione attraverso il convenzionamento con l’Università relativamente alle cliniche.

E’vero che la ratio giustificatrice del ricorso allo “avvalimento” è da rinvenirsi in esigenze di carattere organizzatorio connesse o a carenze strutturali od organico dell’ente avvalente, ovvero alla tecnicità o specializzazione dei mezzi e del personale, dei cui uffici esso si avvale, o alla maggiore vicinanza di quest’ultimo al bacino di utenza dell’attività o dei mezzi che il primo è tenuto ad erogare.

Ma proprio perchè si versa in ipotesi di avvalimento non si ha una gestione diretta da parte dell’avvalente della struttura organizzativa di cui ci si avvale, con la conseguenza che permane la responsabilità del titolare di tale struttura per i danni contrattuali o extracontrattuali a quest’ultimo imputabili nell’espletamento dell’attività per cui è stato richiesto l’avvalimento.

4.2.Considerando più in generale l’istituto dell’avvalimento, va osservato che esso è divenuto un istituto di portata generale del diritto comunitario, in tema di contratti di appalti pubblici, e si sostiene pacificamente in dottrina e giurisprudenza amministrativa che l’impresa ausiliaria non è semplicemente un soggetto terzo rispetto al contratto d’appalto, dovendosi essa impegnare non soltanto verso l’impresa concorrente ausiliata, ma anche verso l’amministrazione aggiudicatrice a mettere a disposizione del concorrente le risorse di cui questi sia carente.

Per l’effetto l’istituto dell’avvalimento espone a responsabilità contrattuale per inadempimento l’impresa ausiliaria non solo nei confronti dell’ausiliata, ma anche nel confronti dell’amministrazione appaltante, sia pure sulla base di titoli diversi.

4.3. Eguale meccanismo operativo si verifica, ove si voglia ritenere operante il sistema dell’avvalimento anche nell’attività di assistenza sanitaria prestata dalle cliniche universitarie, in ipotesi di ricovero e quindi di conclusione del contratto atipico di spedalità tra il paziente e la clinica universitaria. Nel caso in cui la gestione della clinica è effettuata direttamente dall’Università, sia pure in regime di convenzionamento (come generalmente avviene), il contratto atipico di spedalità è appunto concluso con l’accettazione del paziente nella struttura sanitaria e, quindi, con il soggetto che tale struttura gestisce, nella specie l’Università.

L’inadempimento della prestazione dovuta per effetto di tale contratto comporta la responsabilità dell’Università quale parte contrattuale nei confronti del creditore della prestazione (il paziente) ed eventualmente una responsabilità della stessa nei confronti della regione sulla base del rapporto di convenzionamento.

Se poi accanto a tale responsabilità contrattuale dell’Università nei confronti del paziente (nell’ambito del contratto di spedalità atipico), possa configurarsi anche una responsabilità solidale della regione, come ipotizzato dalla resistente, stante la presenza di una contitolarità delle obbligazioni contrattuali nei confronti del paziente assistito, è questione che non rileva in questa sede, essendo stato l’appello proposto dalla sola Università e non avendo questa proposto alcuna domanda di rivalsa nei confronti del preteso condebitore solidale, (cfr. Cass. 02/02/2006, n. 2266).

5. Il ricorso va, pertanto, rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dalla resistente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dalla resistente e liquidate in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2011

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