Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11621 del 11/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 11/05/2017, (ud. 23/01/2017, dep.11/05/2017),  n. 11621

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 373-2013 proposto da:

D.A.R., elettivamente domiciliata in ROMA VIA P.L. DA

PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato MARCO PROSPERETTI, che

la rappresenta e difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI ROMA (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 148/2011 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 23/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/01/2017 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

udito per il ricorrente l’Avvocato PROSPERETTI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del ricorso (v.

sanzioni).

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con avviso di liquidazione di imposta e irrogazione di sanzioni n. (OMISSIS), notificato ad T.A.R. in data 27.5.2006, l’Agenzia delle entrate revocava le agevolazioni fiscali previste per l’acquisto della “prima casa” applicate in sede di registrazione dell’atto di compravendita del (OMISSIS), in ragione delle caratteristiche di lusso del bene. La contribuente presentava ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che veniva accolto con sentenza n. 126/24/09, depositata il 31 marzo 2009, atteso che la liquidazione dell’imposta di registro era soggetta a decadenza triennale e, nella specie, non era applicabile la proroga dei due anni. L’Agenzia delle Entrate presentava appello innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale del Lazio, che veniva accolto con sentenza n. 148/20/11.

Propone ricorso per la cassazione della sentenza T.A.R., svolgendo cinque motivi. Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando in rubrica: “Nullità della sentenza per violazione del giudicato interno e per omessa pronuncia sul primo motivo di appello (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, atteso che la tardività della notifica dell’avviso opposto con conseguente decadenza dell’Agenzia delle Entrate, aveva costituito la ragione fondamentale della pronuncia di primo grado e specifico (primo) motivo di impugnazione sollevato dall’Agenzia delle entrate, la quale aveva dedotto l’applicabilità al caso di specie della proroga biennale, L. n. 289 del 2002, ex art. 11 e, quindi, la tempestività dell’azione dell’Ufficio. La ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per contrasto con il giudicato interno.

Rileva, altresì, la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia, non avendo il giudice di appello provveduto a decidere una questione preliminare attinente l’intervenuta decadenza dell’Ufficio dalla potestà di liquidare l’imposta, questione sollevata con specifico motivo di appello, in quanto essa aveva rappresentato la ragione dell’accoglimento del ricorso di primo grado.

1.1. Il motivo è inammissibile per totale carenza di autosufficienza. Con specifico riferimento al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 è stato più volte ribadito da questa Corte che l’attribuzione al giudice di legittimità del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito non è sufficiente a consentire il vaglio del denunciato vizio procedurale essendo, invece, necessaria e preliminare a quell’esame la verifica dell’ammissibilità del motivo di censura sotto il profilo della sua specificità ed autosufficienza, perchè “solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed alla interpretazione degli atti processuali” (Cass. Sez. 5, n. 12664 del 2012; Cass. Sez. L. n. 896 e n. 8008 del 2014).

In buona sostanza, quando viene denunciato un vizio procedurale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, riguardante atti dei precedenti gradi di giudizio di merito, la Corte, che è anche giudice del fatto, può accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito se in tal senso sollecitato dalla parte, ma non in base a qualsiasi generica deduzione di nullità, formulata in termini meramente assertivi, ma, in conformità al requisito di autosufficienza del ricorso che trova fondamento normativo nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, soltanto a seguito di una specifica allegazione dei fatti processuali e dunque di una completa ricostruzione della vicenda processuale attraverso la trascrizione del contenuto di quegli atti che, in relazione alla sequenza processuale, consentono di fornire una chiara rappresentazione del vizio denunciato (Cass. n. 12664 del 2012).

Onere a cui la parte ricorrente non ha ottemperato.

Nello sviluppo del motivo la ricorrente deduce, altresì, la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia in ordine al primo motivo di appello proposto dall’Agenzia delle Entrate concernente la decadenza dell’Ufficio dal potere stesso di liquidare l’imposta pur oggetto di specifico punto di impugnazione.

La doglianza è infondata. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, quando la censura attiene, come nel caso qui vagliato, all’omessa pronuncia, è stata affermata la necessità, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od una eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente, ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione (cfr. Cass. n. 23420 del 2011, che richiama in motivazione anche Cass. n. 7194 del 2000; n. 6361 del 2007; n. 21226 del 2010).

Nel caso in esame, il ricorso è sommamente carente sotto i suindicati profili, in quanto la ricorrente si limita a illustrare i motivi di censura, omettendo di trascrivere il contenuto del ricorso di secondo grado richiamato e le deduzioni difensive proposte innanzi al giudice del merito con riferimento a questa specifica doglianza, limitandosi a trascrivere il contenuto della sentenza di primo grado, e imputando al giudice della CTR di aver omesso di pronunciarsi sul punto.

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata, denunciando in rubrica: “Violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 11 in relazione alla L. n. 212 del 2000, art. 3 per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio relativamente alla ritenuta applicabilità della proroga biennale (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)”. Deduce parte ricorrente che pur volendo ritenere che vi sia stata una pronuncia implicita di accoglimento del primo motivo di appello con il quale l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto l’applicabilità della proroga biennale con conseguente tempestività della notifica dell’avviso di liquidazione, in assenza di tale pronuncia, il giudice di appello non avrebbe potuto esaminare la fondatezza della pretesa, essendo rispetto ad essa certamente preliminare la questione della decadenza dalla potestà dell’Ufficio ed essendosi su di essa già formato il giudicato. Ne consegue, pertanto, la violazione della L. n. 289 del 2002, art. 11 che riguarda esclusivamente le ipotesi espressamente previste dal legislatore, non ricorribili nel caso in esame. Sostiene, inoltre, la cassazione della sentenza, atteso che il giudice di appello non ha espresso alcuna motivazione a sostegno della ipotizzata pronuncia implicita di accoglimento della tesi dell’appellante, in ordine all’applicabilità della proroga biennale del termine di liquidazione alla fattispecie de quo, rappresentando essa questione controversa e decisiva per il giudizio.

2.1. A voler tacere dei profili di inammissibilità del motivo per totale carenza di autosufficienza, in quanto non vengono trascritti in ricorso gli atti del giudizio di merito su cui la censura si fonda, il motivo è comunque infondato. Questa Corte ha affermato a tale riguardo che: “La proroga di due anni dei termini di accertamento, previsti dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 11, comma 1, in caso di mancata o inefficace presentazione della domanda di condono nei termini, si applica anche alle ipotesi di liquidazione delle imposte dovute in conseguenza al recupero fiscale per le violazioni di norme in tema di agevolazioni tributarie, in quanto la L. n. 289 cit., art. 11, comma 1 bis, ne consente la condonabilità” (Sez.5, n. 21280 del 18.9.2013).

In riferimento alla medesima questione Sez. 5 n. 1248 del 22.1.2014 ha affermato che: “La proroga di due anni, L. 27 dicembre 2002, n. 289, ex art. 11, comma 1, del termine, di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 76, comma 1 bis, per la rettifica e la liquidazione della maggiore imposta di registro, ipotecaria e catastale, sulle successioni e donazioni, nonchè sull’incremento di valore degli immobili, non è preclusa dalle previsioni della L. 27 luglio 2000, n. 212, atteso che queste ultime, pur costituendo criteri guida per il giudice nell’interpretazione ed applicazione delle norme tributarie, anche anteriori, non hanno rango superiore alla legge ordinaria, sicchè ne è ammessa la modifica o la deroga, purchè espressa (come nella specie) e non ad opera di leggi speciali, non potendosi, conseguentemente, disporre la disapplicazione di una disciplina con esse in asserito contrasto”.

3. Con il terzo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando in rubrica: “Nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla carenza di motivazione dell’avviso di liquidazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, non avendo il giudice di appello detto alcunchè con riguardo alla carenza di motivazione dell’avviso di liquidazione, carenza che era stata lamentata ed argomentata dalla contribuente in primo ed in secondo grado, in tutti gli atti depositati, ed era stata altresì evidenziata dal giudice di primo grado.

3.1. A disparte dei profili di inammissibilità delle doglianze per carenza di autosufficienza – non essendo stato trascritto il contenuto degli atti del giudizio di merito richiamati, oltre al fatto che la censura, come proposta appare inammissibilmente funzionale più alla illustrazione del contenuto dell’atto impugnato, che alla critica della sentenza – il motivo è infondato.

Nella specie non sussiste il vizio di omessa pronuncia, atteso che la sentenza della CTR esplicitamente conferma la legittimità dell’avviso di liquidazione impugnato sostenendo che:”l’immobile è di lusso ai sensi del D.M. 2 agosto 1969, art. 6, in quanto unità di abitazione con superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posto macchina)”.

4. Con il quarto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando in rubrica: “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio relativamente alla carenza di motivazione dell’atto impugnato (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)”, posto che, se la Commissione Tributaria Regionale avesse deciso di ritenere motivato l’avviso di liquidazione, ribaltando il giudizio espresso dal giudice di primo grado, avrebbe dovuto darne adeguata motivazione.

4.1. Il motivo è inammissibile.

Per costante indirizzo di questa Corte, l’inammissibilità del motivo sussiste quando, come nella specie, presentando congiuntamente in rubrica due motivi di censura, non esibisca sufficiente specificità, che è la caratteristica che principalmente contraddistingue l’impugnazione in sede di legittimità. In questo modo si rimette alla Corte il compito di isolare le singole censure, teoricamente suscettibili di valutazione, onde ricondurle poi ad uno dei mezzi di impugnazione enunciati in rubrica, nonchè, una volta fatto ciò, di ricercare, nel caso di vizio di motivazione, di quale vizio si tratterebbe. Una tale impostazione che assegna al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse, è inammissibile perchè sovverte i ruoli dei diversi soggetti del processo (Cass. n. 19443 del 23.8.2011; Cass. n. 12248 del 20.5.2013; Cass. n. 9723 del 23.4.2013). Ai fini dell’ammissibilità è necessario che la formulazione del motivo permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi singolarmente numerati (Cass. 6 maggio 2015, n. 9100).

5. Con il quinto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando in rubrica: “Violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1 e art. 58, comma 2, con riferimento alla L. n. 212 del 2000, art6. 7 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, per aver accolto l’appello sulla base delle risultanze di una perizia redatta dall’Agenzia del territorio in data 8.7.2009, a distanza di tre anni dalla emanazione dell’avviso di liquidazione, ed aver ritenuto detta produzione documentale tempestiva nel giudizio di appello.

5.1. Anche con riferimento a questo motivo vanno riproposti i rilievi di inammissibilità già evidenziati, stante la totale carenza di autosufficienza per omessa trascrizione in ricorso del contenuto degli atti difensivi richiamati. Il motivo è, altresì, infondato.

In realtà la produzione per la prima volta in appello della perizia redatta dall’Agenzia del territorio, valorizzata dalla CTR ai fini della decisione, non può ritenersi effettuata, come prospettato dalla ricorrente, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 1. Quanto ai limiti del potere di disposizione di nuove prove, la giurisprudenza di questa Corte (cfr. più di recente, Cass. Sez. 5, n 6351 del 2016, con riferimento alla possibilità di deposito in appello di perizia estimativa dell’UTE; e Cass. Sez. 5, ord. 11.11.2011, n. 23590), riconduce la produzione di consulenza estimativa al deposito di nuovi documenti consentiti ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, norma speciale del processo tributario, che deroga alla norma del codice di rito (art. 345 c.p.c., comma 3) in tema di preclusioni documentali nel giudizio di appello.

6. Sulla base dei rilievi espressi, la sentenza impugnata non può essere censurata, se non nella parte relativa alla debenza delle sanzioni, questione fatta oggetto di impugnazione implicita da parte della contribuente, la quale ha contestato in toto l’atto impugnato.

La Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonchè dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione della decisione di merito (Cass. S.U. n. 2731 del 2017).

6.1. Orbene, va precisato che i presupposti della revoca dell’agevolazione prima casa permangono integri anche alla luce dello jus superveniens di cui al D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 1, lett. a) il quale, nel sostituire l’art. 1, comma 1 della Parte Prima Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, ha sancito il superamento del criterio di individuazione dell’immobile di lusso – non ammesso, in quanto tale, al beneficio “prima casa” sulla base dei parametri di cui al D.M. LL.PP. 2 agosto 1969. In forza della disposizione sopravvenuta, infatti, l’esclusione dalla agevolazione non dipende più dalla concreta tipologia del bene e dalle sue intrinseche caratteristiche qualitative e di superficie (individuate sulla base del suddetto D.M.), bensì dalla circostanza che la casa di abitazione oggetto di trasferimento sia iscritta in categoria catastale A1, A8 ovvero A9 (rispettivamente: abitazioni di tipo signorile; abitazioni in ville; castelli e palazzi con pregi artistici o storici). Al fine di allineare allo stesso criterio dell’imposta di registro anche l’agevolazione “prima casa” attribuita con aliquota Iva ridotta, il legislatore è poi intervenuto con il D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 33 che, nel modificare il n. 21 della Tab. A, Parte 2, all. al D.P.R. n. 633 del 1972, ha espressamente richiamato il “criterio catastale”; con il risultato che anche l’agevolazione Iva è esclusa (indipendentemente dalla sussistenza di tutti gli altri requisiti) per gli immobili rientranti in una delle suddette categorie.

Ne consegue che il nuovo regime trova applicazione ai trasferimenti imponibili realizzati successivamente alla modificazione legislativa; e, in particolare, successivamente al 1 gennaio 2014, come espressamente disposto dal D.Lgs. n. 23 del 2011 cit., art. 10, comma 5. Il trasferimento dedotto nel presente giudizio, antecedente a questo discrimine temporale, continua pertanto ad essere disciplinato in base alla previgente disciplina, come detto incentrata sui requisiti del citato D.M..

6.2. Fermo dunque restando il pregresso regime impositivo sostanziale, si ritiene – dando con ciò continuità a quanto stabilito, in identica fattispecie, da Cass. ord. n.13235 del 2016 – che una diversa soluzione si imponga, invece, per quanto concerne le sanzioni applicate con l’atto qui impugnato.

In proposito, si ravvisano i presupposti per l’applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 2 secondo cui, in materia di sanzioni amministrative per violazioni tributarie: “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato”.

La ricorrenza del principio di legalità e di favor rei in materia tributaria – già ampiamente valorizzato, in presenza di sanzioni amministrative di sostanziale valenza penale, anche ex art. 49 della Carta dei diritti fondamentali UE, e ex art. 7 CEDU – si impone, nella specie, sotto il profilo che tali sanzioni vennero inflitte per avere il contribuente dichiarato che l’immobile acquistato possedeva, contrariamente al vero, qualità intrinseche non di lusso (sempre secondo i suddetti parametri ministeriali); vale a dire, per aver reso una dichiarazione che, per effetto della modifica normativa, oggi non ha più alcuna rilevanza per l’ordinamento.

In altri termini, il mendacio contestato – costituente l’espresso fondamento della sanzione, così come stabilito dall’art. 1, comma 4, Parte Prima, Tariffa D.P.R. n. 131 del 1986 cit. – non potrebbe più realizzarsi, in quanto caduto su un elemento (caratteristiche non di lusso dell’immobile) espunto dalla fattispecie agevolativa.

E’ vero che la modifica normativa non ha abolito nè l’imposizione (nella specie individuabile nel recupero a piena tassazione dell’agevolazione indebitamente fruita), nè le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla falsa dichiarazione; e, tuttavia, è proprio l’oggetto di quest’ultima, costituente elemento normativo della fattispecie, ad essere stato cancellato dall’ordinamento. Tanto che, in base al regime sopravvenuto, l’agevolazione ben potrebbe sussistere (in assenza di iscrizione nelle categorie catastali ostative) anche in capo ad immobili abitativi in ipotesi connotati dalle caratteristiche la cui mancata o falsa dichiarazione ha costituito il motivo della sanzione. Il che rende del tutto peculiare la presente fattispecie rispetto a quelle con riguardo alle quali è stato affermato che – in difetto di abolitio criminis – permane a carico del contribuente tanto l’obbligo del versamento dell’imposta dovuta prima della modificazione normativa, quanto quello sanzionatorio (Cass. 25754 del 2014; Cass. 25053 del 2006).

Va poi considerato come ci si trovi qui di fronte ad una situazione di favore per il contribuente ancor più radicale ed evidente di quella (prevista nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3) del sopravvenire di un regime sanzionatorio semplicemente più mite. Perchè qui non di questo si tratta, ma proprio di riformulazione ex novo della fattispecie legale di non spettanza dell’agevolazione; fondata su un parametro (quello catastale) del tutto differente da quello, precedentemente rinvenibile, fatto oggetto di mendacio. In maniera tale che l’amministrazione finanziaria mantiene, come detto, la potestà di revocare l’agevolazione in questione per il solo fatto del carattere di lusso rivestito – al momento del trasferimento, e sulla base della disciplina all’epoca applicabile – dall’immobile trasferito; senza però avere titolo per applicare delle sanzioni conseguenti a comportamenti che, dopo la riforma legislativa, non sono più rilevanti; non certo in quanto tali (false dichiarazioni), ma in quanto riferiti a parametri normativi non più vigenti.

6.3. In definitiva, l’applicazione dello jus superveniens induce al parziale accoglimento del ricorso, limitatamente alla non debenza delle sanzioni applicate con l’atto opposto. Conclusione, quest’ultima, che deriva da una scelta interpretativa di favore suscettibile di essere attuata, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio; e quindi anche in sede di legittimità (tra le altre: Cass. 1856 del 13; Cass. 4616 del 16; Cass.16679 del 16 e Cass. ord.13235 del 16 cit.).

Ciò perchè, stante l’avvenuta contestazione da parte del contribuente della legittimità della revoca dell’agevolazione, è per ciò solo escluso che sia divenuto definitivo il provvedimento di irrogazione delle sanzioni che da tale revoca consegue. Nè trattandosi di eliminazione delle sanzioni, e non di loro rimodulazione all’esito di una determinata opzione per il regime più favorevole concretamente applicabile – si richiedono accertamenti fattuali di sorta.

7. Sulla base dei rilievi espressi, va accolto parzialmente il ricorso, la sentenza va cassata limitatamente alle sanzioni, che si dichiarano non dovute. Si conferma nel resto la pronuncia della Commissione Tributaria del Lazio impugnata. Tenuto conto dell’andamento della lite e del recente consolidarsi della giurisprudenza sulle questioni trattate, vanno compensate le spese dell’intero giudizio.

PQM

Accoglie parzialmente il ricorso, cassa la sentenza impugnata limitatamente alle sanzioni che si dichiarano non dovute, confermando nel resto la decisione della CTR del Lazio Dichiara compensate le spese di lite dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017

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