Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11620 del 26/05/2011

Cassazione civile sez. III, 26/05/2011, (ud. 27/04/2011, dep. 26/05/2011), n.11620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6022/2009 proposto da:

P.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA A GRAMSCI 7, presso lo studio dell’avvocato CONCETTI

Michela, che lo rappresenta e difende giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA OSPEDALIERA CAREGGI (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante e Direttore Generale Dr. M.E.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30, presso lo

studio dell’avvocato CAMICI GIAMMARIA, rappresentata e difesa

dall’avvocato PECORINI Pietro giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1582/2008 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

Sezione Seconda Civile, emessa il 19/09/2008, depositata il

13/11/2008; R.G.N. 2807/2004 e 2632/2003.

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

27/04/2011 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;

udito l’Avvocato CONCETTI DOMENICO (per delega Avvocato CONCETTI

MICHELE);

udito l’Avvocato CAMICI GIAMMARIA (per delega Avvocato PECORINI

PIETRO);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza n. 1151/03 del 14.4.2003 il tribunale di Firenze, non definitivamente decidendo sulla domanda risarcitoria proposta da P.P., dichiarò l’Azienda Ospedaliera di Careggi responsabile dei danni subiti dall’attrice per la rottura dell’utero (cui era conseguita la relativa asportazione chirurgica, in una alle ovaie) verificatasi in occasione del parto naturale di un bambino, venuto naturalmente alla luce in buone condizioni il 19.4.1997 presso la clinica di ginecologia ed ostetricia dell’Azienda ospedaliera.

Proseguito il processo per la liquidazione, con sentenza definitiva n. 2144/04 dell’11.5.2004 il tribunale condannò l’Azienda al pagamento di Euro 126.178,74, oltre agli accessori.

2.- L’Azienda impugnò distintamente le due sentenze con atti di appello rispettivamente notificati il 12.11.2003 ed il 18.11.2004. Il primo atto fece seguito alla riserva di appello avverso la prima sentenza formulata dal procuratore dell’Azienda all’udienza del 22.6.2003.

La P. si costituì e resistette in entrambi i giudizi, poi riuniti, proponendo anche appello incidentale.

Con sentenza n. 1582 del 2008 la corte d’appello di Firenze ha ritenuto che la rottura dell’utero si fosse verificata per cause non ascrivibili a colpa di alcuno ed ha conseguentemente rigettato la domanda della P..

Ha, in particolare, preliminarmente disatteso l’eccezione (della P.) di inammissibilità dell’appello dell’Azienda avverso la sentenza non definitiva sul rilievo che il difensore dell’Azienda aveva bensì dichiarato alla prima udienza successiva che formulava “riserva di appello avverso la sentenza parziale pronunciata”, ma che tale espressione era “del tutto generica ed equivoca, non essendo idonea a manifestare l’effettiva volontà della parte di differire l’impugnazione a norma dell’art. 340 c.p.c., ben potendo esprimere soltanto la volontà di non fare acquiescenza alla predetta sentenza, che dunque la parte si riservava comunque di impugnare, non necessariamente assieme alla sentenza definitiva, ma con appello immediato, dato che non erano ancora decorsi i relativi termini (la sentenza, depositata il 14.4.2003, non era stata notificata)”.

3.- Avverso la predetta sentenza ricorre per cassazione P. P. affidandosi a quattro motivi, cui resiste con controricorso l’Azienda Ospedaliera (Universitaria) di Careggi.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- I primi tre motivi di ricorso possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto censurano tutti la sentenza nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto ammissibile l’appello avverso la sentenza non definitiva immediatamente proposto, benchè la parte impugnante avesse fatto rituale riserva di appello ex art. 340 c.p.c..

Sono denunciate:

a) col primo motivo, violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la corte d’appello condiviso le prospettazioni dell’Azienda ospedaliera (circa la valenza da attribuire alla sua rituale riserva di appello come mera volontà di non prestare acquiescenza alla sentenza) benchè tanto fosse stato tardivamente rappresentato solo in memoria di replica, mentre con l’appello avverso la sentenza definitiva l’Azienda aveva affermato la ritualità della propria riserva d’appello;

b) col secondo motivo, insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo, per avere la corte d’appello – contro ogni obiettiva risultanza e nonostante la chiara, inequivoca, non contraddittoria e non contraddetta volontà espressa dalla parte soccombente – interpretato la riserva di impugnazione come mera volontà di non fare acquiescenza alla sentenza non definitiva;

c) col terzo motivo,violazione e falsa applicazione dell’art. 340 c.p.c., comma 2, art. 129 disp. att. c.p.c., artt. 325, 327, 329 e 358 c.p.c., art. 2909 c.c., per non avere la corte d’appello considerato che, dopo aver proposto la propria inammissibile impugnazione immediata, la parte non aveva comunque provveduto ad impugnare la sentenza non definitiva insieme con la sentenza definitiva; e che, inoltre, era del tutto irrilevante che i giudizi sull’an e sul quantum fossero stati riuniti in appello, essendosi ormai formato il giudicato sulla sentenza non definitiva.

2.- Le censure sono fondate nei sensi di cui appresso.

E’ assolutamente consolidato l’orientamento secondo il quale la riserva di impugnazione differita avverso la sentenza non definitiva preclude, alla parte che l’ha fatta, la facoltà di proporre contro la sentenza stessa l’impugnazione immediata che, se proposta, va dichiarata inammissibile come prematuro esercizio del diritto di impugnazione (ex coeteris, Cass. nn. 2447/71, 1916/77, 1676/83, 3325/85, 7355/87, 4325/88, 12577/91, 12034/95, 15643/03, 17233/10), benchè tale inammissibilità non incida sull’appello che ritualmente sia stato poi proposto contro la medesima pronuncia non definitiva, insieme con quello contro la sentenza definitiva (ex multis, Cass., nn. 1916/97, 8606/99, 5282/02, 15643/03, 17233/10). Ma risulta nella specie per tabulas che, nel proporre l’impugnazione avverso la sentenza definitiva, l’Azienda ospedaliera non dichiarò di impugnare anche la sentenza non definitiva, sicchè sulla sentenza non definitiva di affermazione della responsabilità dell’Azienda s’è formato il giudicato, essendo stata quella sentenza fatta oggetto di un’impugnazione che avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, anche indipendentemente da ogni eccezione della parte.

Non è, infatti, revocabile in dubbio che l’espressione “formula riserva di appello avverso la sentenza parziale pronunciata” (di cui al verbale dell’udienza del 26.6.2003, dov’era comparso l’avv. Valeriano per l’avv. Pecorini, che aveva conferito specifico mandato al primo “di formulare, nell’interesse dell’Azienda Ospedaliera di Careggi, ex art. 340 c.p.c., riserva di appello contro la sentenza n. 1151/2003 N.D. del Tribunale di Firenze depositata il 14.4.2003”) integri appunto una riserva di appello, che inequivocamente manifesta la volontà di impedire l’effetto preclusivo dell’impugnazione che sarebbe altrimenti collegato al decorso dei termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c. (cfr., per una fattispecie analoga, Cass. n. 13085/04, che da atto in motivazione, sub 3.4, della inequivocità dell’espressione “si riserva di appellare la sentenza non definitiva”).

Ed è del tutto illogico l’avere opinato che tanto abbia integrato solo l’espressione della “volontà di non prestare acquiescenza alla predetta sentenza”, in quanto l’acquiescenza deriva, ex art. 329 c.p.c., solo da accettazione espressa o da atti incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione, e non anche dall’inerzia o dal silenzio.

2.1.- La sentenza va dunque cassata con contestuale declaratoria, ex art. 384 c.p.c., dell’inammissibilità dell’appello dell’Azienda Ospedaliera avverso la sentenza non definitiva. Risultano conseguentemente travolti anche gli ulteriori capi della sentenza.

Il giudice del rinvio – che si designa nella stessa corte d’appello in diversa composizione – dovrà dunque decidere sugli appelli delle parti avverso la sentenza definitiva sulla base dell’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza non definitiva del tribunale.

Allo stesso giudice è rimessa anche la regolazione delle spese del giudizio di cassazione.

3.- Il quarto motivo di ricorso, col quale la P. si duole che non siano stati esaminati i motivi dell’appello incidentale col quale ella s’era doluta del mancato riconoscimento di talune voci di danno, è manifestamente infondato, essendo stato quell’esame precluso dall’intervenuto rigetto della domanda in punto di an debeatur, con conseguente assorbimento della doglianza sul quantum (di cui resta salva la riproponibilità in sede di giudizio di rinvio).

P.Q.M.

LA CORTE DI CASAZIONE accoglie i primi tre motivi di ricorso e rigetta il quarto, cassa la sentenza impugnata, dichiara inammissibile l’impugnazione dell’Azienda ospedaliera avverso la sentenza non definitiva e rinvia, anche per le spese, alla corte d’appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2011

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