Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11620 del 13/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 13/05/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 13/05/2010), n.11620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, via PO n.

25-B, presso lo studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la

rappresenta e difende per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.S., S.M., F.P., elettivamente

domiciliati in ROMA, via COLA DI RIENZO n. 271, presso lo studio

dell’avvocato BALDASSARRE FRANCESCO, che li rappresenta e difende per

procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2078/2007 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 17/10/2007; R.G. 1937/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/03/2010 dal Consigliere Dott. MAMMONE Giovanni;

udito l’Avvocato GENTILE GIOVANNI, per delega PESSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha chiesto l’estinzione del giudizio per P.

e F. ed il rigetto del ricorso per S..

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con separate sentenze il Tribunale di Lecce rigettava la domanda con cui P.S., F.P. e S.M. chiedevano che venisse dichiarata la nullità del termine apposto al loro contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a..

Proposto appello dai predetti, la Corte d’appello di Lecce con sentenza depositata il 17.10.07 (avente ad oggetto anche altre posizioni qui non rilevanti) accoglieva l’impugnazione.

I contratti erano stati stipulati, nell’ambito del sistema creato dalla L. n. 56 del 1987, ai sensi dell’art. 8 del CCNL dei dipendenti postali 26.11.94, come integrato dall’accordo integrativo 25.9.97, per soddisfare “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’Ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”. Essendo tale tipologia di assunzioni legittimata dalla contrattazione collettiva solo fino alla data del 30.4.98, per quelle successive il termine era illegittimamente apposto.

Dichiarava, pertanto, l’esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 9.11.99 per P., dal 10.3.98 per F. e dal 13.10.00 per S., a titolo di risarcimento condannando il datore al pagamento delle retribuzioni non corrisposte dalla notifica del ricorso introduttivo.

Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso per Cassazione nei confronti di detti P., F. e S., i quali si difendevano con controricorso. Ha depositato memoria la ricorrente Poste Italiane s.p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Agli atti è depositato un verbale di conciliazione della controversia in sede sindacale.

Da detto verbale, recante la data del (OMISSIS), risulta che F. P. ha raggiunto con la controparte un accordo transattivo concernente la controversia de qua e che le parti si danno atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti d legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.

L’accordo comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo. Alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso di Poste Italiane in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale va valutato l’interesse ad agire (Gass. S.u. 29.11.06 n. 25278).

In ragione del tenore dell’atto di conciliazione, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le suddette parti le spese del giudizio di cassazione.

Poste Italiane s.p.a. ha inoltre depositato una dichiarazione, debitamente sottoscritta dal suo procuratore e dal suo difensore, ai sensi dell’art. 390 c.p.c., comma 2, con la quale la società ha rinunciato al ricorso nei confronti di P.S. per intervenuta transazione in sede sindacale. Essendo stata la dichiarazione ritualmente notificata alla controparte ai sensi del citato art. 390 c.p.c., comma 3 il giudizio deve essere dichiarato estinto ai sensi del successivo art. 391 c.p.c..

Tenuto conto del contenuto dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti, costituente il presupposto della rinuncia al ricorso, è conforme a giustizia anche in questo caso compensare integralmente tra le suddette parti le spese del giudizio di cassazione.

Prima di procedere alla disamina dell’ultima posizione è necessario sintetizzare i motivi di ricorso, con la precisazione che, essendo la sentenza impugnata pubblicata dopo l’entrata in vigore della riforma del processo di cassazione introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, la Corte potrà procedere all’interpretazione diretta delle norme collettive dei contratti collettivi che regolano il rapporto di lavoro dei dipendenti di Poste Italiane, in forza della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che consente il ricorso per Cassazione “per violazione o falsa applicazione di norme di diritto o dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro”.

Passando alla posizione di S., dunque, il ricorso di Poste Italiane può essere sintetizzato come segue.

Con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2, e carenza di motivazione, per la reiezione dell’eccezione di risoluzione del contratto, in quanto il lasso di tempo trascorso tra la cessazione del rapporto e l’offerta della prestazione sarebbe indice di disinteresse del lavoratore a sostenere la nullità del termine e darebbe corpo alla presunzione di estinzione del contratto per mutuo consenso.

Con il secondo motivo è dedotta violazione dell’art. 1362 c.c. e carenza di motivazione in quanto lo stesso giudice avrebbe erroneamente ritenuto che le fattispecie di contratto a termine consentite dall’art. 8 del CCNL 1994 (come integrate dall’accordo integrativo del 1997) fossero legate ad un limite temporale, così considerando non rilevante l’accordo collettivo 18.1.01 e limitandone la portata a mera funzione di legittimazione a posteriori dei contratti a termine stipulati successivamente alla scadenza del limite temporale del 30.4.98.

Considerato che il terzo motivo non è rilevante in quanto riferito alla posizione di lavoratore interessata dalla sentenza ma non colpita dall’odierno ricorso, deve passarsi direttamente al quarto morivo, con cui Poste Italiane contesta la pronunzia in punto di conseguenze economiche della dichiarazione di nullità, sostenendo che il ricorrente non avrebbe dato prova del danno subito e che avrebbe errato il giudice a far decorrere il risarcimento dalla notifica del ricorso introduttivo, atteso che ivi non era offerta la prestazione e, quindi, il datore non era costituito in mora.

Il primo motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di legittimità (v. tra le tante Cass. 17.12.04 n. 23554, 28.9.07 n. 20390, 10.11.08 n. 26935).

E’ stato, infatti, affermato che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè, alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;

la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto”.

Nel caso di specie il giudice di merito sostiene che il lasso di tempo intercorso tra la cessazione del rapporto a termine e l’avvio della controversia non può essere considerato indice della volontà di porre fine al rapporto, in quanto l’inerzia è riconducibile alle incertezze interpretative in merito alla correttezza dell’apposizione del termine in fattispecie enucleate direttamente dalla contrattazione in sede collettiva.

Circa l’inesistenza del consenso dei dipendenti alla definitiva risoluzione del contratto dichiarato nullo esiste, dunque, una valutazione di merito che appare congruamente articolata, la quale esclude da un lato la censurabilità in sede di legittimità della motivazione e, dall’altro, pone in evidenza l’inesistenza di altre circostanze (la cui prova era a carico del datore di lavoro) che possano qualificare nel senso di inerzia colpevole il comportamento dei lavoratori.

Il motivo è, pertanto, infondato.

Quanto al secondo motivo, lo S., come già accennato in narrativa, fu assunto a termine a decorrere dal 13.10.00 ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.937, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’Ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

La disamina del motivo impone un richiamo alla giurisprudenza di questa Corte in punto di rapporti tra la L. n. 56 del 1987, art. 23 e la contrattazione collettiva regolatrice del rapporto di lavoro dei dipendenti postali.

La costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., in particolare, Cass. 26.7.04 n. 14011, 7.3.05 n. 4862), specificamente riferita ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, ritiene che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 56 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962 discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato.

Questa Corte (V., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378), ha confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto dopo il 30 aprile 1998 a contratti stipulati in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che ha consentito l’apposizione del termine, oltre che alle fattispecie già previste dall’art. 8 del CCNL 26.11.94, anche nella evenienza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase ed ristrutturazione ecc…. Si è ritenuto, infatti, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v.

S.u. 2.3.06 n. 4588).

Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato. Da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati per il soddisfacimento di esigenze eccezionali ecc. dopo il 30 aprile 1998, in quanto privi di presupposto normativo.

La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato.

Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

Il giudice di merito ha fatto applicazione dei suddetti principi e, considerato che il contratto in considerazione era motivato dal soddisfacimento di esigenze eccezionali ecc. ed era riferito a periodo successivo al 30.4.98, ha ritenuto nullo il termine ad esso apposto ed ha dichiarato che dall’inizio dello stesso decorre il rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Essendo tale pronunzia conforme alla giurisprudenza di questa Corte, il motivo deva essere ritenuto infondato.

Detto dell’irrilevanza del terzo motivo di ricorso, deve rilevarsi l’infondatezza del quarto, con cui si contesta la concessione del risarcimento in mancanza di prova del danno e l’individuazione del momento da cui il giudice di merito ha fatto decorrere l’obbligo di corresponsione delle retribuzioni.

La Corte d’appello ha condannato Poste Italiane a pagare allo S. le retribuzioni maturate dalle data di notifica del ricorso introduttivo, nella sostanza affermando che le lavoratrici con la richiesta di espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione avevano messo a disposizione di controparte la propria prestazione, così costituendola in mora.

Tale pronunzia è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (cfr.

Qss. S.u. 8.10.02 n. 14381 nonchè, da ultimo, Cass. 13.4.07 n. 8903) che, con riferimento all’ipotesi della trasformazione in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di più contratti a termine succedutisi tra le stesse parti, per effetto dell’illegittimità dell’apposizione dei termini, o comunque dell’elusione delle disposizioni imperative della L. n. 230 del 1962 ha affermato che il dipendente che cessa l’esecuzione delle prestazioni alla scadenza del termine previsto può ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell’impossibilità della prestazione derivante dall’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla – in linea generale in misura corrispondente a quella della retribuzione – qualora provveda a costituire in mora lo stesso datore di lavoro ai sensi dell’art. 1217 c.c..

L’affermazione del giudice di merito nasce da un accertamento di fatto circa l’effettiva esistenza dell’offerta e da un giudizio di merito circa la sua congruità, non contestati e, comunque, incensurabili in sede di legittimità.

Infondato anche l’ultimo motivo, il ricorso contro S. deve essere rigettato.

Relativamente a questa posizione, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e debbono essere distratte a favore del difensore dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

LA CORTE così provvede:

– rigetta il ricorso nei confronti di S.M. e condanna la ricorrente alle spese che liquida in Euro 28,00 per esborsi ed in Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre spese generali, Iva e cpa, con distrazione a favore dell’antistatario avv. Francesco Baldassarre;

– dichiara inammissibile il ricorso nel confronti di F.P. con compensazione di spese;

– dichiara estinto il giudizio nei confronti di P.S. con compensazione di spese.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2010

 

 

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