Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1162 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 23/06/2020, dep. 21/01/2021), n.1162

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 13304 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

S.A.T. Società Agricola Toscana s.r.l., in persona del legale

rappresentante, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Francesco Del

Ciondolo e Fabrizio Badò per procura speciale a margine del

ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, Via Oslavia n. 12,

presso lo studio di quest’ultimo difensore;

– ricorrente principale –

– controricorrente all’incidentale –

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato,

presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è

domiciliata;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

Ministero delle Finanze;

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, n. 72/29/12, depositata in data 11 aprile 2012;

udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 23 giugno

2020 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a S.A.T. Società Agricola Toscana s.r.l. un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2003, era stato accertato un maggiore reddito imponibile ai fini Irap, Irpeg e Iva, oltre sanzioni e interessi, in relazione a fatture passive relative a operazioni inesistenti; avverso il suddetto atto impositivo la società aveva proposto ricorso che era stato parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Roma, avendolo ritenuto fondato limitatamente alla pretesa relativa all’Irap e Irpeg; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello principale e l’Agenzia delle entrate appello incidentale;

la Commissione tributaria regionale ha rigettato sia l’appello principale che quello incidentale, in particolare ha ritenuto che: con riferimento all’appello principale, quando viene contestato l’inesistenza delle operazioni di cui alle fatture, non si verifica il presupposto per la detrazione dell’Iva se il contribuente non dà prova della fonte legittima e della correttezza della stessa; con riferimento all’appello incidentale, la mancata consegna delle merci alla società non rileva ai fini della determinazione del reddito di impresa;

avverso la pronuncia del giudice del gravame ha proposto ricorso principale la società, affidato a quattro motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso;

l’Agenzia delle entrate ha, a sua volta, depositato ricorso autonomo, da qualificarsi quale ricorso incidentale in quanto proposto successivamente a quello della società, affidato a un unico motivo di censura, cui ha resistito la società depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Sul ricorso principale.

con il primo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere pronunciato sul motivo di appello con il quale era stato prospettato che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, le fatture dovevano essere considerate legittimamente emesse;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul motivo di appello indicato nell’ambito dell’esposizione del primo motivo;

in particolare, con esposizione unitaria relativa ad entrambi i motivi di ricorso, parte ricorrente evidenzia la mancata considerazione della circostanza, esposta nel motivo di appello, che le fatture ricevute dalla Nigi Agricoltura s.r.l. erano regolari in quanto emesse secondo una previsione programmatica, contenevano la descrizione dei beni con il relativo prezzo, l’imponibile e l’Iva dovuta, erano state regolarmente registrate dal soggetto emittente, con conseguente diritto della società a riportare il credito Iva nelle proprie liquidazioni mensili, senza che da tale operato ne fosse conseguito alcun beneficio nel rapporto con l’erario o un eventuale danno;

i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, in quanto esposti con un unico contenuto, sono infondati;

ed invero, il giudice del gravame ha pronunciato sulla questione della legittimità della pretesa dell’amministrazione finanziaria relativa al recupero dell’Iva chiarendo che, nella fattispecie, le operazioni dovevano essere considerate inesistenti, sicchè non poteva dirsi realizzato il presupposto per il diritto alla detrazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, trovando applicazione la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7;

sotto tale profilo, la pronuncia della CTR ha ritenuto che proprio la inesistenza oggettiva delle operazioni dovesse condurre a ritenere che, da un lato, l’emittente le fatture era da considerarsi debitore dell’imposta, pur in assenza dell’ordinario presupposto, sulla base del principio di cartolarità, e che, d’altro lato, al destinatario delle fatture era precluso il diritto di esercitare la detrazione o la variazione di imposta, sicchè era legittima la pretesa dell’amministrazione finanziaria con la quale veniva recuperata a tassazione l’imposta irritualmente detratta;

la considerazione espressa dal giudice del gravame comporta un implicito rigetto della ragione di doglianza prospettata dalla contribuente e fondata sull’applicabilità della previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4;

ed invero, l’applicazione della previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4, secondo cui l’operazione si considera effettuata alla data di emissione della fattura se la stessa sia stata emessa prima della consegna o della spedizione dei beni mobili oggetto di cessione, presuppone l’effettiva esistenza dell’operazione medesima, circostanza, invero, esclusa dal giudice del gravame che, invero, ha accertato l’oggettiva inesistenza delle operazioni;

va quindi precisato che questa Corte (da ultimo, Cass. civ., 2 aprile 2020, n. 7662) ha più volte affermato che non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo della controversia qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda, quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito;

nè, pertanto, può prospettarsi una questione di vizio di motivazione della sentenza, essendo la suddetta ragione di censura non compatibile con la prospettazione di un’omessa pronuncia;

invero, questa Corte (Cass. civ., 12 gennaio 2016, n. 329) ha precisato che l’omessa pronunzia da parte del giudice di merito integra un difetto di attività che deve essere fatto valere dinanzi alla Corte di cassazione attraverso la deduzione del relativo “error in procedendo” e della violazione dell’art. 112, c.p.c., non già con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), giacchè queste ultime censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente scorretto ovvero senza giustificare o non giustificando adeguatamente la decisione resa;

in ogni caso, con riferimento al dedotto vizio di motivazione, lo stesso è privo di autosufficienza, non essendo stato specificato nè allegato quale fatto, decisivo ai fini del giudizio, non è stato preso in considerazione dal giudice ai fini della decisione;

peraltro, contrasta con l’affermazione della effettività dell’operazione la stessa affermazione di parte ricorrente secondo cui, pur riportando le fatture la dicitura per “merce a vs. disposizione da ritirare”, “si trattava di documenti emessi per fini finanziari” (vd. pag. 4, ricorso), “ai fini di poterle utilizzare nei confronti di aziende di credito e rappresentavano operazioni di vendita ad esecuzione differita tipica per i cereali” pag. 5, ricorso); sicchè, se da, un lato, la società riconosce che la emissione della fattura aveva finalità meramente finanziaria, d’altro lato non indica, come evidenziato, alcuna circostanza specifica, già dedotta e allegata nei giudizi di meriti, comprovanti l’effettività dell’operazione;

con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 6 e 21;

con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non avere considerato che, secondo il principio di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4, qualora anteriormente al verificarsi della cessione di beni mobili o delle prestazioni di servizi, sia stata emessa fattura, l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo fatturato o pagato, alla data di emissione della fattura, essendo sufficiente, in tal caso, la sola circostanza della “messa a disposizione del bene”, non essendo necessario il passaggio materiale del bene;

i motivi, che possono essere esaminati unitariamente in quanto esposti con la stessa ragione di doglianza, sono infondati;

invero, anche in questo caso parte ricorrente non tiene conto della circostanza che il giudice del gravame ha accertato che le operazioni per le quali erano state emesse le fatture erano da considerarsi inesistenti, sicchè ha, correttamente, ritenuto non applicabile la disciplina in materia di detraibilità dell’Iva;

va quindi ulteriormente osservato che è la stessa parte ricorrente che ha posto in evidenza (vd. pag. 7 del ricorso) che “Nel caso in questione la fattura era stata emessa, come riconosciuto dall’Agenzia delle entrate nel proprio accertamento, per motivi di ordine finanziario e, quindi, col fine di ottenere anticipazioni da enti finanziari sulla base di operazioni programmate con la società S.A.T. s.r.l.”;

sicchè, se, da un lato, non risulta in alcun modo delineato sulla base di quali specifiche circostanze di fatto sussisteva l’intento delle parti di realizzare operazioni future in relazioni alle quali erano state emesse le fatture, d’altro lato emerge chiaramente la diversa finalità sottesa alla suddetta emissione, che era quella di consentire alla società emittente le fatture di procurarsi un titolo da utilizzare per mere ragioni finanziarie;

quel che rileva, dunque, è la circostanza, riconosciuta dalla ricorrente, che le fatture erano state “immesse nel mercato” ed utilizzate al solo fine dell’ottenimento del credito, il che comporta che le stesse non erano relative a operazioni effettive, quindi erano oggettivamente inesistenti, come correttamente ritenuto dal giudice del gravame;

tale circostanza assume particolare rilievo ai fini della definizione della presente controversia, in quanto il piano di riferimento attiene alla rilevanza fiscale di fatture emesse per operazioni inesistenti;

va quindi precisato che secondo questa Corte “In tema d’IVA, in attuazione del principio di cartolarità posto a base del sistema impositivo va escluso il diritto alla detrazione, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, comma 1, in relazione ad operazioni oggettivamente inesistenti non assumendo rilievo che il cessionario abbia versato al cedente l’ammontare del tributo sulla base della regolarità formale dell’operazione dal punto di vista contabile e fiscale, atteso che l’imposta è dovuta ogniqualvolta la fattura sia emessa, seppure per un’operazione non avvenuta o non avvenuta nei termini in essa descritti” (Cass., civ. 10 giugno 2015, n. 12111; Cass. civ., 27 gennaio 2014, n. 1565)

analogamente non rileva l’effettivo utilizzo della fattura emessa per operazioni inesistenti, in quanto nella fattispecie tributaria di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, che fa applicazione del “principio di cartolarità”, l’insorgenza del rapporto impositivo sorge per la semplice “emissione” del documento contabile, completo in tutto i suoi elementi formali, in quanto suscettibile di essere utilizzato a fini fiscali o ad altri fini giuridicamente rilevanti ove non sia stato tempestivamente eliminato e sottratto al commercio giuridico (Cass. civ., 27 maggio 2015, n. 10939);

sempre in tale ultima pronuncia si è affermato che “Il principio di neutralità dell’IVA, che informa la disciplina comunitaria, non viene ad essere peraltro contraddetto dalla norma tributaria in questione (D. P. R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7), avuto riguardo al chiaro disposto normativo della Sesta Dir. 77/388/CEE, art. 21, paragrafo 1, lett. c), del Consiglio in data 17.5.1977, applicabile “ratione temporis”, secondo cui deve ritenersi “soggetto passivo” d’imposta colui che “indichi l’imposta sul valore aggiunto in una fattura o in altro documento che ne fa le veci” (disposizione riprodotta nell’art. 203 della nuova Dir. IVA, 206/112/CE del Consiglio del 28/11/2006, che prevede che “l’IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura”;

in questo quadro giurisprudenziale, la Corte di Giustizia ha ripetutamente affermato che il diritto alla detrazione implica indefettibilmente la effettiva debenza della imposta indicata in fattura, non essendo pertanto sufficiente a consentire l’esercizio del diritto alla detrazione la mera indicazione in fattura della imposta, qualora questa “non corrisponda ad un’operazione determinata, perchè è più elevata di quella dovuta per legge o perchè l’operazione di cui trattasi non è soggetta all’IVA” (Corte di giustizia CE, 13 dicembre 1989, in causa 0342/87, Genius Holding BY);

la istituzione di tale necessaria correlazione tra prelievo e detrazione è dunque determinata proprio dalla introduzione della fattura (recante dati non corrispondenti alla effettiva realtà della operazione) nella operatività del sistema dell’IVA, che non tollera che la medesima fattura, una volta “emessa”, possa legittimare l’esercizio del diritto alla detrazione d’imposta ma non anche la riscossione della imposta;

pertanto, l’immissione di una fattura nel mercato, come nel caso di specie, in quanto utilizzata ad altri fini giuridicamente rilevanti, quale quello di ottenere anticipazioni finanziarie, comporta necessariamente una valutazione non solo di inesistenza oggettiva dell’operazione, ma, di conseguenza, l’insorgenza del rapporto obbligatorio, stante l’applicazione del principio di cartolarità posto a base del sistema impositivo dell’Iva;

la pronuncia censurata, quindi, è in linea con i principi sopra affermati, avendo correttamente tenuto conto del fatto incontestato che la fattura era stata emessa per operazioni oggettivamente inesistenti ed immesse, comunque, nel mercato.

Sul ricorso incidentale.

Con il primo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 75 TUIR, comma 2, nonchè dell’art. 2697 c.c., per avere ritenuto illegittima la pretesa relativa alla non deducibilità dei costi di cui alle fatture ricevute dalla società Nigi Agricoltura s.r.l., atteso che, invece, i suddetti costi erano relativi a operazioni oggettivamente inesistenti e quindi privi del requisito di effettività, inerenza e competenza;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per avere reso una motivazione insufficiente e contraddittoria su fatti decisivi e controversi del giudizio ai fini dell’accertamento della non deducibilità dei costi in quanto relativi a operazioni oggettivamente inesistenti;

i motivi, che possono essere esaminati unitamente in quanto attengono alla medesima questione della deducibilità dei costi di cui alle fatture passive emesse dalla società Nigi Agricoltura s.r.l., sono fondati, per quanto di ragione;

in primo luogo, va dichiarato inammissibile il controricorso al ricorso incidentale, non avendo la società depositato l’avviso di ricevimento della notifica del medesimo atto.

Va quindi osservato che la pretesa fatta valere dell’amministrazione finanziaria aveva avuto riguardo alla illegittima deduzione dei costi di cui alle fatture emesse nei confronti della società contribuente per operazioni oggettivamente inesistenti, avendo accertato, secondo quanto riportato nell’avviso di accertamento e nel processo verbale di constatazione cui lo stesso rinvia che “i costi di cui alle fatture emesse dalla Nigi Agricoltura s.r.l. sono stati regolarmente contabilizzati, ai fini delle imposte sui redditi, dalla SAT s.r.l. ed hanno formato oggetto di dichiarazione ai fini diretti, si configura, a carico della predetta società, per il periodo di imposta 2003, l’indeducibilità di elementi negativi di reddito”;

ciò precisato, correttamente parte ricorrente censura la sentenza per violazione di legge, in quanto non è conferente, ai fini della definizione della questione della deducibilità dei costi, il riferimento, di cui alla sentenza censurata, dell’art. 2 TUIR, comma 2, che ha riguardo alla individuazione del soggetto residente, nè, eventualmente, dell’art. 75 TUIR, comma 2, lett. a), (come farebbe ritenere il riferimento al momento della consegna della merce da parte del giudice del gravame);

invero, la suddetta previsione normativa detta il criterio per determinare l’esercizio di competenza dei costi, ma si tratta di un profilo che non attiene alla questione in esame che, come già osservato, è relativa al venire meno del diritto alla deduzione dei costi quando gli stessi sono relativi a operazioni oggettivamente inesistenti;

la questione, invero, va esaminata alla luce dei principi generali di cui all’art. 109 TUIR, dunque dei principi di effettività e inerenza dei costi sostenuti, secondo il costante orientamento di questa Corte (Cass. civ., 19 dicembre 2019, n. 33915; Cass. civ., 5 novembre 2014, n. 23550; Cass. civ., 11 novembre 2011, n. 23626) per cui, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti la derivazione dei costi da una attività che è espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale, inerenza che è onere del contribuente provare, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi medesimi;

sicchè, non correttamente il giudice del gravame ha ritenuto illegittima la pretesa dell’amministrazione finanziaria sulla base della mera considerazione che la merce non era stata ricevuta, a fronte dei diversi elementi di fatto, indicati già in sede di avviso di accertamento, che conducevano ad una configurazione di inesistenza oggettiva dell’operazione, con conseguente insussistenza del diritto alla deduzione dei costi;

in conclusione, è infondato il ricorso principale, con conseguente rigetto e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite; è fondato il ricorso incidentale, con conseguente accoglimento e cassazione della sentenza con rinvio alla commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio;

dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso principale e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

 

 

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