Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11617 del 04/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 04/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 04/05/2021), n.11617

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18727-2013 proposto da:

Z.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GRADISCA 7,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE BELLOMIA, rappresentata e

difesa dall’avvocato ALBERTO GAMBERINI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente-

e contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE

PROVINCIALE RAVENNA UFFICIO CONTROLLI AREA LEGALE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2/2013 della COMM. TRIB. REG. EMILIA ROMAGNA,

depositata il 28/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/01/2021 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Z.M. impugnava l’avviso di accertamento per IRPEF, IVA e IRAP (anno d’imposta 2004) emesso dall’Agenzia delle Entrate, col quale erano stati ripresi a tassazione maggiori ricavi determinati utilizzando studi di settore; il procedimento di accertamento con adesione non aveva sortito esito positivo per rifiuto della contribuente di accettare la rideterminazione dei ricavi;

– la C.T.P. di Ravenna respingeva il ricorso;

– la C.T.R. Emilia-Romagna, con la sentenza n. 02/11/2013 del 28/1/2013, rigettava l’appello;

– avverso la predetta sentenza Z.M. ha proposto ricorso per cassazione, fondato su due articolati motivi, notificato sia all’Agenzia delle Entrate sia al Ministero dell’Economia e delle Finanze;

– l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

– la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente si rileva l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze: “in tema di contenzioso tributario, a seguito del trasferimento alle agenzie fiscali, da parte del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57, comma 1, di tutti i “rapporti giuridici”, i “poteri” e le “competenze” facenti capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze, a partire dal primo gennaio 2001 (giorno di inizio di operatività delle Agenzie fiscali in forza del D.M. 28 dicembre 2000, art. 1), unico soggetto passivamente legittimato è l’Agenzia delle Entrate, sicchè è inammissibile il ricorso per cassazione promosso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze” (da ultimo, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 1462 del 23/1/2020, Rv. 656711-01).

2. Col primo motivo la ricorrente deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione successiva alla modifica apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia circa:

– “l’applicabilità in concreto degli standards prescelti”, per avere la C.T.R. mancato di fornire adeguato supporto alla propria decisione, avendo omesso di considerare le peculiari situazioni che giustificavano lo scostamento dagli studi di settore;

– i “vizi dell’avviso di accertamento lamentati dalla ricorrente”, con particolare riferimento alla mancata produzione in giudizio (e, prima, all’acclusione all’atto impositivo) degli studi di settore (da considerare atti amministrativi) e al difetto di esposizione dell’iter logico-deduttivo seguito dall’Ufficio.

Col secondo motivo si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) violazione ed errata applicazione di norme di diritto:

– “violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7”, per difetto di motivazione dell’avviso di accertamento che richiama lo studio di settore senza riportarne il contenuto essenziale;

– “errata applicazione dello studio di settore” all’attività commerciale svolta dalla ricorrente.

Entrambe le censure, che possono essere congiuntamente esaminate, sono inammissibili per plurime ragioni.

In primis, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, nell’atto introduttivo è stato pretermesso il fatto processuale, manca l’illustrazione degli atti e dei documenti asseritamente rilevanti (motivazioni dell’avviso di accertamento, decisioni giurisdizionali e relative motivazioni, con particolare riferimento alla sentenza impugnata), difetta una specificazione delle censure proposte nei gradi precedenti (segnatamente, non sono specificati i motivi inizialmente dedotti e quelli riproposti in appello).

Secondo consolidata giurisprudenza, “i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 29093 del 13/11/2018, Rv. 651277-01, ha dichiarato inammissibile il ricorso della contribuente che non aveva riportato nel ricorso, nemmeno sinteticamente, la motivazione dell’avviso di accertamento, nè quella degli atti istruttori sui quali l’atto impugnato in primo grado si fondava); analogamente, ” il ricorrente ha l’onere di operare una chiara esposizione funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 24340 del 04/10/2018, Rv. 651398-01).

In secondo luogo, l’esposizione è confusa e non attinente alla decisione: il ricorso non si confronta con le ragioni esposte nella sentenza della C.T.R., ma affastella circostanze di fatto e riferimenti a documenti (non riportati) senza nemmeno trarre conseguenze logiche dal proprio percorso argomentativo: il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), non è soddisfatto “laddove i motivi di censura si articolino in un’inestricabile commistione di elementi di fatto, riscontri di risultanze istruttorie, riproduzione di atti e documenti incorporati nel ricorso, argomentazioni delle parti e frammenti di motivazione della sentenza di primo grado” (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 13312 del 28/5/2018, Rv. 648924-01); inoltre, “la proposizione, mediante ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso, risolvendosi in un “non motivo”. L’esercizio del diritto di impugnazione, infatti, può considerarsi avvenuto in modo idoneo solo qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica alla decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, da considerarsi in concreto e dalle quali non possano prescindere, dovendosi pertanto considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che difetti di tali requisiti.” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 15517 del 21/7/2020, Rv. 658556-01).

Sono poi inammissibili le censure per “insufficienza della motivazione”, poichè la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, impedisce di sottoporre al sindacato di legittimità la pretesa insufficienza o inadeguatezza della motivazione su “punti decisivi”, salvo che la stessa sia al di sotto del cd. “minimo costituzionale” e, dunque, la violazione si traduca in un vizio di nullità ex art. 360 c.p.c., n. 4 (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830-01).

Parimenti inammissibili sono le censure svolte ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sia perchè non si individuano le disposizioni asseritamente violate, sia perchè non si esplicita il ragionamento giuridico della pronuncia impugnata, nè tantomeno si sviluppa un’argomentazione volta a confutarlo; in proposito si rileva che il predetto vizio “dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione” (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020, Rv. 658610-01; nello stesso senso, Cass., Sez. U, Sentenza n. 23745 del 28/10/2020, Rv. 659448-01).

3. In conclusione, anche il ricorso contro l’Agenzia delle Entrate avanzato da Z.M. va respinto.

Alla decisione fa seguito la condanna della ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente Agenzia, delle spese di questo giudizio di cassazione, le quali sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo secondo i vigenti parametri.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze;

rigetta il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate;

condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021

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