Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11616 del 04/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 04/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 04/05/2021), n.11616

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 17903 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

P.B., rappresentato e difeso, giusta procura in calce al

ricorso, dall’Avv. Maria Grazia Castauro ed elettivamente

domiciliato in Roma, Via Marcello Prestinari, 13 presso lo studio

dell’Avv. Paola Ramadori;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 1213/64/14 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia depositata il 4.3.2014;

udita nella camera di Consiglio del 28.1.2021 la relazione svolta dal

consigliere Galati Vincenzo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 1213/64/14 la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha esposto, in punto di fatto, che al contribuente, titolare di farmacia, sono stati notificati distinti avvisi di accertamento relativi agli anni 2005, 2006 e 2007 con determinazione di maggiori redditi imponibili a fini IVA e maggiori imposte e sanzioni ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5, comma 1.

Nel corso di indagini di Polizia Giudiziaria svolte nei confronti del pensionato Pa.Ti. era emerso che il ricorrente, grazie all’intermediazione dell’indagato, aveva illegalmente importato medicinali ad un prezzo scontato del 30% rispetto ai prezzi praticati dai fornitori nazionali.

La Commissione tributaria provinciale di Brescia, previa riunione dei ricorsi, li ha respinti ritenendo dimostrata la partecipazione del contribuente all’attività illecita contestata al Pa. e provata la pretesa dell’Amministrazione.

La CTR ha respinto l’appello confermando integralmente la sentenza di primo grado.

Ha evidenziato che la prova della fondatezza della pretesa tributaria discendeva, in fatto, dalle annotazioni presenti su un’agenda sequestrata a casa del pensionato; agenda nella quale risultavano annotati, per il periodo 2004 – gennaio 2009, accanto al nominativo ” P.”, gli importi del materiale acquistato.

La circostanza era stata anche confermata dalle dichiarazioni dello stesso Pa..

A parere della CTR tali elementi costituivano presunzioni “gravi precise e concordanti” idonee a fornire “puntuale ed esaustiva motivazione degli atti impugnati”.

I giudici di appello hanno ritenuto infondata la tesi difensiva basata, fra l’altro, sull’assenza di prove documentali delle ordinazioni, sulla mancata conoscenza del Pa. da parte delle collaboratrici del contribuente e sulla circostanza che i Carabinieri, all’esito di verifiche effettuate a campione sui medicinali ad effetto stupefacente e sulle modalità di conservazione dei farmaci, non avessero contestato alcunchè.

Hanno altresì giudicato inammissibili (in quanto “nuove”) e, comunque, inidonee a smentire la tesi dell’Agenzia, le ragioni svolte dal contribuente nella perizia prodotta in appello.

In ordine alla produzione di una sentenza penale di assoluzione del P. per il reato di cui all’art. 443 c.p., ne ha ritenuto l’inconferenza in quanto relativa a materia estranea al procedimento.

La censura di mancato contraddittorio è stata, invece, giudicata infondata vertendosi, nel caso di specie, in tema di accertamento induttivo che prescinde dall’esame delle scritture contabili del contribuente.

Le spese sono state poste a carico del contribuente.

Questi propone ricorso per cassazione affidandolo a cinque motivi.

Resiste l’Agenzia con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il contribuente contesta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, nonchè degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Gli elementi valorizzati in sentenza (annotazioni dell’agenda) non sono sufficienti a reggere la motivazione e, comunque, contrastano con le altre risultanze istruttorie emerse nel corso del procedimento.

2. Il secondo motivo ha ad oggetto la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, e dell’art. 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e si fonda sull’utilizzazione, in chiave probatoria, delle dichiarazioni del Pa. nonostante il divieto di prova testimoniale che informa il processo tributario.

3. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992 artt. 57 e 58, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la CTR ha ritenuto “prova nuova” la perizia prodotta in sede di appello.

4. Il quarto motivo contiene la censura di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, non avendo pronunciato sull’eccezione di difetto di motivazione dell’avviso di accertamento che era stato motivato, a sua volta, con il mero richiamo degli elementi emersi dalle indagini di polizia tributaria.

5. Con il quinto motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la CTR ha ritenuto inconferente la sentenza di assoluzione n. 209/2013 del Tribunale di Brescia, nonostante l’avviso di accertamento impugnato si sia fondato solo sulle indagini svolte nell’ambito di quel procedimento penale.

6. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

In primo luogo lo è con riguardo alla dedotta violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., la quale, come già ripetutamente affermato da questa Corte, potrebbe essere censurata in sede di legittimità soltanto in un caso: allorchè ricorra il cosiddetto “vizio di sussunzione”, vale a dire allorquando il giudice di merito, dopo aver qualificato come “gravi, precisi e concordanti” gli indizi raccolti, li ritenga però inidonei a fornire la prova presuntiva; oppure, all’opposto, quando dopo aver qualificato come “non gravi, imprecisi e discordanti” gli indizi raccolti, li ritenga nondimeno sufficienti a fornire la prova del fatto controverso (ex multis, in tal senso, Cass. sez. un., 24 gennaio 2018, n. 1785 del 24 gennaio 2018, p. 4.1, e, da ultimo, Cass. 13 febbraio 2020, n. 3541).

Nel caso in esame, sotto il profilo della censura delle norme codicistiche citate, il contribuente lamenta l’insufficienza, ai fini della prova della correttezza del ricalcolo del reddito imponibile, degli elementi indicati dalla CTR come dotati di valore indiziario.

Si è, quindi, al di fuori del parametro di censurabilità delineato dalla giurisprudenza sopra riportata alla quale si presta totale adesione.

La CTR ha ritenuto di assegnare valore presuntivo sia alla documentazione rinvenuta presso terzi, che alle dichiarazioni rese da colui che aveva redatto la documentazione.

E’ generalmente consentito che l’Amministrazione, nel procedere ad un accertamento fiscale, fondi il proprio operato sulla base di documentazione acquisita presso terzi e di dati appresi da terzi, spettando, in tal caso, al contribuente la prova della infondatezza della pretesa tributaria (tra le molte si veda Cass. sez. 5, 16 settembre 2016, n. 18232).

Nè appare accoglibile il profilo di contestazione che attiene al mancato accoglimento delle tesi difensive addotte per contrastare le risultanze di quelle presunzioni.

Sul punto la sentenza è fornita di una motivazione logica e sufficiente.

Ed è proprio laddove la critica si concentra sulla “congruità” e “logicità” della motivazione (termini espressamente riportati alle pagg. 27 e 28 del ricorso) che si manifesta un ulteriore profilo di inammissibilità del gravame.

In realtà, con il motivo in questione, a fronte della statuizione della sentenza impugnata dietro, la deduzione della violazione di parametri di legge (ossia degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d)), se ne scherma un’altra che aggredisce la motivazione in ordine agli elementi riportati in ricorso; deduzione, che è inibita dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al regime del quale è sottoposta, ratione temporis, l’impugnazione della sentenza in questione, depositata il 4 marzo 2014.

L’intera seconda parte del motivo, infatti, si concentra sull’esercizio scorretto del potere di valutazione del materiale probatorio da parte del giudicante attraverso argomentazioni tese a dimostrare, non già la falsa applicazione delle norme asseritamente violate, quanto un difetto motivazionale che risiede nell’affermata inidoneità delle prove offerte dal contribuente a superare la presunzione posta a base dell’accertamento fiscale.

A tale proposito è sufficiente rilevare che il motivo (laddove contiene censure motivazionali ed a prescindere dall’intestazione della rubrica) deve qualificarsi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Sul punto si ricorda il fondamentale arresto con cui è stato precisato che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 e numerose altre conformi successive).

7. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Il contribuente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, e dell’art. 2729 c.c. per avere errato i giudici di merito nel fare assurgere a rango di prova la dichiarazione resa dal Pa. in sede di indagini preliminari quando costui ha dichiarato che il nominativo ” P.” indicato sull’agenda si riferiva alla “farmacia” del sig. P..

Tuttavia, nel valutare la prova dichiarativa, la CTR non ha violato, in alcun modo, la norma indicata atteso che essa impedisce di fondare la decisione tributaria esclusivamente su quel tipo di prova, non di utilizzarla quale elemento indiziario unitamente all’ulteriore materiale istruttorio.

E’ infatti ammessa la produzione di dichiarazioni di terzi sia da parte del contribuente che dell’Amministrazione.

Sul punto si richiama Cass. sez. 6-5, 16 marzo 2018, n. 6616 secondo cui “nel giudizio tributario, anche il contribuente, come l’Amministrazione finanziaria, ha la possibilità di introdurre dichiarazioni scritte rese da terzi, aventi valenza indiziaria in proprio favore, in conformità ai principi del giusto processo ex art. 6 CEDU, stante l’irrogazione, nell’ambito dello stesso, di sanzioni assimilabili a quelle penali”.

Tuttavia il valore probatorio delle dichiarazioni non è in alcun modo assimilabile a quello della prova testimoniale “pura” in quanto verrebbe sostanzialmente vanificata la previsione contenuta nell’art. 7, comma 4, sopra citato.

In merito Cass. sez. 6-5, 19 novembre 2018, n. 29757 ha precisato che “nel processo tributario il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, non osta alla produzione sia da parte dell’Amministrazione finanziaria che, in ragione dei principi del giusto processo ex art. 111 Cost., del contribuente, di dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale che assumono valenza indiziaria sul piano probatorio. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha ritenuto insufficiente ad integrare la prova contraria richiesta al contribuente la sola dichiarazione scritta della madre, in assenza di ulteriori elementi).

In termini Cass. sez. 5, 12 aprile 2013, n. 8987.

Pertanto, qualora il giudice di merito valuti la prova testimoniale acquisita attraverso la dichiarazione scritta unitamente al residuo materiale istruttorio e non faccia assurgere tale dichiarazione ad unico elemento fondate la decisione, non viola in alcun modo la norma.

8. Il terzo motivo è, anch’esso, infondato.

Il divieto di proposizione di nuove eccezioni in appello ai sensi del D.Lgs. n. 46 del 1992, art. 57, va tenuto distinto dai limiti alle nuove prove in appello di cui al successivo art. 58.

Infatti, il primo riguarda la proposizione delle eccezioni volte a paralizzare la pretesa fiscale dell’Amministrazione, mentre il secondo attiene alla possibilità di disporre nuove prove ed alla facoltà delle parti (prevista dal comma 2) di produrre nuovi documenti.

Tuttavia, tale nuova produzione documentale non può costituire uno strumento per superare la limitazione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, da intendersi riferita a qualsiasi elemento che sia in grado di mutare l’oggetto della decisione in appello attraverso l’introduzione di nuovi temi d’indagine.

Nel caso di specie, dal confronto che si può agevolmente compiere tra le pagg. 6 – 8 del ricorso per cassazione (ove sono riprodotti i motivi di impugnazione dell’accertamento) e le pagg. 17 e 18 (ove si rinvengono i motivi di appello avverso la sentenza di primo grado) appare evidente come si sia tentato di estendere, davanti alla CTR, l’oggetto della cognizione di quel giudice.

Nell’indicazione dei motivi di impugnazione davanti alla Commissione provinciale manca ogni riferimento alle argomentazioni, presenti, invece, nei motivi di appello, relative alle dimensioni della farmacia ed al suo volume di affari, all’analisi dei costi e delle vendite, agli sconti applicati.

Proprio sul volume di affari della farmacia si concentra lo stralcio della relazione tecnica allegata all’atto di appello e riprodotta nel ricorso per cassazione.

In tema di “nova” nel giudizio di appello tributario, si registrano interventi di questa Corte in termini piuttosto consolidati e costanti nel senso che ciò che è precluso, nel giudizio di appello, è l’ampliamento del “tema di indagine” o dell'”oggetto del giudizio” sottoposto al giudice di primo grado con l’impugnazione originarla dell’atto contenente la pretesa fiscale dell’Amministrazione.

In tal senso va interpretata, secondo la Corte, la distinzione tra eccezioni in senso proprio (precluse se proposte per la prima volta in appello) ed eccezioni in senso lato (sempre proponibili).

Così Cass. sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27562, ha deciso che “in tema di processo tributario, il divieto di “nova” in appello, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, si applica, oltre che alle domande, alle eccezioni in senso proprio, intese come lo strumento processuale con cui il contribuente, in qualità di convenuto in senso sostanziale nel giudizio di impugnazione di cartella esattoriale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia impeditiva, modificativa o estintiva della pretesa fiscale, da cui derivano il mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa ed il conseguente ampliamento del tema della decisione, implicando la deduzione di fatti che richiedono una specifica indagine, non effettuabile per la prima volta in appello”.

In senso sostanzialmente conforme Cass. sez. 6-5, 23 maggio 2018, n. 12651 ove è stato affermato che “nel processo tributario, la parte resistente la quale, in primo grado, si sia limitata ad una contestazione generica del ricorso può rendere specifica la stessa in sede di gravame poichè il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, riguarda solo le eccezioni in senso stretto e non anche le mere difese, che non introducono nuovi temi di indagine”.

Nel caso in esame, attraverso la relazione tecnica allegata all’atto di appello, sono stati introdotti elementi valutativi concernenti fatti sottratti alla cognizione del giudice di primo grado e non trova fondamento il motivo di ricorso con il quale il contribuente si duole del giudizio di “novità” delle relative eccezioni.

9. In ordine al quarto motivo si osserva che esso è declinato in una doppia formulazione che include sia il vizio di nullità del procedimento (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) sia quello di omesso esame di un fatto decisivo “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Sotto entrambi gli aspetti esso è inammissibile.

Alla conclusione si perviene con l’unitaria considerazione che la CTR ha preso in esame la questione e l’ha risolta ritenendo adeguatamente motivati gli atti impugnati tenuto conto del compendio probatorio in essi indicato e consistente, come sopra riportato, nel contenuto dell’agenda e nelle dichiarazioni del Pa..

Materiale, peraltro, posto a confronto con le argomentazioni difensive, per come illustrato a pag. 3 della motivazione.

Anche in questo caso, quindi, il vizio complessivamente rilevato attiene ad un difetto di motivazione sindacabile nei limiti già indicati in sede di analisi del primo motivo alla cui argomentazione si rinvia.

10. Il quinto motivo è parimenti inammissibile.

Con esso si contesta l’avere ritenuto la CTR inconferente la sentenza penale assolutoria del Tribunale di Brescia in ragione della diversità tra l’imputazione (commercio o somministrazione di medicinali guasti ex art. 443 c.p.) e l’oggetto del procedimento tributario.

Si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In realtà, il motivo tende, anche in questo caso, ad aggredire la motivazione della sentenza di appello e non riguarda un “fatto storico”, bensì l’interpretazione della CTR in ordine ad un elemento istruttorio che è stato preso in considerazione e motivatamente disatteso.

Fra le molte decisioni sul punto rese da questa Corte, può essere richiamata Cass. Sez. 2, 29 ottobre 2018, n. 27415 con la quale è stato affermato che “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo alli omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Dunque, il motivo non attiene ad un “fatto” ma ad una prova ed inoltre assume un presupposto inesistente quale l’omessa motivazione che, come visto, la CTR ha reso.

Ne deriva che il ricorso deve essere complessivamente rigettato essendo prive di fondamento anche le argomentazioni difensive precisate con la memoria difensiva.

La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.

Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte;

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali sopportate dall’Agenzia delle Entrate che liquida in 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021

 

 

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