Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11613 del 06/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 06/06/2016, (ud. 19/04/2016, dep. 06/06/2016), n.11613

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20537/2014 proposto da:

D.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

RAFFAELE DE VITO giusta mandato speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 409/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

17/01/2014, depositata il 12/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/04/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte di appello di Napoli ha rigettato il ricorso di D. V. ed ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli che aveva accertato la tardività della domanda amministrativa, presentata il 12.11.2002 quando il termine di decadenza triennale era oramai decorso.

La Corte di merito ha inoltre constatato che anche per altro profilo la domanda era inammissibile.

Il ricorso giudiziario sarebbe stato proposto quando il termine annuale di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 5, comma 3, avente carattere perentorio, era oramai decorso.

Per la cassazione della sentenza ricorre il D. che articola tre motivi con i quali denuncia:

1.- la violazione e falsa applicazione della L. n. 210 del 1992, art. 3, commi 1 e 7, come modificati dalla L. n. 238 del 1997, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, oltre che l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Sostiene il ricorrente che la decadenza introdotta nel 1997 anche con riguardo alle epatopatie post trasfusionali non troverebbe applicazione al caso in esame trattandosi di contagio avvenuto prima dell’entrata in vigore della legge del 1997.

Comunque sottolinea che la piena e definitiva consapevolezza della persistenza dell’infezione epatica si era avuta solo nel periodo 8 –

17.11.2002 quando fu diagnosticata l’epatite cronica da virus 0, genotipo HCV, irreversibile e potenzialmente evolutiva.

Contesta di non aver allegato e documentato la data in cui ebbe sicura conoscenza del nesso di causalità avendo al contrario allegato che solo con la certificazione medica della ASL dell’8.11.2002 aveva acquisito tale consapevolezza evidenziando che solo in esito all’esame da parte della Commissione Medica Ospedaliera del 6.2.2004 (verbale n. 279 allegato al decreto di rigetto) era venuto a conoscenza delle conseguenze dannose per la salute.

2.- violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324 c.p.c., art. 2909 c.c. e della L. n. 210 del 1992, art. 5, n. 3. Sostiene la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale avrebbe rilevato d’ufficio in grado di appello la questione, mai sollevata nè in primo nè in secondo grado, della tardività dell’azione giudiziaria proposta oltre l’anno dalla data in cui l’esito del ricorso amministrativo avrebbe dovuto essere comunicato.

Sostiene il ricorrente che il termine fissato dall’art. 5 citato, in assenza di una esplicita previsione di perentorietà, ha carattere ordinatorio e dunque non sarebbe maturata alcuna decadenza.

3.- nullità della sentenza per omessa pronunzia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Sia il Tribunale che la Corte di appello avrebbero omesso di pronunciare sulla domanda, pure contestualmente proposta sin dal primo grado insieme alla domanda di riconoscimento dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, di condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno in relazione alla responsabilità extracontrattuale del Ministero convenuto.

Sottolinea il ricorrente che la domanda non è stata mai esaminata e che il diritto al risarcimento dei danni conseguenti a trasfusioni concorre con il diritto all’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992.

Resiste con controricorso il Ministero della Salute.

Appare preliminare l’esame della censura formulata con il secondo motivo di ricorso che attiene alla proponibilità della domanda giudiziaria.

Va in proposito rammentato che a norma della L. n. 210 del 1992, art. 5, comma 3 è “facoltà del ricorrente esperire l’azione dinanzi al giudice ordinario competente entro un anno dalla comunicazione della decisione sul ricorso o, in difetto, dalla scadenza del termine previsto per la comunicazione”.

Tale disposizione è stata interpretata nel senso che il termine annuale per la proposizione della domanda giudiziale ha natura perentoria (cfr. Cass. 30 gennaio 2012 n. 1272 autorevolmente confermata da s.u. 14.4.2015 n. 15687 in motivazione).

Si è sottolineato che dalla formulazione della norma si evince chiaramente la volontà del legislatore di attribuire natura perentoria al suddetto termine. Dalla lettura complessiva dell’art. 5, emerge, infatti, che il legislatore ha inteso cadenzare in modo rigido i tempi del procedimento amministrativo relativi alla presentazione del ricorso, alla formalizzazione della decisione, all’impugnazione della determinazione negativa entro il termine annuale se ritualmente notificata, o in difetto di quest’ultima, nel termine annuale decorrente dalla scadenza del termine previsto per la comunicazione.

Sotto altro profilo la previsione di un termine perentorio appare in linea con la ratio legis, nel senso che risponde all’interesse della collettività garantire una sollecita definizione di controversie di notevole impatto sociale, evitando di procrastinare nel tempo le decisioni in relazione a domande che devono scontare una complessa fase di valutazione in sede amministrativa.

Nel caso di specie, come rilevato dalla Corte territoriale, il ricorso dinanzi al giudice ordinario è stato proposto in data 7 dicembre 2010 (data del deposito del ricorso introduttivo) e quindi poco meno di quattro anni dopo la comunicazione del rigetto del ricorso amministrativo (D.M. 30 novembre 2006, comunicato l’11.12.2006) avverso il giudizio (negativo) della competente Commissione medica ospedaliera (CMO).

La Corte territoriale ha fatto applicazione dei suddetti principi in tema di carattere perentorio del termine annuale fissato dalla L. n. 210 del 1992, art. 5, comma 3.

Sostiene tuttavia il ricorrente che tale questione sarebbe stata sollevata d’ufficio solo in appello dalla Corte che dunque sarebbe incorsa in un vizio di extra petizione.

I rilievi formulati con la censura non sono condivisibili atteso che nel caso in esame non si può invocare l’esistenza di un giudicato interno sulla questione della decadenza dall’azione giudiziaria, dal momento che, come questa Corte ha ripetutamente affermato, in sede di impugnazione, l’esame di questioni pregiudiziali o preliminari rilevabili d’ufficio resta precluso per effetto del giudicato interno formatosi sulla pronuncia che abbia esplicitamente risolto tali questioni, ovvero sulla pronuncia che nel provvedere su alcuni capi della domanda, abbia necessariamente statuito per implicito sulle stesse.

Tale preclusione evidentemente non si verifica quando, come nel caso in esame, la sentenza di primo grado abbia rigettato integralmente la domanda formulata con il ricorso avendo ritenuto sotto altro aspetto (avvenuto decorso del termine triennale di decadenza) inammissibile la domanda amministrativa ed infondato il ricorso.

Resta aperta in tal caso la possibilità per la Corte di appello di verificare anche d’ufficio la proponibilità della domanda giudiziaria (Cass., Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 7039, ed ivi ampi riferimenti giurisprudenziali; Cass., 27 maggio 2005, 11318; Cass., 4 novembre 2011, n. 22899). In conclusione va confermata la sentenza che ha ritenuto tardiva la domanda giudiziaria rigettandola, restando assorbito l’esame del primo motivo di ricorso.

Quanto alla denunciata omessa pronuncia da parte della Corte di appello sulla domanda di risarcimento del danno si osserva che dall’esame degli atti, consentito dalla censura formulata, si evince che effettivamente la domanda è stata formulata in primo grado ed il suo esame è stato del tutto omesso dal Tribunale che ha preso in esame solo la questione della decadenza.

La domanda è stata poi reiterata nelle conclusioni dell’atto di appello senza però articolare alcuna specifica censura alla sentenza nel corpo dell’atto di appello con conseguente passaggio in giudicato della sentenza sul punto.

Alla luce delle esposte considerazioni, conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del presente giudizio, in considerazione del contrasto giurisprudenziale solo di recente composto dall’intervento delle Sezioni Unite, vanno compensate tra le parti.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2016

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