Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11612 del 04/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 04/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 04/05/2021), n.11612

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. est. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 27125/2015, proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

D.M.G.A.R., M.D., M.M.S.,

quali eredi di M.A., rappresentati e difesi dall’avv.to

Fabio Pace, con il quale sono elettivamente domiciliato in Milano,

al Corso di Porta Romana n. 89/b, giusto mandato in margine al

controricorso, domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 1237/24/14 della Commissione Tributaria

Regionale del Piemonte, depositata in data 29/10/2014 e non

notificata.

Udita la relazione del Consigliere Rosita d’Angiolella svolta nella

camera di consiglio del 28 gennaio 2021.

 

Fatto

RITENUTO

che:

D.M.G.A.R., M.D., M.M.S., quali eredi di M.A., ex dirigente ENEL, impugnarono il silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria avverso l’istanza di rimborso Irpef, a loro dire indebitamente ritenuta alla fonte, sull’importo erogato al loro dante causa a titolo di corresponsione anticipata della pensione integrativa prevista dall’accordo nazionale del 16 maggio 1985. La Commissione Tributaria Provinciale di Torino (di seguito, per brevità, CTP), con sentenza n. 36/25/07, respingeva il ricorso.

Tale decisione, appellata dagli aventi causa del M., veniva riformata dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte (di seguito, per brevità, CTR) che, con sentenza 21/25/07 rigettava l’appello.

Gli eredi del M. proponevano ricorso in Cassazione avverso tale sentenza sostenendo che la conversione del rapporto assicurativo “vita”, di cui all’originario accordo nazionale del maggio 1986, in quello “previdenziale integrativo” non comportava l’annullamento degli effetti del primo rapporto, sicchè non poteva applicarsi la tassazione separata di cui all’art. 16 t.u.i.r.

La Corte di cassazione, con sentenza depositata il 28 dicembre 2011, n. 29492, accoglieva parzialmente il ricorso principale con rinvio alla CTR di Torino per gli accertamenti conseguenti.

Gli eredi del M. riassumevano il giudizio innanzi alla CTR di Torino che con la sentenza in epigrafe accoglieva le ragioni dei ricorrenti applicando l’aliquota del 12,50%, ritenendo che le somme liquidate al contribuente provenivano dal cd. rendimento netto di polizza (inteso quale: “rendimento tra derivante dall’impiego del capitale in parola all’interno dell’azienda”, così sentenza pag. 8, secondo cpv.).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi a due motivi.

Resistono con controricorso gli eredi di M.A. i quali hanno proposto ricorso incidentale ed hanno presentato memoria ex art. 380 bis1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo d’impugnazione, la difesa erariale lamenta, in relazione, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1 comma 2, dell’art. 384 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., per aver, i secondi giudici, erroneamente interpretato i principi di diritto espressi da Cass. S.U. n. 13642 del 2011 (richiamata anche dalla sentenza n. 29492 del 2011, cui è seguito il giudizio di rinvio, conclusosi con la sentenza qui impugnata) e dal successivo orientamento seguito dalla Cassazione, senza accertare l’effettivo – e non ipotizzabile – investimento sul mercato finanziario per l’applicazione della ritenuta nella misura ridotta del 12,50%.

Con il secondo motivo, deduce, in subordine, l’omesso esame su un fatto controverso e decisivo per il giudizio consistente nella sussistenza ed, eventualmente, nella misura del rendimento derivante dall’impiego sui mercati finanziari e di rendimento delle somme affluite nel fondo (OMISSIS).

Con l’unico motivo di ricorso incidentale, i ricorrenti deducono l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7 e 63, in relazione alla perizia di parte prodotta dal contribuente idonea a soddisfare – a differenza di quanto ritenuto dai secondi giudici – l’onere probatorio incombente sulla parte.

Occorre anzitutto rammentare che, a decorrere dal 1 gennaio 1986 (in base al CCNL 16 maggio 1985, art. 12, comma 4, recepito dall’Enel), venne prevista a favore dei dirigenti Enel la stipula di un’assicurazione sulla vita con la previsione contrattuale dell’erogazione di una prestazione al momento del collocamento a riposo.

Successivamente, sempre nel 1986 ((OMISSIS)), a seguito di apposita richiesta delle rappresentanze sindacali dei dirigenti, tale previsione venne modificata con l’accordo tra l’Enel e la Federazione nazionale dirigenti di aziende industriali (Fndai), in virtù del quale venne sostituito il trattamento assicurativo di cui sopra con un rapporto di “previdenza pensionistica integrativa” (c.d. (OMISSIS), ovvero Previdenza Integrativa Aziendale) con prestazioni da erogare in forma di trattamento periodico (ciò peraltro con efficacia retroattiva al 1 gennaio 1986, da ciò potendosi desumere che la disposizione che prevedeva la stipula di polizze vita di fatto non venne mai applicata).

Tale forma di previdenza venne però dismessa nel 1998 e i fondi accumulati trasferiti a “(OMISSIS)”, Fondo di Previdenza integrativa esterno, chiamato a gestire una forma di previdenza complementare a capitalizzazione individuale, con diritto degli aderenti alla liquidazione dell’intero capitale in luogo della rendita vitalizia.

E’ pacifico tra le parti, che il contribuente, M.A., si è iscritto al Fondo anteriormente al 1993.

Ciò posto, secondo i principi di questa Corte consolidatesi proprio a seguito della sentenza delle Sez. U. 22 giugno 2011, n. 13642, richiamata nella parte narrativa della sentenza impugnata, nel ricorso e nel controricorso, in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che “risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124” ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dall’I gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al citato D.P.R. n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17″.

E’ altresì principio consolidato, che il trattamento tributario dei “vecchi” iscritti, quindi prima del 21 aprile 1993, dipende dalla “composizione strutturale delle prestazioni”, che sono appunto composte da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole misura dal lavoratore) e da un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato. Sul punto, la successiva ed attuale giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex plurimis, Cass., 26 aprile 2017, n. 10285; Cass., 18 ottobre 2017, n. 24525; Cass., 7 marzo 2018, n. 5436; Cass., 2 marzo 2018, n. 4941; Cass., 19 giugno 2018, n. 16116; Cass., 28 febbraio 2020, n. 5487; Cass.,. 13 marzo 2020, n. 7223), si è già attestata, con numerosi arresti, di gran lunga prevalenti su quelli di segno diverso, su una lettura del principio affermato dalle Sezioni Unite secondo la quale il più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rivenienti dall’effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato finanziario (o comunque di riferimento) del capitale accantonato e che ne costituiscono il rendimento.

Resta dunque confermato che sono tassabili con l’aliquota del 12,50%, ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6, i capitali maturati anteriormente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti al fondo di previdenza integrativa di che trattasi ((OMISSIS), poi (OMISSIS)) prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, limitatamente a quella parte di essi costituita dal “rendimento netto”, derivante dalla gestione sul “mercato” da parte del fondo del capitale accantonato, con la realizzazione di un rendimento.

La Commissione regionale si è limitata ad affermare che dall’attestazione Enel prodotta dai contribuenti “…risultano i contributi a carico del dirigente e quelli a carico dell’azienda oltre che il rendimento conseguiti nel periodo di permanenza nella forma previdenziale complementare. Dal che se ne deve desumere che siffatta differenza altro non era che il rendimento derivante dall’impiego del capitale in parola all’interno dell’azienda. Visto sotto altro aspetto non può tale differenza essere considerata quale costo di un fattore produttivo (vale a dire del personale) sostenuto dall’azienda in base ad accordi contrattuali, prospettazione questa non allegata dall’Agenzia delle entrate Quindi il rimborso richiesto sul cui ammontare controparte nulla contesta, deve ritenersi legittimo per differenza tra l’aliquota applicata (36,35%) e quella corretta da applicarsi (12,50%)”.

In tal modo la Commissione ha ritenuto che parte dell’importo corrisposto al contribuente aveva natura di “rendimento”, senza però specificare le ragioni per cui vi sarebbe stata la prova che parte del capitale accantonato era stato investito nel “mercato di riferimento”. Sebbene, per quanto innanzi evidenziato, tale requisito andrà ricercato anche per i capitali maturati e gli accantonamenti effettuati anteriormente alla trasformazione del fondo da (OMISSIS) a (OMISSIS), è certamente da escludere che esso possa considerarsi soddisfatto dall’essere il rendimento corrispondente alla redditività ottenuta sul mercato dell’intero patrimonio dell’Enel, poichè tale coerenza costituisce il risultato di una mera operazione matematica e non effettivamente il frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato.

In particolare, va rilevato che dai documenti posti alla base della decisione e riscontrati in atti (attraverso il richiamo fattone dalle parti), non si evincono elementi probatori idonei a dimostrare che il capitale accantonato del contribuente ha costituito una “posizione individuale” ed è stato investito nel mercato di riferimento (immobiliare o finanziario), con l’assoggettabilità all’aliquota più favore del 12,50%.

Quanto alla certificazione Enel ed alla perizia di parte di cui al ricorso incidentale, questa Corte ha più volte chiarito che tale documentazione non è idonea ad assolvere l’onere probatorio gravante sul contribuente che agisca per ottenere l’accertamento del suo diritto al rimborso poichè, non contiene alcuna specificazione dei criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (cfr. Cass., 15 marzo 2017, n. 13278; Cass., 16 marzo 2017, n. 1328; Cass., 3 aprile 2019, n. 9246).

Ed infatti, il prospetto Enel richiamato in sentenza e controricorso, certifica soltanto la differenza tra il totale del capitale lordo da liquidare e la somma di dotazione iniziale e, quindi, contributi del lavoratore e contributi del datore di lavoro.

Il rendimento indicato nella certificazione Enel è, dunque, il rendimento ottenuto corrispondente alla redditività conseguita sul mercato dell’intero patrimonio dell’Enel, quindi il rapporto tra il margine operativo lordo e il capitale investito, che, in quanto tale, non può considerarsi frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato, essendo, al contrario, dipeso da un predeterminato calcolo di matematica attuariale. Quanto alla Relazione attuariale, prodotta nei giudizi di merito e richiamata a pag. 46 del controricorso, in disparte il rilievo che non può valere come mezzo di prova, ma soltanto come allegazione difensiva, anch’essa nulla dice circa l’incremento della quota individuale del fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato.

In conclusione, la CTR non ha fatto buon governo dei principi esposti laddove ha ritenuto che il rendimento netto sul quale deve essere applicata l’aliquota del 12,50% è costituito dai rendimenti risultanti dalle attestazioni Enel, dovendosi escludere che “il requisito dell’essere il rendimento imputabile alla gestione sul mercato possa corrispondere alla reddività ottenuta sul mercato dall’intero patrimonio dell’Enel”. (cfr. Cass., 26 aprile 2017, n. 10285); non solo, ha errato anche laddove, senza indicare gli elementi di fatto caratterizzanti la fattispecie, ha ritenuto che le attestazioni Enel e la perizia costituissero la prova di un impiego sul mercato di capitali accantonati, assoggettabili ad un’aliquota minore.

Va considerato, infine, che tali conclusioni risultano confermate dalla relazione n. 32/1999 della Corte dei conti – sezione del controllo sugli enti – proprio sul bilancio consuntivo dell’Enel relativo all’esercizio finanziario 1997 (cfr., Cass., 19/06/2018, n. 16116; Cass., 13/11/2019, n. 29396; Cass., 23/11/2020, n. 26543).

Il ricorso principale va, dunque, accolto in relazione al primo motivo (essendo stato il secondo mezzo proposto in via subordinata) e non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto – e in ossequio al principio di ragionevole durata del processo – la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., con rigetto del ricorso proposto dagli aventi causa del contribuente M.A.. Il ricorso incidentale è respinto.

Le difficoltà sorte per la concreta applicazione del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13642 del 2011, come ribadito dalla su indicata sentenza del 28 dicembre 2011 n. 29462, che ha dato luogo al giudizio di rinvio conclusosi con la sentenza qui impugnata, giustificano la compensazione tra le parti dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale e decidendo nel merito rigetta la domanda del contribuente. Rigetta il ricorso incidentale. Dichiara compensate le spese dell’intero giudizio. Ulteriore contributo a carico del ricorrente incidentale.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021

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