Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11611 del 13/05/2010

Cassazione civile sez. III, 13/05/2010, (ud. 28/04/2010, dep. 13/05/2010), n.11611

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Z.A. (OMISSIS) in proprio e nella qualita’ di

socia accomandataria e rappresentante legale della “SERVIZI

FARMACEUTICI PORZIO S.A.S” elettivamente domiciliata presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’Avvocato GIORDANO CIRO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZALE CLODIO 12, presso lo studio dell’avvocato AGOSTA

GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

IMPERATORE ENNIO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 148/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

SEZIONE TERZA CIVILE, emessa il 20/1/2006, depositata il 14/02/2006,

R.G.N. 5082/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2010 dal Consigliere Dott. D’AMICO Paolo;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Z.A. in proprio e quale legale rappresentante della s.a.s. Servizi Farmaceutici Porzio, con ricorso al Pretore di Napoli del 15.4.1994 esponeva che agli inizi del 1981 aveva chiesto in locazione a G.F. un appartamento da adibire a propria abitazione; che il G. si era dichiarato disposto a locare detto immobile a condizione che il relativo contratto venisse intestato ad una societa’ e quindi destinato ad uso ufficio; che si era proceduto alla stipula del contratto di locazione inteso ad eludere la normativa della L. n. 392 del 1978.

Tanto premesso, l’attrice chiedeva dichiararsi la nullita’ del contratto di locazione per simulazione e, in ogni caso, L. n. 392 del 1978, ex art. 80, che venisse determinato l’equo canone, con conseguente condanna del G. alla restituzione di tutte le somme pagate indebitamente.

Quest’ultimo contestava la domanda.

Con sentenza n 9518/04 il Tribunale di Napoli rigettava la domanda attrice.

Avverso detta sentenza proponeva appello dinanzi alla Corte distrettuale di Napoli la Z. in proprio e nella qualita’ di socia accomandataria e legale rappresentante della Servizi Farmaceutici Porzio s.a.s..

La Corte d’Appello di Napoli rigettava il gravame.

Proponeva ricorso la Z. in proprio e nella dedotta qualita’.

Resisteva con controricorso G.F..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi due connessi motivi del ricorso, Z.A. rispettivamente denuncia: 1) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 246 e 247 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – Omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”; 2) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – Omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Sostiene la ricorrente che l’impugnata sentenza e’ censurabile sotto vari profili. In primo luogo perche’ il giudice a quo, lungi dal decidere sulla base degli atti di causa e della copiosa documentazione da lei stessa prodotta, ha seguito acriticamente la memoria di costituzione e di risposta di controparte, senza effettuare alcuna verifica delle asserzioni e argomentazioni ivi contenute. In secondo luogo perche’ la motivazione e’, per un verso, carente, non risultando precisate le asserite contraddizioni in cui sarebbe incorsa la stessa Z.; per altro verso viziata, soprattutto in tema di accertamento della dedotta simulazione.

La ricorrente critica in particolare la valutazione delle prove testimoniali effettuata dal Giudice di merito nonche’ il mancato rispetto di risultanze istruttorie ritenute decisive che, se effettivamente e globalmente valutate, avrebbero a suo avviso condotto ad una decisione completamente diversa da quella adottata.

Precisa infine la Z. che anche le risultanze documentali sono state del tutto ignorate dal giudice a quo.

Con il secondo motivo parte ricorrente tenta soprattutto di dimostrare che il Giudice di merito ha errato nel non ritenere provata la simulazione, intervenuta sia sull’entita’ della pigione che sulla destinazione dell’appartamento. E sottolinea come a suo avviso la motivazione della sentenza risulti incongrua anche sul punto della confessione stragiudiziale del locatore.

Entrambi i motivi sono infondati. Come risulta infatti dalla precedente esposizione, essi vertono su profili di merito – quali la valutazione delle prove, testimoniali e documentali, l’accertamento della simulazione, il ruolo delle presunzioni – che non sono suscettibili di esame in sede di legittimita’ ove la motivazione del giudice di merito risulti congrua e immune da vizi logici o giuridici.

A tale giudice infatti, in tema di procedimento civile, sono riservate l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonche’ la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento e la stima dell’attendibilita’ delle testimonianze. Del pari insindacabile in sede di legittimita’ e’ poi il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre ove il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato (Cass., 28.1.2004, n. 1554; Cass., 3.10.2007, n. 20731).

Nella specie, l’impugnata sentenza ha svolto un attento esame delle risultanze probatorie, sia testimoniali che documentali e ne ha formulato una convincente valutazione anche in ordine al “peso” da attribuire a ciascuna di esse. Parte ricorrente, invece, al di la’ di quanto posto in evidenza nella intitolazione dei motivi e lungi dal formulare critiche alla pronuncia della Corte D’Appello sotto il profilo della violazione di legge, lamenta una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, attivita’ questa esterna alla esatta interpretazione delle norme di legge che impinge nella tipica valutazione del giudice di merito. Del resto la dimostrazione che il locatore era a conoscenza della finalita’ locativa concretamente perseguita dal conduttore non puo’ sostituire il consenso del medesimo alla stipula del negozio dissimulato, ma costituisce soltanto un elemento utilizzabile dal giudice di merito allo scopo di accertare, in relazione alle circostanze del caso concreto, la simulazione del contratto di locazione apparente e la conclusione del contratto dissimulato (Cass., 17.1.2003, n. 614).

Va peraltro rilevato che, in concreto, la testimonianza del mediatore circa l’incontro di volonta’ conferma la tesi di una locazione per uso ufficio. Ne’ la Corte d’Appello ha considerato inutilizzabili le testimonianze dei parenti perche’ ne ha reso una valutazione critica rispetto a quella del teste terzo e comunque gli stralci testimoniali riportati nel ricorso non sembrano condurre a una conclusione diversa circa una destinazione abitativa unilateralmente decisa.

Secondo la giurisprudenza d’altra parte, l’onere di provare l’accordo simulatorio grava sul conduttore, il quale ha la facolta’ di ricorrere anche alla prova per testimoni (e quindi anche a quella per presunzioni) poiche’ la prova tende a far valere l’illiceita’ delle clausole dissimulate contra legem (L. n. 392 del 1978, art. 79, comma 1 e art. 1417 c.c.) salvi gli ampi poteri istruttori esercitabili d’ufficio dal giudice, a norma dell’art. 447 bis c.p.c., comma 3 introdotto dalla L. n. 353 del 1990 (Cass., 26.5.2000, n. 6971).

Con il terzo motivo la Z. denuncia infine “Violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 246 e 247 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – Omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Lamenta parte ricorrente che la motivazione dell’impugnata sentenza e’ contraddittoria perche’ il giudice a quo prima afferma che la Z. si sarebbe trasferita nella sede della societa’ nel 1985 e poi sostiene che non sarebbe stata data la prova del cambio di destinazione dell’immobile.

Ugualmente illogica ed immotivata ritiene parte ricorrente che sia l’affermazione del Giudice di merito circa la carenza di prova in ordine al requisito della “prevalenza” dell’uso abitativo, non avendo il giudice specificato da quali elementi abbia tratto la tesi di un uso promiscuo dell’appartamento.

Anche in relazione al terzo motivo valgono le considerazioni svolte in relazione ai primi due. Gli argomenti utilizzati dalla Z. vertono infatti su profili di merito mentre la motivazione non presenta le denunciate contraddizioni. Ed infatti i punti di dissenso del ricorso rispetto alla sentenza riguardano non tanto l’interpretazione o l’applicazione di disposizioni di legge quanto la ricostruzione della fattispecie concreta, con speciale riguardo: al momento finale della permanenza della Z. nella sua originaria residenza (ed all’inizio della residenza nella nuova); alla prova del cambio di destinazione dell’immobile; alla prevalenza, se rilevante, dell’uso abitativo rispetto ad altri usi; all’intento simulativo delle parti.

Per quanto riguarda poi la richiesta di integrazione del canone per manutenzione straordinaria (come se fosse locazione abitativa), ulteriore argomento questo fatto valere da parte ricorrente, tale censura deve ritenersi inidonea per difetto del requisito di autosufficienza perche’ non si riporta il contenuto del documento che non consente di valutare l’incidenza ai fini del decidere.

Con il quarto ed ultimo motivo si censura infine la decisione in merito alle “spese processuali” ritenendosi che una eventuale riforma della impugnata sentenza dovrebbe comportare una diversa decisione sulle stesse.

A seguito del rigetto di tutti i precedenti motivi anche quest’ultimo deve essere respinto.

In conclusione, per tutte le esposte ragioni, il ricorso deve essere rigettato, con imputazione delle spese del processo di cassazione a parte ricorrente, nella misura indicata in dispositivo.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del processo di cassazione che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 4.000,00 per onorario oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2010

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