Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11610 del 26/05/2011

Cassazione civile sez. III, 26/05/2011, (ud. 19/04/2011, dep. 26/05/2011), n.11610

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9377/2009 proposto da:

ALLIANZ SPA (OMISSIS) (già RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA’

S.p.A.), in persona dalla Dott.ssa P.E. e del Dott.

G.A., dirigenti e legali rappresentanti pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio

dell’avvocato ROMA Michele, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FRIGNANI ALDO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’Avvocato MONTESANTO COSTANTINO ANTONIO, con studio in

84010 CETARA (SALERNO), Via Grotta n. 10 giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 91/2009 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

Sezione civile, emessa il 30/12/2008, depositata il 30/01/2009;

R.G.N. 1121/2007.

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

19/04/2011 dal Consigliere Dott. RAFFAELLA LANZILLO;

udito l’Avvocato FRIGNANI ALDO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 91/2009, depositata il 30 gennaio 2009 e notificata il 12 febbraio successivo, la Corte di appello di Salerno ha condannato la s.p.a. Allianz Assicurazioni a pagare ad T. A. la somma di Euro 53,50, oltre rivalutazione monetaria e interessi, in risarcimento dei danni ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 33, per violazione da parte della compagnia assicuratrice delle norme a tutela della concorrenza, come accertato con provvedimento sanzionatorio 28.7.2000 n. 8546 dell’AGCM. Con atto notificato il 10 aprile 2009 Allianz propone quattro motivi di ricorso per cassazione, illustrati da memoria.

Resiste l’intimato con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- La Corte di appello di Salerno ha desunto la sussistenza dell’illecito anticoncorrenziale dal citato provvedimento dell’AGCM n 8546/2000, il quale ha inflitto sanzione ad un largo numero di società assicuratrici, fra cui l’odierno ricorrente, per avere posto in essere un’intesa orizzontale, nella forma di una pratica concordata, consistente nello scambio sistematico di informazioni commerciali sensibili tra imprese concorrenti, con riferimento alle polizze di RCA. L’Autorità garante ha altresì rilevato che detta pratica ha comportato un notevole incremento dei premi, nel periodo interessato dal comportamento illecito (anni 1994 – 2000), con riferimento sia al livello in vigore in Italia fino al 1994, anteriormente alla liberalizzazione delle tariffe; sia alla media dei premi sul mercato europeo, che è risultata inferiore di circa il 20% rispetto ai premi praticati in Italia.

La sentenza impugnata ha quantificato il danno subito dal T. in misura corrispondente alla suddetta percentuale del 20%, calcolata sul premio pagato dallo stesso per una polizza RCA, nel periodo 26 aprile – 26 ottobre 2000, affermando che la compagnia assicuratrice, a suo tempo partecipe dell’illecita intesa, non ha fornito alcuna prova idonea ad escludere il nesso causale fra l’illecito anticoncorrenziale e il suddetto incremento del premio.

2.- Con il primo e il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., e nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè vizi di motivazione, la ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia omesso di prendere in esame le sue deduzioni, e la relativa documentazione, circa il fatto che il premio praticato al ricorrente non è frutto del comportamento anticoncorrenziale, ma dipende da una serie di cause esterne, che hanno comportato un notevole incremento dei costi per le compagnie assicuratrici: fra cui le truffe in loro danno;

l’incremento della litigiosità; il lievitare dei risarcimenti a causa dei nuovi criteri di quantificazione del danno biologico;

l’incidenza delle imposte, l’adeguamento delle riserve sinistri imposto in sede comunitaria; il livello di inflazione in vigore in Italia e le forti passività che connotavano la situazione economica delle compagnie assicuratrici alla vigilia della privatizzazione del 1994.

Specifica di avere prodotto a dimostrazione di tali circostanze:

a) un parere redatto dall’ISVAP, su richiesta dell’AGCM, nel corso della procedura di accertamento dell’illecito, che ha posto in particolare evidenza la lievitazione del costo dei sinistri, a causa dei nuovi criteri di risarcimento dei danni alla persona, e la crescita delle riserve sinistri, che in termini reali è risultata essere del 77%;

b) il Provvedimento 17 aprile 2003 n. 11891, con cui l’AGCM ha disposto la chiusura di un’indagine conoscitiva sul settore, avviata nel 1996, avendo accertato che la struttura del mercato assicurativo in Italia presenta aspetti che di per sè spiegano l’incremento delle tariffe, fra cui la massiccia presenza di relazioni verticali di esclusiva nel settore della distribuzione (reti di agenti monomandatari), che incrementa i costi di ricerca da parte del consumatore delle polizze più vantaggiose e ostacola l’ingresso sul mercato di nuovi operatori; e la mancanza (all’epoca) di modalità di indennizzo diretto, idonee a limitare i costì di liquidazione dei sinistri;

c) la relazione del Parlamento italiano alla L. 12 dicembre 2002, n. 273, che ha parimenti individuato fra i fattori di costo delle polizze assicurative le truffe ai danni delle assicurazioni; la difficoltà di garantire un’adeguata informazione dei consumatori, anche tramite la pubblicità via internet, ed altre circostanze diverse dal comportamento illecito contestato dall’AGCM. Assume che la Corte di appello è così pervenuta a ravvisare il danno nel solo fatto che Allianz ebbe a partecipare all’illecito concorrenziale, in violazione del principio enunciato da questa Corte, secondo cui, nei casi simili a quello in esame, il danno non può essere ritenuto in re ipsa ed il giudice è tenuto a valutare gli elementi di prova offerti dall’assicuratore al fine di dimostrare l’intervento di fattori causali diversi, che siano stati da soli idonei a produrre il danno, o che abbiano, comunque, concorso a produrlo (Cass. civ. 2 febbraio 2007 n. 2305).

3.- Con il terzo motivo, denunciando violazione dell’art. 2729 cod. civ., assume che la sentenza impugnata ha fatto malgoverno dei principi in tema di presunzioni semplici, secondo cui una prova per presunzione non può essere desunta da altra presunzione.

La Corte non avrebbe accertato la concreta incidenza delle pratiche concordate sul livello dei premi praticati da Allianz, ma avrebbe desunto la relativa prova dalla presunzione che le informazioni scambiate fra le compagnie fossero potenzialmente utilizzabili a questo scopo, senza nulla accertare quanto alla loro concreta utilizzazione.

4.- Con il quarto motivo la ricorrente ancora lamenta omessa motivazione in ordine alla valutazione degli elementi di prova circa il fatto che il livello del premio applicato alla controparte sia dipeso dall’illecito comportamento contestato dall’AGCM alla compagnia assicuratrice, anzichè dalle altre cause sopra richiamate.

5.- I motivi – che possono essere congiuntamente esaminati, perchè tutti attengono al problema dell’accertamento del nesso causale fra il livello del premio e la partecipazione della compagnia assicuratrice all’intesa sanzionata dall’Autorità garante – non sono fondati.

5.1.- La sentenza di questa Corte n. 2305/2007 – di cui la ricorrente invoca l’autorità di precedente idoneo a giustificare la fondatezza delle sue ragioni – ha posto una serie di punti fermi, quanto alle controversie del genere di quella in oggetto, che è opportuno richiamare:

a) l’azione risarcitoria proposta dall’assicurato tende alla tutela dell’interesse giuridicamente protetto (dalla normativa comunitaria, dalla Costituzione e dalla legislazione nazionale) a godere dei benefici della libera competizione commerciale, nonchè alla riparazione del danno ingiusto, consistente nell’aver pagato un premio di polizza superiore a quello che avrebbe potuto pagare in condizioni di libero mercato;

b) per ottenere il risarcimento dei danni l’assicurato ha l’onere di allegare la polizza assicurativa contratta (quale manifestazione della condotta finale del preteso danneggiante) e l’accertamento in sede amministrativa della partecipazione dell’assicuratore all’intesa anticoncorrenziale (quale condotta preparatoria);

c) a fronte di tali adempimenti, il giudice può ravvisare l’esistenza del nesso causale tra l’illecito e il danno anche in base a criteri di alta probabilità logica, o per il tramite di presunzioni probabilistiche, fondate sul rapporto di sequenza costante tra un dato antecedente e l’effetto che vi si ricollega;

d) deve essere garantita all’assicuratore la possibilità di fornire la prova contraria, indicando le circostanze idonee a dimostrare l’interruzione del nesso causale. La Corte di appello ha fondato la condanna della ricorrente sul giudizio probabilistico richiamato sub c), che ha desunto dalle stesse circostanze accertate dall’Autorità garante, e ha negato rilievo alle prove dedotte in contrario dalla ricorrente.

Essa ha correttamente deciso.

5.2.- Occorre in primo luogo esplicitare ciò che era rimasto in parte implicito nella precedente giurisprudenza di questa Corte, cioè che – qualora l’assicuratore convenuto sia stato partecipe del giudizio svoltosi davanti all’Autorità garante, riportando condanna – la prova dell’interruzione del nesso causale fra l’illecito e l’indebito aumento delle tariffe non può consistere nel rimettere in discussione le medesime circostanze di fatto il cui accertamento è già contenuto nel Provvedimento sanzionatorio.

Se è vero che l’AGCM ha inflitto condanna solo ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2, ravvisando un’intesa idonea a falsare il gioco della concorrenza, non invece un accordo di cartello sul livello dei premi, è indubbio che la rilevazione dell’abnorme incremento dei premi relativi alle polizze di RCA, nel periodo interessato dall’intesa, ha costituito da un lato un presupposto del giudizio di illiceità del comportamento: dall’altro lato un indubbio accertamento del suo effetto, in danno degli utenti dei servizi assicurativi.

L’AGCM ha motivato il giudizio di illiceità con il fatto che lo scambio di informazioni è andato ben oltre le finalità – lecite e fisiologiche per le imprese del settore – di comunicarsi i dati rilevanti per la determinazione del c.d. premio puro (cioè di quella parte del premio che è commisurata alla natura e all’entità dei rischi), e si è esteso a comprendere i c.d. dati sensibili, che concorrono a determinare l’importo del premio commerciale, che è quello concretamente convenuto in polizza e che include, oltre al premio puro, le imposte, i caricamenti corrispondenti ai costi ed alle spese generali e soprattutto l’utile di impresa (cfr. parr. 239- 251, 257 del Provvedimento n. 8546/2000). Ciò ha consentito alle imprese partecipanti di “coordinarsi rapidamente…..su di un equilibrio di mercato collusivo, anche in assenza di accordi espliciti sui prezzi” e di “adeguare le proprie strategie alla realizzazione di equilibri di prezzo a cui sia associato il massimo profitto congiunto per l’industria nel suo complesso, con grave danno per il corretto funzionamento del mercato e per i consumatori” (par.

251; par. 254 ss.).

Ha soggiunto l’Autorità garante che lo scambio di informazioni ha anche permesso di incrementare la frequenza degli aumenti di tariffa, passati dall’unica variazione annuale, nel primo anno di liberalizzazione, alle oltre quattro variazioni del 1999. Ogni impresa era infatti in grado di verificare che i concorrenti si conformassero alle proprie iniziative incrementative, il che consentiva, dopo un periodo di riallineamento, di assumere un’ulteriore, analoga iniziativa (parr. 71, 244, 258).

Nell’analisi della situazione di mercato l’AGCM ha accertato che, in conseguenza di tali comportamenti, fra il 1994 ed il 2000 i premi sono aumentati, del 96,55% (par. 70 Provv. 8546/2000), e del 63% rispetto alla media europea; che, se nel medesimo periodo i premi italiani per le polizze RCA avessero seguito incrementi analoghi a quelli della media degli altri paesi europei, i consumatori avrebbero risparmiato L. settemila miliardi, nel solo anno 1999 (par. 76).

L’AGCM pertanto – pur avendo emesso condanna solo per la violazione della L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2 – ha accertato che l’illecita intesa si è tradotta in un danno economico di rilevante importo per la massa generalizzata degli utenti dei servizi assicurativi RCA, ed il suddetto accertamento ha costituito parte integrate della valutazione di illegittimità dello scambio di informazioni fra le imprese, che avrebbe potuto essere altrimenti ritenuto legittimo, in considerazione delle esigenze di reciproca informazione al fine della valutazione dei rischi.

Il provvedimento sanzionatorio non ha accertato, cioè, solo il carattere potenzialmente lesivo dei benefici della concorrenza e degli interessi economici dei consumatori – come prospettato dalla ricorrente – ma anche il fatto che tale comportamento ha prodotto un’ingente ed ingiustificata lievitazione dei premi, sul mercato generale italiano delle polizze RCA. Ciò che è rimasto incerto ed a cui la giurisprudenza di questa Corte ha fatto riferimento, menzionando il carattere solo potenzialmente lesivo dell’illecito concorrenziale è la misura in cui ognuna delle singole imprese sanzionate ebbe a contribuire, con il suo comportamento e nei rapporti con i suoi assicurati, all’indebita lievitazione dei premi, poichè l’accertamento dell’AGCM ha fatto riferimento ai livelli medi dei premi europei ed al livello medio degli aumenti in Italia, ma poco o nulla specifica circa la misura in cui ogni singola impresa abbia effettivamente tradotto le informazioni acquisite tramite il comportamento collusivo nell’incremento dei premi praticati alla propria clientela.

L’assicurato che agisca in risarcimento dei danni ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 33, ha il diritto di avvalersi della presunzione che il premio sia stato indebitamente aumentato per effetto del comportamento collusivo e che la misura dell’aumento (quindi l’entità del danno da lui subito) non sia inferiore al livello medio del 20%: sia per effetto degli accertamenti compiuti dall’Autorità garante; sia in virtù del principio per cui, quando il fatto dannoso sia imputabile a più soggetti e non si possa ricostruire la misura in cui ognuno di essi abbia concorso a cagionare il danno, le colpe – quindi l’apporto causale di ognuno – si presumono uguali (arg. art. 2055 cod. civ., u.c., norma da ritenere applicabile al caso in esame, in quanto l’illecito concorrenziale che si traduca in situazioni di svantaggio per i clienti nelle condizioni della contrattazione, può agevolmente qualificarsi come una fattispecie di responsabilità precontrattuale che – la si voglia assimilare alla responsabilità da illecito civile o da contratto – è comunque soggetta al principio di cui alla citata norma).

5.3.- Ciò premesso, va ribadito il principio enunciato da questa Corte e richiamato dalla ricorrente, per cui la compagnia assicuratrice convenuta in risarcimento dei danni deve essere sempre ammessa a fornire la prova contraria alla suddetta presunzione di responsabilità (Cass. civ. 2305/2007), per quanto concerne sia la sussistenza del nesso causale fra l’illecito concorrenziale e il danno, sia l’entità del danno medesimo.

Ma, si ribadisce, la prova contraria non può avere ad oggetto circostanze attinenti alla situazione generale del mercato assicurativo – quanto ai costi gravanti su tutte le imprese a causa delle truffe, degli adeguamenti imposti dalle Direttive comunitarie, ecc. – ed in particolare le medesime circostanze che l’AGCM ha tenuto presenti nel formulare il suo giudizio, e che ha ritenuto irrilevanti al fine di escludere il collegamento fra i comportamenti collusivi e la lievitazione dei premi.

L’AGCM ha tenuto conto dei dati di costo esposti dalle imprese, ma ha rilevato che il comportamento collusivo ha impedito che le imprese stesse fossero motivate ad operare in modo da ridurre i loro costi per poter ridurre i prezzi, ciò che rientra fra i benefici effetti di un mercato concorrenziale (cfr. parr. 77, 78, 240, 259 ss., 263).

Il Consiglio di Stato, nel confermare per questa parte il Provvedimento n. 8546/2000, ha ribadito che la circostanza che il settore assicurativo della RCA operasse in perdita non esclude l’illiceità dello scambio di informazioni sui dati sensibili: non solo perchè profitti e perdite imprenditoriali vengono calcolati con riferimento non al singolo settore merceologico, ma all’attività globale dell’impresa, e nella specie il settore RCA – a causa dell’obbligatorietà dell’assicurazione – è fonte cospicua di clientela, sulla quale produce un vantaggioso “effetto traino” verso le altre offerte assicurative; ma anche e soprattutto perchè il comportamento collusivo, eliminando ogni incertezza sul comportamento dei concorrenti, disincentiva “ogni diversa politica commerciale, potenzialmente idonea anche a mutare le condizioni di perdita del mercato” (cfr. Cons. Stato, sentenza n. 2199/2002, par. 7.2.5).

E’ ben possibile, quindi, che il comportamento delle compagnie assicuratrici negli anni 1994-2000 sia stato incentivato dalla necessità di recuperare il passivo accumulato nel precedente periodo di tariffe amministrate. Ma la circostanza che il settore operi in perdita non giustifica i comportamenti collusivi, poichè questi trasferiscono sui consumatori, in misura maggiore rispetto a quella che il corretto comportamento commerciale consentirebbe, perdite che il settore imprenditoriale bene o male recupera, o che ritiene comunque vantaggioso affrontare.

(Senza considerare che l’Autorità garante ha accertato che il divario fra il livello dei premi in Italia e quelli praticati negli altri paesi europei era stato colmato già alla fine del 1996 e che si sono ciò nonostante verificati in Italia ulteriori aumenti dei premi del 36%, rispetto alla media europea, nel solo triennio 1996- 1999,: cfr. par. 76).

Ne consegue che la documentazione prodotta dalla ricorrente al fine di contestare la sussistenza del nesso causale correttamente è stata ritenuta irrilevante dalla sentenza impugnata.

I dati contenuti nel parere dell’ISVAP sono stati già sottoposti all’esame dell’AGCM, che li ha ritenuti inidonei ad escludere sia il comportamento collusivo, sia gli effetti dannosi che ne sono derivati in termini di incremento dei prezzi per i consumatori (cfr. par. 192 ss.); con l’ulteriore specificazione che le perdite denunciate dalle compagnie assicuratrici sono anche effetto di inefficienze produttive e del mancato controllo dei costi, conseguente alla violazione delle regole della concorrenza (par. 255 ult. cpv. e par. 263).

Anche i fattori di costo inerenti al sistema di distribuzione tramite agenti monomandatari, richiamati dalla ricorrente, sono in realtà frutto di scelte delle stesse imprese.

Il Provvedimento 17 aprile 2003 n. 11891 conferma – anzichè disattendere – gli accertamenti di cui sopra circa l’abnorme incremento dei premi in Italia dopo il 1994 e l’anomalia del mercato italiano nel contesto dei Paesi UE. Si tratta di indagine conoscitiva sul settore assicurativo che – lungi dall’escludere il collegamento fra l’aumento dei premi ed i comportamenti collusivi accertati in precedenza – si è proposta di accertare “le ulteriori ragioni tecnico-economiche che possono essere alla base” di tali aumenti (par. 4, in fine), e da cui chiaramente si desume che “l’anomalia italiana” è dovuta al mancato funzionamento del sistema concorrenziale (cfr., in particolare, il rilievo per cui gli aumenti dei costi vengono trasferiti integralmente sui premi, senza che vi sia alcuna pressione per il loro contenimento;

l’andamento degli aumenti è continuo, anzichè ciclico – come nei sistemi in concorrenza, ove a fasi di crescita corrispondono periodi di riduzione dei prezzi – e gli aumenti vengono ad incidere indiscriminatamente anche sulle fasce a minimo rischio, alle quali primariamente si indirizzerebbero le riduzioni di tariffa, in regime concorrenziale: parr. 6.2, 6.3).

Il Provvedimento specifica che nei paesi UE è in vigore la medesima normativa comunitaria e si presentano le stesse problematiche tipiche dell’industria RCA (lotta alle frodi, criteri di risarcimento del danno biologico, costo dei ricambi e delle riparazioni); nè vi sono sostanziali differenze rispetto all’Italia quanto all’imposizione fiscale (cfr. in particolare parr. 6, 6.2, 7.2 del Provvedimento).

La relazione al Parlamento sulla L. n. 273 del 2002 – che pure la ricorrente richiama a dimostrazione dell’asserita irrilevanza della sua partecipazione all’intesa illecita – nulla dichiara di specifico in proposito, mentre le disposizioni della legge stessa contengono una serie di misure a tutela dei consumatori e a garanzia della correttezza nella fissazione dei premi (art. 21 ss.), che mostrano l’intento di recepire i principi affermati nel 2000 dall’AGCM, più che quello di disattenderne i presupposti.

La Corte di appello ha respinto le argomentazioni e le prove dedotte dalla ricorrente con la motivazione che “la convenuta Compagnia non ha formulato specifiche istanze istruttorie per dimostrare che l’entità del premio, nel caso concreto, non fosse nemmeno in minima parte ascrivibile causalmente all’accertata intesa anticoncorrenziale”r ed ha soggiunto che l’istanza di consulenza tecnica avrebbe richiesto la “specifica indicazione di quali momenti o fasi del complesso meccanismo di determinazione del premio finale andassero verificati”.

La Corte, cioè, si è correttamente uniformata al principio per cui la prova dell’insussistenza del nesso causale non può essere tratta da considerazioni di carattere generale attinenti ai dati che influiscono sulla formazione dei premi nel mercato generale delle polizze assicurative, ma deve riguardare situazioni e comportamenti che siano specifici dell’impresa interessata: che attengano, cioè, alla singola impresa assicuratrice, al singolo assicurato od alla singola polizza, che siano tali da dimostrare che -nel caso oggetto di esame – il livello del premio non è stato determinato dalla partecipazione all’intesa illecita, ma da altri fattori: perchè, in ipotesi, la compagnia ebbe a discostarsi dal trend degli aumenti accertato dall’AGCM (circostanza da dimostrare tramite la documentazione relativa ai criteri da essa seguiti per la determinazione dei premi, ai dati di costo su di essa specificamente gravanti, ecc, nel periodo dell’illecito, rispetto a quello precedente o successivo); o perchè la compagnia versava in peculiari difficoltà economiche, che hanno imposto determinate scelte di prezzo; o perchè il contratto copriva particolari rischi, normalmente non inclusi nella polizza, o si riferiva ad assicurati il cui comportamento era caratterizzato da abnorme sinistrosità; e così via.

5.4.- Ciò vale a controbattere le doglianze di cui al terzo motivo, quanto all’indebita applicazione delle norme in tema di presunzioni.

Il Provvedimento dell’AGCM offre tutti i dati probabilistici e presuntivi che, ai sensi della pronuncia n. 2305/2007 di questa Corte, valgono a dimostrare che il premio applicato in polizza all’assicurato, nel periodo in cui la compagnia è stata ritenuta partecipe del comportamento collusivo, è ingiustificatamente elevato, nella misura indicata.

Era onere della compagnia assicuratrice (sanzionata in quella sede) fornire la prova contraria; cioè dedurre e dimostrare i fatti che avrebbero giustificato l’inoperatività della presunzione nei suoi confronti.

L’orientamento contrario, che emerge dalle difese della ricorrente, avrebbe il solo effetto di disattendere gli accertamenti già compiuti dall’AGCM – con provvedimento confermato dal TAR e, per questa parte, al Consiglio di Stato – e di sterilizzarne gli effetti, quanto al diritto dei consumatori al risarcimento dei danni, loro attribuito dalla L. n. 287 del 1990, art. 33, comma 2.

6.- Il ricorso deve essere rigettato.

7.- Le spese processuali, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 500,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2011

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