Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11610 del 06/06/2016
Cassazione civile sez. VI, 06/06/2016, (ud. 08/03/2016, dep. 06/06/2016), n.11610
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. MANNA Felice – Consigliere –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 22752/2014 proposto da:
D.A., D.S.P., D.P.L., D.
B.M., D.S.E., elettivamente domiciliate in
ROMA, VIALE MAZZINI 114/B, presso lo studio dell’avvocato
GIOVAMBATTISTA FERRIOLO, che le rappresenta e difende unitamente
all’avvocato FERDINANDO EMILIO ABBATE giusta procura a margine del
ricorso;
– ricorrenti –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;
– intimata –
avverso la sentenza n. 26581/2009 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
di ROMA del 27/10/2009, depositata il 17/12/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
dell’08/03/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ELISA PICARONI;
udito l’Avvocato Roda Ranieri (delega verbale avvocato Abbate)
difensore delle ricorrenti che si riporta agli scritti.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
che, con ricorsi alla Corte d’appello di Roma, D.P.L., D.B.M., D.S.E., D.S.P. e D.A. chiedevano il riconoscimento dell’equo indennizzo a carico della Presidenza del Consiglio dei ministri per l’irragionevole durata del giudizio – avente ad oggetto l’adeguamento triennale dell’indennità giudiziaria – introdotto nel 1993 dinanzi al TAR del Lazio e concluso con sentenza del dicembre 2003;
che la Corte d’appello, riuniti i ricorsi, con decreto 26 settembre 2007 riconosceva l’indennizzo per il periodo di otto anni e liquidava la somma complessiva di Euro 3.000,00 a favore di ciascun ricorrente, e complessivi Euro 600,00 di spese processuali, disponendone la distrazione;
che la Corte di cassazione, adita dalle ricorrenti in ordine al quantum liquidato a titolo sia di equo indennizzo sia di spese processuali, con la sentenza n. 25581 depositata il 17 dicembre 2009 accoglieva soltanto il motivo di ricorso relativo alle spese di lite, ritenendo che la quantificazione dell’equo indennizzo in Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo fosse adeguata allo standard europeo;
che a seguito di istanza di correzione, con ordinanza n. 18451 del 1 agosto 2013 apposta in calce alla sentenza, la Corte di cassazione correggeva la sentenza nella parte in cui, “a pag. 2, penultima e ultima riga, ove è affermato che la Corte d’appello di Roma “attribuiva la somma di Euro 8.000,00 a ciascuna delle ricorrenti”, deve leggersi “attribuiva la somma di Euro 3.000,00 a ciascuna delle ricorrenti”; a pag. 4, nel dispositivo, ove è scritto “in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 700,00 per onorario ed Euro 400,00 per diritti oltre Euro 78,00 per ciascuna delle ulteriori parti ricorrenti”, deve leggersi “in complessivi Euro 1.412,00 (Euro 1.100,00 + Euro 312,00)””;
che le ricorrenti impugnano ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, la sentenza della Corte di cassazione n. 25581 del 2009, e ripropongono il motivo di ricorso rigettato sulla base della percezione inesatta e carente dei dati che emergevano dagli atti del giudizio;
che la Presidenza del Consiglio dei ministri intimata non ha svolto difese.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata;
che preliminarmente si rileva l’inammissibilità per tardività del ricorso, con conseguente preclusione dell’esame del merito;
che non può essere condivisa la tesi delle ricorrenti, secondo cui l’interesse all’impugnazione straordinaria sarebbe sorto a seguito della correzione – in data 1 agosto 2013 – della sentenza di questa Corte n. 25581 del 2009, che avrebbe evidenziato l’errore revocatorio in cui era incorso il giudice di legittimità in ordine alla entità della somma riconosciuta dalla Corte d’appello di Roma a ciascuna delle ricorrenti (3.000,00 Euro);
che l’indicato errore revocatorio – sub specie di erronea percezione degli atti di causa – era di tutta evidenza sin dalla pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione n. 25581 del 2009, nella quale si afferma che la Corte d’appello aveva liquidato l’importo di Euro 8.000,00 a favore di ciascuna ricorrente, e su tale presupposto si argomenta il rigetto del primo motivo di ricorso;
che non può assumere alcun rilievo la correzione disposta con l’ordinanza del 1 agosto 2013 di questa Corte – che ha riguardato numerosi errori di carattere materiale presenti nella citata sentenza n. 25581 del 2009 -, neppure sotto il profilo della qualificazione dell’errore risultante dal testo originario della sentenza come revocatorio o semplice “svista”, trattandosi di attività riservata al giudice della revocazione;
che, pertanto, il dies a quo della revocazione decorreva dalla data di pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione n. 25581 del 2009;
che alla declaratoria di inammissibilità del ricorso non fa seguito pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva della parte intimata;
che, risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui del T.U. approvato con D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 8 marzo 2016.
Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2016