Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1161 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 27/02/2020, dep. 21/01/2021), n.1161

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. DI NAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16878/2013 R.G. proposto da:

Time Out s.r.l. in persona dell’amministratore unico

M.P., rappresentata e difesa dall’Avv. Anna Giovanna Grieco,

elettivamente domiciliata presso lo studio del Dott. Pescatori

Fabrizio in Roma piazza dell’emporio n. 11/A, giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 320/28/12, depositata il 3 dicembre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 febbraio

2020 dal Consigliere Marco Dinapoli.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Time Out s.r.l. s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, impugnava in primo grado l’avviso di accertamento, n. (OMISSIS) per l’anno di imposta 2006 emesso dall’Agenzia delle entrate per il recupero a tassazione delle imposte dirette e dell’Iva presuntivamente evase per la ritenuta antieconomicità dell’attività di impresa svolta, con un utile di Euro 9.661,00 a fronte di un costo del venduto di Euro 374.648,00.

La Commissione tributaria provinciale di Benevento, in parziale accoglimento del ricorso, determinava nel 42% la percentuale di ricarico applicabile e riduceva del 50% i ricavi presuntivamente accertati, rigettando per il resto. Appellava solo la società.

La Commissione tributaria regionale della Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello della società, confermando l’antieconomicità dell’attività della società, i cui utili riteneva insufficienti ad assicurare le esigenze di vita dei soci.

La contribuente ricorre per cassazione con quattro motivi e chiede cassarsi la sentenza impugnata con ogni conseguente pronunzia anche in ordine alle spese processuali.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente propone quattro motivi di ricorso. Con il primo denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), degli artt. 53 e 41 Cost., dell’art. 2697 c.c., violazione del divieto di doppia presunzione ex art. 2727 c.c. perchè erroneamente la sentenza ha ritenuto non inerente, ancorchè documentato, il costo relativo al canone di locazione. Con gli altri tre denunzia il vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria circa l’eccessività del canone di locazione, la percentuale di ricarico applicata, l’incongruità e incoerenza con gli studi di settore, la presunta antieconomicità dell’attività.

2.- L’eccezione formulata dalla controricorrente di tardività del ricorso pare fondata. Infatti la sentenza di appello risulta depositata il 3 dicembre 2012, come da annotazione della segreteria a margine della intestazione. Dal giorno successivo decorreva, in mancanza della notifica della sentenza, il termine di mesi sei per proporre ricorso per cassazione, previsto a pena di decadenza, dall’art. 327 c.p.c., con scadenza il 3 giugno 2013.

2.1- Il presente ricorso risulta spedito il 4 giugno 2013, come da timbro apposto sulla relata dall’Ufficio notifiche presso la Corte di appello di Napoli, quindi dopo, la scadenza del termine predetto, allorquando la parte sarebbe già decaduta dal potere di proporre impugnazione.

2.2- Questa circostanza, eccepita nel controricorso, non ha costituito oggetto di controdeduzioni e/o di prova contraria da parte della ricorrente, e non risulta smentita con certezza dagli atti, in quanto non è leggibile la data, apposta con il timbro di ricezione dall’UNEP di Napoli, eventualmente diversa da quella di spedizione. Ritiene comunque la Corte di esaminare anche il merito dei motivi di ricorso proposti.

3.- Il primo motivo di ricorso è formulato in maniera generica e contraddittoria, e comunque è infondato. La censura, infatti, sembra rivolta, più che alla sentenza impugnata, alla normativa indicata, per concentrarsi poi sull’applicazione da parte del giudice a quo della norma di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5, sulla deducibilità dei costi dal reddito di impresa, norma la cui errata applicazione, per altro, non viene espressamente lamentata.

3.1- La doglianza, comunque, è priva di fondamento. Infatti la sentenza impugnata, con riferimento alla deducibilità dei costi, ha fatto corretta applicazione dei principi generali sull’onere della prova, per cui è a carico del contribuente la prova dei fatti modificativi o estintivi della pretesa tributaria, quali la ricorrenza delle condizioni di legge per la deduzione dei costi (Cass. civ., Sez. V, 16/05/2007, n. 11205: In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel quadro dei generali principi che governano l’onere della prova, spetta all’amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile, mentre grava sul contribuente l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo ad oneri e/o a costi deducibili, ed in ordine al requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale o d’impresa svolta. Conforme Cass. civ., Sez. V, 16/09/2011, n. 18930).

3.2- La sentenza impugnata indica i fatti specifici per cui è stata disconosciuta la deducibilità dei costi (eccessività del canone di locazione rispetto alle reali esigenze dell’attività esercitata) in ordine ai quali la società non ha fornito prova contraria idonea a contrastare le circostanze di fatto su cui si fonda la ripresa fiscale.

4.- I rimanenti motivi di impugnazione possono essere esaminati congiuntamente, in quanto fra di loro connessi, perchè denunziano tutti, sotto aspetti diversi, il medesimo vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione.

4.1- Essi si rivelano inammissibili, poichè, ratione temporis, è applicabile il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv. dalla L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione o la sua contraddittorietà; i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6 e, nel processo tributario, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, ma tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. (tra le più recenti, Cass. nn. 23940 del 2017 e 22598 del 2018, sulla base di Cass., S.U, n. 8053 del 2014); nella fattispecie, i motivi denunziano vizi di motivazione insufficiente o contraddittoria e contrastano la valutazione del giudice a quo sulla concludenza degli elementi di conoscenza dei fatti acquisiti alla causa, che è una valutazione di merito, insuscettibile di subire una nuova e diversa valutazione in sede di giudizio di legittimità.

La sentenza impugnata specifica le circostanze di fatto su cui si fonda la decisione (eccessività del canone di locazione, incoerenza dei dati relativi alla rotazione di magazzino ed alla produttività per addetto, bassa redditività ed antieconomicità dell’impresa, in assenza di altre disponibilità finanziarie da parte dei soci), rigettando così espressamente o implicitamente le diverse valutazioni prospettate dalla contribuente nella fase di merito.

5.- In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio, come appresso liquidate, dando atto altresì della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 4.100 (quattromilacento) oltre spese prenotate a debito. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

 

 

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