Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11608 del 26/05/2011

Cassazione civile sez. III, 26/05/2011, (ud. 12/04/2011, dep. 26/05/2011), n.11608

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7295-2009 proposto da:

A.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PO 24, presso lo studio dell’avvocato BRUNETTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato DE DONNO GIOVANNI LUIGI giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COLLEGIO DEI GEOMETRI E DEI GEOMETRI LAURETI DELLA PROVINCIA TARANTO

(OMISSIS) in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II, 18, presso lo studio

dell’avvocato GREZ & ASSOCIATI, rappresentato e difeso

dall’avvocato

NILO LUIGI giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE REPUBBLICA PRESSO TRIBUNALE TARANTO;

– intimati –

avverso la decisione n. 16/2008 del CONSIGLIO NAZIONALE GEOMETRI di

ROMA, emessa il 3/12/2008, depositata il 18/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI CARLEO;

udito l’Avvocato PAOLO CECI per delega dell’Avvocato GIOVANNI LUIGI

DE DONNO; udito l’Avvocato LUIGI NILO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Appresa la notizia che il geometra A.L. aveva patteggiato la pena di un anno e quattro mesi di reclusione per i reati di truffa e falso, il Presidente del Collegio dei geometri di Taranto lo convocava innanzi al Consiglio per chiarimenti. In esito all’audizione, nel corso della quale l’ A., pur protestandosi innocente, ammetteva di essere stato denunciato da alcuni clienti e di aver patteggiato la pena, il Consiglio avviava il procedimento disciplinare che si concludeva con l’applicazione della sanzione della sospensione di mesi tre dall’esercizio della professione, sanzione impugnata dal ricorrente e confermata dal Consiglio nazionale con decisione del 3 dicembre 2008. Avverso la detta decisione l’ A. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi. Resiste con controricorso illustrato da memoria difensiva ex art. 378 c.p.c. il Collegio dei geometri della provincia di Taranto.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La prima doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione del R.D. n. 274 del 1929, art. 12, comma 1, D.Lgs. n. 382 del 1944, art. 16, artt. 24 e 111 Cost., art. 6 convenzione Europea diritti dell’uomo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si fonda sulla considerazione che, nel procedimento disciplinare a carico dei geometri, il numero e l’identità dei componenti del collegio non dovrebbero mutare nel corso delle varie sedute. Ed invero, la decisione con cui viene irrogata la sanzione, non dovrebbe essere assunta da componenti assenti nelle precedenti sedute dell’organo di disciplina. E ciò, anche alla luce del principio costituzionale del giusto processo, cui si deve informare anche il procedimento disciplinare.

La seconda doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione del R.D. n. 274 del 1929, art. 12, del principio del giusto procedimento disciplinare e dei principi della L. n. 241 del 1990 nonchè della motivazione inesistente, si fonda sulla premessa, in fatto, che il Collegio locale non aveva deliberato l’avvio dell’istruttoria che precede il giudizio disciplinare. Ciò posto, il Consiglio nazionale, ritenendo che con l’apertura del procedimento disciplinare la detta omissione si sarebbe sanata, sia pure tacitamente, avrebbe sbagliato trascurando che, alla luce dei principi generali dell’attività amministrativa e del giusto procedimento, sarebbe stata necessaria una ratifica formale, contenuta nella delibera di apertura del procedimento disciplinare.

Inoltre – in tale rilievo si sostanzia la terza doglianza, articolata ancora per violazione del R.D. n. 274 del 1929, art. 12 in relazione ai principi del giusto processo e del diritto di difesa – il Presidente del Collegio ed il Collegio avrebbero, ciascuno per proprio conto, sbagliato nel convocare l’iscritto senza contestargli i fatti disciplinarmente rilevanti.

Ciò premesso, come risulta evidente dalla lettura dei tre motivi, si deve innanzitutto sottolineare che essi, al di là delle specifiche ragioni di censura, presentano un profilo di doglianza comune fondato sul presupposto dell’applicabilità del principio costituzionale del giusto processo al procedimento disciplinare, a carico dei geometri, che si svolge davanti al Collegio territoriale di ciascuna provincia.

Tale profilo di doglianza non merita di essere condiviso. A riguardo, torna opportuno rilevare che le Sezioni Unite di questa Corte, sia pure con riferimento alle funzioni esercitate in materia disciplinare dai Consigli locali dell’Ordine degli avvocati, hanno già avuto modo di affermare che il relativo procedimento ha natura amministrativa e non giurisdizionale. Ed invero, “i Consigli territoriali, quando operano in materia disciplinare, esercitano funzioni amministrative e non giurisdizionali (Cass. SU n. 2095/89, n. 3056/95, n. 435/2000, n. 10956/2001, n. 1904/2002). Essi, infatti, svolgono i relativi compiti nei confronti dei professionisti che formano l’ordine forense, quindi all’interno del gruppo che essi costituiscono e per la tutela degli interessi della classe professionale. La funzione disciplinare che a tali organi compete è, dunque, manifestazione di un potere amministrativo attribuito dalla legge per l’attuazione del rapporto che si instaura con l’appartenenza all’ordine, il quale stabilisce comportamenti conformi ai fini che intende perseguire (così Corte Cost. 12 luglio 1967 n. 112, in motivazione: v. anche, per la natura non giurisdizionale del Consiglio locale dell’ordine degli avvocati, Corte Cost. ord. 2 marzo 1990 n. 113) …. Ne deriva che il richiamo all’art. 111 Cost. non è pertinente per i Consigli degli ordini territoriali, perchè l’attività da questi esercitata non è attività giurisdizionale (cfr Sez. Un. n. 6406/04 in motivazione, nonchè Sez. Un. n. 10688/2002). Esaurita tale considerazione preliminare, passando all’esame del primo dei tre motivi, in particolare, mette conto di evidenziare che la censura, relativa all’immutabilità del collegio, è innanzitutto inammissibile a causa dell’erronea individuazione della categoria logico-giuridica del vizio deducibile in questa sede. Il ricorrente ha infatti dedotto il vizio di violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, integrante un error in iudicando, cioè un errore nell’applicazione della legge sostanziale, laddove avrebbe dovuto invece denunciare una violazione, integrante un difetto di attività del giudice, quindi un error in procedendo, produttivo della nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4).

Inoltre, la censura non può essere condivisa ed è infondata, alla luce della considerazione che il D.Lgs. n. 382 del 1944, art. 16, relativo alle norme sui consigli degli ordini e dei collegi, si limita a prevedere che “per la validità delle sedute del Consiglio o della Commissione centrale occorre la presenza della maggioranza de componenti” senza nulla stabilire in ordine all’immutabilità del collegio. E ciò, in quanto il precetto sulla composizione variabile dei Collegi degli ordini professionali in generale ha la propria ragion d’essere nella necessità di contemperare la funzionalità dei collegi con le prioritarie esigenze professionali dei loro componenti che, all’improvviso ed in modo non rimediabile tempestivamente, possono impedire la partecipazione alle riunioni (cfr Sez. Un. 10137/04 in motivazione). Peraltro, come ha già statuito questa Corte in una fattispecie analoga a quella che ci occupa (esattamente in tema di sanzione disciplinare comminata ad un avvocato), se l’invariabilità del collegio giudicante costituisce una caratteristica essenziale di ogni procedimento giurisdizionale e di ogni decisione giudiziaria, e deve, pertanto, sussistere anche in sede di procedimento disciplinare davanti al Consiglio Nazionale (nella fattispecie esaminata dalla Corte, il Consiglio nazionale Forense), in relazione alla natura di organo giurisdizionale attribuita a tale collegio, e indipendentemente da ogni previsione normativa, invece il Consiglio dell’Ordine locale (omologo del Collegio provinciale dei Geometri), anche quando irroga una sanzione disciplinare, non è un giudice, ma compie un’attività amministrativa, per la quale non vige il principio dell’immutabilità del collegio decidente, essendo sufficiente che sia rispettato il quorum previsto per la validità delle deliberazioni” (cfr Sez. Un. n.23240/05, Sez. Un. n.17548/02).

Con riferimento specifico alla seconda doglianza, relativa alla mancata delibera dell’avvio dell’istruttoria, giova premettere che il R.D. n. 274 del 1929, art. 12 si limita a disporre che l’istruttoria, che precede il giudizio disciplinare, può essere promossa dal Comitato su domanda di parte o su richiesta del P.M. ovvero d’ufficio, in seguito a deliberazione del Comitato stesso. Il dato normativo non contempla quindi nessuna sanzione, tanto meno quella della nullità, in caso di una mancata adozione, da parte del Consiglio, di una delibera volta a promuovere l’istruttoria preliminare precedente l’audizione dell’incolpato. E’ una scelta, quella del legislatore, che è, non solo, in linea con il carattere interno di una fase pre-procedimentale dell’iter amministrativo ma è altresì coerente con la funzione meramente preparatoria dell’istruttoria, che precede l’apertura (peraltro, soltanto eventuale) del procedimento disciplinare.

Ed è appena il caso di sottolineare come la mancata adozione della delibera, di cui si lamenta il ricorrente, non possa, in alcun modo, determinare il minimo pregiudizio al diritto di difesa dell’incolpato. Nè il ricorrente ha peraltro saputo indicare come e perchè sarebbe stato concretamente danneggiato, onere che avrebbe dovuto assolvere per dare un contenuto concreto alla sua doglianza contrapponendo argomentazioni specifiche alle ragioni della decisione, fondate sulla carenza di un suo interesse a far valere l’asserita inosservanza della disposizione in esame.

Quanto alla pretesa mancata contestazione dei fatti disciplinarmente rilevanti, di cui al terzo motivo di impugnazione, anche tale doglianza è infondata. A riguardo, torna utile premettere che la convocazione del ricorrente, da parte del Presidente del Collegio dei geometri della Provincia Ionica, avvenne dopo aver appreso a mezzo stampa la notizia di una sentenza di patteggiamento con condanna alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione per i reati di truffa e di falso, nei confronti dell’iscritto. La circostanza torna utile nella misura in cui evidenzia come il ricorrente ancor prima della convocazione fosse già a conoscenza dei fatti. Del resto, come rileva il Consiglio nazionale dei Geometri nella decisione impugnata, nel gravame, l’impugnante affermava di affrontare il giudizio disciplinare nel presupposto che i fatti addebitati fossero quelli stessi delle notizie di stampa, da lui con tutta evidenza già conosciuti.

Ciò premesso, vale la pena di aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di avvertire che; in tema di giudizio disciplinare nei confronti di professionista, la formale incolpazione non richiede una minuta, completa e particolareggiata esposizione delle modalità dei fatti che integrano l’illecito e che l’indagine volta ad accertare la correlazione tra addebito contestato e decisione disciplinare non va fatta alla stregua di un confronto meramente formale, dovendosi piuttosto dare rilievo all’iter del procedimento e alla possibilità che l’incolpato abbia avuto di avere conoscenza dell’addebito e di discolparsi (Sez.Un. n.17827/07). In effetti, ai fini della tutela del contraddittorio, è sufficiente che la comunicazione dell’incolpazione consenta al professionista di approntare una difesa in modo efficace senza rischiare di essere giudicato per fatti diversi da quelli ascrittigli o diversamente qualificabili sotto il profilo della condotta professionale a fini disciplinari. (cfr Sez.Un. n. 11780/92). Ne deriva che anche il riferimento a fatti oggetto di un procedimento penale è sufficiente ad integrare una valida contestazione dell’addebito disciplinare, risultando rispettato il diritto di difesa dell’incolpato, il quale, attraverso l’indicato riferimento, è posto in grado di svolgere, anche in sede disciplinare, le più opportune difese (cfr Cass. n. 2296/04).

Passando all’esame degli ultimi due motivi di impugnazione, va osservato che con la quarta doglianza il ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 274 del 1929, artt. 12 e 13, D.M. 15 febbraio 1949, art. 9, dei principi sulla motivazione dei provvedimenti amministrativi, del principio del giusto procedimento, l’eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione, concludendo il motivo con il seguente quesito: “dica se il Collegio Nazionale per confermare la ritenuta colpevolezza dell’iscritto e giustificare la legittimità della sanzione inflitta debba indicare i fatti disciplinarmente rilevanti e valutare motivatamente gli stessi sul piano deontologico o possa limitarsi a richiamare genericamente i titoli di reato addebitati all’iscritto in una sentenza di applicazione della pena di cui avrebbe dato notizia la stampa: dica ancora se al medesimo fine di giustificare la legittimità e congruità della irrogata sanzione possa limitarsi ad evocare gli atti ed i documenti dell’istruttoria compiuti dinanzi al Collegio provinciale senza indicare analiticamente gli stessi e senza prendere posizione sugli elementi a discarico addotti dal ricorrente” Con il quinto motivo, il ricorrente ha infine lamentato la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 274 del 1929, artt. 11, 12 e 13, D.M. 15 febbraio 1949, art. 9, dei principi sulla motivazione dei provvedimenti amministrativi, del principio del giusto procedimento, del principio di proporzionalità della sanzione, l’eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione, concludendo il motivo di impugnazione con il seguente quesito di diritto: “dica se il Collegio Nazionale dei Geometri,, investito di gravame avverso la misura e la specie della pena inflitta dal Collegio provinciale debba motivatamente prendere in esame ed indicare i fatti disciplinarmente rilevanti che giustificano la pena inflitta e la sua insurrogabilità con altra meno afflittiva ovvero se possa limitarsi a richiamare la pena inflitta nel procedimento amministrativo e a rivendicare la discrezionalità del potere di irrogare la sanzione da parte del Collegio locale”.

Questi ultimi motivi vanno esaminati congiuntamente in quanto essi, sotto diversi ed articolati profili, prospettano, sostanzialmente, un’unica censura concernente pretesi vizi motivazionali della decisione impugnata. A riguardo, vale la pena di prendere le mosse dalla considerazione che, in tema di procedimento disciplinare a carico di professionista, la valutazione della gravità dell’addebito, sia sotto il profilo della sua incidenza negativa sul prestigio dell’ordine professionale sia al fine della scelta della sanzione da infliggere rientra fra gli apprezzamenti di merito affidati alla competenza istituzionale dell’organo professionale e si sottrae quindi a riesame in sede di legittimità essendo il relativo ricorso consentito solo in ordine alla correttezza e alla congruità del percorso logico della motivazione.

Ciò premesso, giova sottolineare che il Collegio Nazionale ha rigettato la censura, che era stata avanzata avverso la decisione del Collegio provinciale per difetto di motivazione, partendo dalla premessa che, con riferimento ai patteggiamenti perfezionatisi dopo l’entrata in vigore della L. n. 97 del 2001, non occorre un’autonoma ricognizione dei fatti nel successivo procedimento disciplinare, essendo sufficiente il rinvio agli accertamenti penali. Ciò posto, così ha continuato il Collegio Nazionale, poichè il rispetto dell’obbligo di motivazione non va valutato in astratto ma con riferimento alla possibilità concreta del professionista di conoscere le ragioni poste a base della sanzione irrogatagli, deve considerarsi adeguatamente motivato il provvedimento che contenga un rinvio alla relativa deliberazione ed ai documenti istruttori.

Le considerazioni del Collegio Nazionale, riportate nella loro essenzialità, meritano di essere condivise laddove sono assolutamente infondate le ragioni di censura formulate dal ricorrente. Ciò, alla luce del rilievo che, nel caso di specie, erano state oggetto di precisa valutazione sia la gravità dei fatti in rapporto alla loro portata oggettiva, sia l’intensità dell’elemento psicologico sia infine, la personalità dell’incolpato, in relazione, soprattutto, ai suoi precedenti disciplinari. Quanto alla motivazione “per relationem”, avuto riguardo alla circostanza che si trattava di elementi già noti all’incolpato, si deve ritenere legittimo il rinvio operato dalla sentenza al contenuto di alcuni atti del procedimento disciplinare cui il professionista era stato sottoposto, essendo la fonte richiamata agevolmente identificabile ed accessibile. Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di statuire, a riguardo, che la motivazione della sentenza “per relationem” è ammissibile, dovendosi giudicare la sua completezza e logicità sulla base degli elementi contenuti nell’atto al quale si opera il rinvio e che, proprio in ragione del rinvio, diviene parte integrante dell’atto rinviante, (cfr Sez. Un. n. 16277/010).

Considerato che la sentenza impugnata appare in linea con il principio richiamato, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 1.800,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2011

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