Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11607 del 04/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 04/05/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 04/05/2021), n.11607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24406/2014 R.G. proposto da:

Equitalia Sud S.p.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, quale società incorporante Equitalia Polis S.p.A.,

elettivamente domiciliata in Roma alla via Nomentana n. 91, presso

l’avv. Giovanni Beatrice unitamente all’avv. Francesco Amodio, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.R.R., rappresentato e difeso dagli avv.ti Alberto

Tortolano e Sergio Russo, con i quali elettivamente domicilia in

Napoli al Centro Direzionale Isola E/4 Palazzo Fadim; domiciliata in

Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza n.5552/15/14 della Commissione tributaria

regionale della Campania, pronunciata in data 19 maggio 2014,

depositata in data 5 giugno 2014 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 gennaio

2021 dal consigliere Andreina Giudicepietro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Equitalia Sud S.p.A. ricorre con due motivi avverso D.R.R. per la cassazione della sentenza n. 5552/15/14 della Commissione tributaria regionale della Campania, pronunciata in data 19 maggio 2014, depositata in data 5 giugno 2014 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa della cartella di pagamento per Irpef, addizionale regionale ed altro dell’anno di imposta 2004, ha rigettato l’appello dell’Equitalia;

a seguito di rituale notifica del ricorso, il contribuente resiste con controricorso;

il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 27 gennaio 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso, l’Equitalia Sud S.p.A. denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 100,101,102,106 c.p.c., del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 10, 14 e 23, del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4;

secondo la ricorrente, la C.t.r, una volta rilevato che la sentenza di primo grado aveva ritenuto correttamente che fosse inammissibile la chiamata in causa dell’ente impositore, richiesta dall’agente della riscossione costituitosi tardivamente, in violazione dei termini di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, avrebbe dovuto dichiarare la carenza di legittimazione passiva dell’Equitalia Sud S.p.A., dovendo il ricorso essere indirizzato esclusivamente nei confronti dell’Agenzia delle entrate;

in particolare, nel caso in esame il contribuente aveva impugnato la cartella di pagamento relativa all’Irpef per l’anno 2004, deducendo che l’avviso di accertamento prodromico era stato parzialmente annullato dal giudice tributario;

pertanto, il ricorso del contribuente aveva ad oggetto la formazione del ruolo e la stessa fondatezza della pretesa impositiva, questioni per le quali era legittimato passivamente solo l’ente impositore;

il motivo è infondato e va rigettato;

ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39 “Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite”;

secondo la ricorrente, tale articolo deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di chiamata in causa da parte del concessionario sussisterebbe solo laddove, con il ricorso del contribuente, siano state sollevate, sia questioni attinenti la pretesa tributaria e la formazione del ruolo, sia questioni inerenti all’attività del concessionario;

tuttavia, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, inaugurato dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 16412 del 25/07/2007, il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione, ovvero anche alla invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario, senza che sia tra i due soggetti configurabile alcun litisconsorzio necessario;

in entrambi i casi, la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario e non già al concessionario, il quale, in presenza di contestazioni involgenti il merito della pretesa impositiva, ha l’onere di chiamare in giudizio il predetto ente, ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1999, ex art. 39, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile un litisconsorzio necessario (cfr. Cass. n. 2803 del 2010; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9762 del 07/05/2014, Rv. 630633-01; Sez. 5, Sentenza n. 8370 del 24/04/2015, Rv. 635173-01; Sez. 5, Ordinanza n. 10528 del 28/04/2017, Rv. 644101-01; Sez. 5, Sentenza n. 8295 del 04/05/2018, non massimata; Cass. civ. sez. 5, n. 24800 del 4/02/2020);

trattasi di orientamento giurisprudenziale più volte ribadito dalle Sezioni semplici di questa Corte, che hanno precisato che “nel processo tributario regolato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, il concessionario del servizio di riscossione è parte, ai sensi del medesimo D.Lgs., art. 10, quando oggetto della controversia è l’impugnazione di atti viziati da errori ad esso direttamente imputabili e, cioè, solo nel caso di vizi propri della cartella di pagamento e dell’avviso di mora; in tale ipotesi l’atto va impugnato chiamando in causa esclusivamente il concessionario, al quale è direttamente ascrivibile il vizio dell’atto e, non essendo configurabile un litisconsorzio necessario con l’ente impositore, è inammissibile il ricorso proposto esclusivamente nei confronti dell’amministrazione, non potendosi disporre successivamente l’integrazione del contraddittorio nei confronti del concessionario medesimo” (Cass. n. 5832 del 2011), mentre, qualora con l’impugnazione di un atto emesso dal concessionario per la riscossione si facciano valere motivi che non attengono a vizi di quell’atto, “il ricorso deve essere notificato all’ente impositore (nella specie l’Agenzia delle Entrate) quale titolare del credito oggetto di contestazione nel giudizio, essendo il concessionario un mero destinatario del pagamento, o più precisamente, mutuando lo schema civilistico dell’art. 1188 c.c., il soggetto incaricato dal creditore ed autorizzato a ricevere il pagamento (Cass. n. 8613 del 2011; in termini anche Cass. n. 97 del 2015 e n. 18105 del 2017);

se la medesima azione è svolta nei confronti del concessionario, questi, se non vuole rispondere dell’esito eventualmente sfavorevole della lite, deve chiamare in causa l’ente titolare del diritto di credito;

in ogni caso l’avere il contribuente individuato nell’uno o nell’altro il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di azione svolta avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest’ultimo, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio;

in tal senso, questa Corte si è pronunciata anche di recente, in un caso di impugnazione dell’avviso di mora, affermando che “la legittimazione passiva discende dalle contestazioni effettuate dal contribuente, spettando all’amministrazione, in quanto titolare del diritto di credito, e non al concessionario, in quanto mero destinatario del pagamento, quando venga contestata la stessa pretesa tributaria. In tale evenienza, tuttavia, se l’azione è rivolta nei confronti del concessionario, quest’ultimo, ai sensi del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 40, e del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, ha l’onere di chiamare in causa l’ente titolare al fine di evitare di rispondere dell’esito sfavorevole della lite, senza che l’eventuale omissione determini l’inammissibilità della domanda o imponga al giudice di ordinare l’integrazione del contraddittorio” (Cass.. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3955 del 18/02/2020);

con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 53 e 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4;

il motivo è fondato e va accolto;

secondo la ricorrente, la C.t.r. sarebbe incorsa nella denunziata violazione di norme nel dichiarare inammissibili i motivi di gravame (sul mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi e sull’errata interpretazione dei fatti di causa in relazione allo sconto fiscale già goduto dal contribuente), ritenendoli eccezioni nuove, non proponibili per la prima volta in appello;

la ricorrente, invero, riporta parte della memoria conclusiva depositata in primo grado, da cui si evince che, già in quella fase processuale, era stato allegato il fatto che la cartella di pagamento impugnata era stata oggetto di uno sgravio fiscale, in conseguenza del parziale annullamento dell’avviso di accertamento con sentenza del giudice tributario di primo grado (sentenza all’epoca impugnata innanzi alla C.t.r.);

la questione, ripresa nei motivi di appello, attiene alla sussistenza dell’interesse all’impugnazione, la cui carenza è rilevabile anche d’ufficio;

invero, con il ricorso originario il contribuente aveva impugnato la cartella di pagamento, deducendo il parziale annullamento dell’avviso di accertamento ad essa prodromico;

pertanto, la sentenza impugnata è incorsa nella denunziata violazione di legge nel dichiarare inammissibili i motivi di ricorso sull’avvenuto sgravio parziale della cartella, ritenendo erroneamente che si trattasse di una questione nuova;

in conclusione, il secondo motivo di ricorso va accolto, rigettato il primo;

la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla C.t.r. della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla C.t.r. della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021

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