Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11604 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. III, 15/06/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 15/06/2020), n.11604

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 392-2018 proposto da:

AZIENDA ENERGETICA MUNICIPALIZZATA SPA in persona del Presidente del

C.D.A. e legale rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata

e difesa dall’avvocato CLAUDIO TAMPELLI;

– ricorrente –

contro

AZIENDA AGRICOLA A. E M.A. S.S. in persona dei legale

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

GIULI CESARE 14, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE RATTO, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati GABRIELE PAFUNDI,

SILVIA MARIA PINCELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1406/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 13/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/02/2020 dal Consigliere Dott. MOSCARINI ANNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Azienda Agricola A. e M.A. (di seguito Azienda Agricola), con atto di citazione notificato in data 27/7/2011, convenne in giudizio davanti al Tribunale di Cremona l’Azienda Energetica Municipalizzata Cremona SpA (di seguito A.E.M. Cremona) per sentir accertare e dichiarare l’esclusiva responsabilità della convenuta per l’interruzione ingiustificata delle trattative aventi per oggetto la conclusione di un contratto di compravendita di un terreno di cui l’Azienda Agricola era proprietaria. Chiese il risarcimento del danno patrimoniale quantificato in Euro 371.342,93 o nella diversa somma ritenuta di giustizia con rivalutazione ed interessi legali dal dovuto al saldo ed il risarcimento dei danni non patrimoniali. Nel contraddittorio con la società convenuta che escludeva l’avvenuto raggiungimento di un accordo sugli elementi essenziali del contratto ed anzi affermava la presenza di divergenze insanabili, il Tribunale adito, istruita la causa con prove testimoniali e per interpello, nonchè prove documentali, con sentenza n. 481 del 14/9/2015, accolse la domanda e condannò la A.E.M. Cremona al pagamento della somma di Euro 328.876,11, oltre interessi e rivalutazione. Avverso la sentenza l’A.E.M. Cremona propose appello principale e l’Azienda Agricola appello incidentale in relazione al quantum e la Corte d’Appello di Brescia, con sentenza n. 1406 del 13/9/2018, ha rigettato l’appello principale ed accolto l’incidentale, ritenendo che la decorrenza della rivalutazione ed interessi sulle somme risarcitorie dovesse essere fissata al momento della mancata stipula del contratto preliminare in data 21/10/2010 fino al saldo, e non anche al momento di proposizione della domanda giudiziale.

Per quel che ancora qui di interesse, la sentenza impugnata, ritenuti non controversi nè l’identificazione ed estensione degli immobili oggetto di vendita, nè il corrispettivo pattuito per la cessione, ha rilevato che tra le parti si era svolta una lunga trattativa tra l’inizio dell’autunno 2009 ed il novembre 2010, nell’ambito della quale era stata stesa una bozza di contratto preliminare, esaminata in più occasioni congiuntamente dalle parti, anche con l’ausilio, a partire dal febbraio 2010, di un team di tre commercialisti chiamati a risolvere gli aspetti fiscali della compravendita ed a proporre le soluzioni più convenienti; che l’appellante, pur avendo ricevuto avviso degli incontri notarili per la stipula del preliminare, aveva ritenuto di non presenziarvi deducendo una “temporanea impossibilità”; che, parallelamente alla trattativa in esame, era in corso un procedimento amministrativo per l’ampliamento della discarica rifiuti, avviato da A.E.M. Cremona, nella quale la medesima aveva, in modo non veritiero, dichiarato di essere titolare della proprietà dei terreni da acquistare, condizione necessaria per ottenere l’autorizzazione all’ampliamento; che l’A.E.M. aveva predisposto un atto di “puntuazione” per l’acquisto dei terreni e che aveva poi mutato strategia chiedendone l’esproprio. La Corte territoriale ha ritenuto che, correttamente, il giudice di primo grado abbia statuito circa l’avvenuta interruzione delle trattative da parte di A.E.M. Cremona, sussistendo sia il legittimo affidamento della controparte nella conclusione del contratto, sia l’assenza di giustificazione del recesso da parte dell’appellante, essendosi raggiunto l’accordo sulla estensione dei terreni e sulla loro individuazione, sul corrispettivo della compravendita e su altri punti rilevanti del contratto, trasfusi nell’atto di puntuazione scritto; che la stessa municipalizzata abbia, in più occasioni, fatto riferimento alla bozza di preliminare in corso di esame e che il mancato accordo su elementi non essenziali del contratto, quali la pattuizione della caparra confirmatoria, della penale e del posizionamento di una stradina da edificare, non poteva ritenersi tale da inficiare la convinzione che l’accordo fosse sostanzialmente concluso; che, in ragione di tale affidamento, la venditrice Azienda Agricola aveva avviato una costosa procedura di rivalutazione dei terreni agricoli al fine di consentire all’acquirente un miglior regime fiscale per l’assoggettamento ad IVA. La Corte territoriale ha ritenuto che, a fronte di tutte queste considerazioni, i motivi di appello non avevano specificità essendo volti non ad incrinare il fondamento logico delle statuizioni del Tribunale ma a meramente riproporre tutte le argomentazioni difensive già svolte in primo grado. La Corte territoriale ha altresì rilevato che, a fronte della indicata data del 21/10/2010 per la stipula del preliminare, la A.E.M. non abbia mai esplicitato per iscritto alcuna difficoltà sopravvenuta o contestato la trattativa, con ciò, per l’appunto ingenerando nella venditrice il ragionevole affidamento circa la prossima stipula del contratto preliminare. Pure prive di pregio sono state ritenute le censure volte a stigmatizzare contatti intercorsi tra la venditrice e la Holding A.E.M., essendo stata quest’ultima a comunicare che era necessario un coinvolgimento della medesima; altrettanto priva di pregio la circostanza che, nelle more delle trattative, l’Azienda Agricola abbia continuato a coltivare i terreni. La Corte territoriale ha ritenuto di dover confermare la sentenza di primo grado anche in ordine alla quantificazione del risarcimento sia in termini di danno emergente che di lucro cessante, mentre, in accoglimento di un motivo di appello incidentale, ha ritenuto di individuare il momento della decorrenza di interessi e rivalutazione in quello della mancata stipula del contratto preliminare in data 21/10/2010 fino al saldo e non anche in quello di proposizione della domanda giudiziale, trattandosi di un debito di valore.

Ha infine disposto sulle spese compensandole per un quarto e ponendo a carico dell’appellante principale i residui due terzi.

Avverso la sentenza l’A.E.M. Cremona propone ricorso per cassazione sulla base di sei motivi, illustrati da memoria. L’Azienda Agricola resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia su specifiche eccezioni fatte valere dalla parte in punto di affidamento e di recesso – la ricorrente si duole che il Giudice d’appello non abbia considerato il mancato raggiungimento dell’accordo su elementi essenziali del contratto, quali la caparra confirmatoria e la clausola penale, che la A.E.M. aveva espresso disponibilità per la stipula di un contratto preliminare diverso da quello proposto dalla venditrice, che non vi era alcun accordo sulla data fissata per la stipula del preliminare e che, dal comportamento complessivo tenuto dalle parti nel corso delle trattative, il Giudice avrebbe dovuto piuttosto ritenere che le medesime furono interrotte ingiustificatamente dall’Azienda Agricola e non, anche dalla A.E.M. Cremona, non avendo la venditrice ottemperato all’onere, su di essa gravante, di provare il recesso della A.E.M..

1.1 Il motivo è palesemente inammissibile in quanto volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione dei fatti e degli elementi di prova raccolti in giudizio, al di fuori del perimetro del sindacato di legittimità, per controdedurre in merito ai presupposti della responsabilità pre – contrattuale affermata dalla Corte territoriale. Quanto alla sussistenza di elementi relativi alla pretesa sussistenza di un recesso dell’Azienda Agricola dalle trattative per la vendita del terreno, si tratta di una censura del tutto nuova che non trova corrispondenza in precedenti equivalenti censure del giudizio di merito ed è, in quanto tale, radicalmente inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte è molto flessibile sulla individuazione dei comportamenti che integrano la responsabilità pre-contrattuale, non necessariamente correlando la suddetta responsabilità all’accordo su tutti gli elementi essenziali del contratto. Quando si fa riferimento agli elementi essenziali, per stare alle sentenze richiamate in ricorso, si cita la natura delle prestazioni o l’entità dei corrispettivi (Cass., 3, n. 2057 del 13/3/1996), sui quali nel caso in esame non è contestato che ci fosse l’accordo. L’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte è poi nel senso di collegare la responsabilità pre – contrattuale ai comportamenti delle parti piuttosto che agli elementi del futuro contratto (ex multiis Cass., 2, n. 7545 del 15/4/2016: “Perchè possa ritenersi integrata la responsabilità precontrattuale, è necessario che tra le parti siano in corso trattative; che le trattative siano giunte ad uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che la controparte, cui si addebita la responsabilità, le interrompa senza un giustificato motivo; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto. La verifica della ricorrenza di tutti i suddetti elementi, risolvendosi in un accertamento di fatto, è demandato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato”), di guisa da porre il relativo accertamento esclusivamente entro il confine del giudizio di merito.

2. Con il secondo motivo – nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 6, per vizio di motivazione e contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili- la ricorrente censura la sentenza per aver la stessa, da un lato, ritenuto che il recesso fosse maturato con la mancata presentazione della ricorrente alla data fissata per la stipulazione del contratto preliminare e, dall’altro, attribuito rilevanza a comportamenti dell’Azienda Agricola, successivi a quella data, quali l’intrapreso procedimento per la rivalutazione dei terreni. Questa seconda circostanza, in contrasto con la prima, avrebbe dovuto far ritenere provato il perdurante interesse della venditrice anche a seguito della mancata stipula del preliminare nell’autunno del 2010 ed avrebbe dovuto condurre la Corte di merito a rilevare un insanabile vizio di motivazione.

2.2 Anche questo motivo è inammissibile perchè di merito, volto cioè a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione di elementi già considerati nel giudizio di merito. In particolare la circostanza che, anche dopo la mancata presentazione alla stipula del preliminare da parte di A.E.M., l’Azienda Agricola abbia tenuto fede al proprio impegno negoziale versando le somme relative alla rivalutazione dei terreni, lungi dal poter configurare il venir meno dell’interesse dell’Azienda è piuttosto prova dell’esatto contrario, cioè dell’esistenza del suo affidamento circa l’avvenuto sostanziale raggiungimento dell’accordo sugli elementi essenziali del contratto. In ogni caso gli argomenti spesi dalla ricorrente sollecitano la Corte ad una rivalutazione di elementi già esaminati nel giudizio di merito.

3. Con il terzo motivo – nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omesso esame di un fatto decisivo in considerazione della mancata valutazione di una prova documentale offerta, con conseguente travisamento delle risultanze probatorie acquisite e contraddittorietà della motivazione- la ricorrente censura la sentenza per non aver tenuto conto di un documento del 2/11/2010, il cui testo non è riportato nel ricorso, sul punto non autosufficiente, che attesterebbe il pagamento, da parte dell’Azienda Agricola, della prima delle tre rate, comunque poi saldate, dovute per la rivalutazione dei terreni, utile a consentire al futuro acquirente un miglior regime fiscale. Ad avviso della ricorrente vi sarebbe un insanabile contrasto logico tra il ritenuto recesso dalle trattative, coincidente con la mancata stipula del preliminare in data 21/10/2010 ed il riconoscimento, ai fini risarcitori, dell’operazione fiscale di rivalutazione dei terreni, resasi necessaria solo all’esito della consulenza prestata dai commercialisti, la quale operazione, peraltro molto onerosa, avrebbe dovuto indurre la Corte di merito a ritenere perdurante l’affidamento dell’Azienda Agricola dopo la data del preteso recesso della A.E.M. Cremona, con la conseguente necessità di riforma della sentenza di primo grado sul capo che aveva incluso detta somma nel computo del risarcimento del danno dovuto all’Azienda Agricola.

3.1. Anche questo motivo è di merito in quanto volto ad insistere sulle stesse circostanze di fatto, già dedotte nei precedenti motivi, e cioè la compatibilità tra atto di recesso ingiustificato dalle trattative da parte di A.E.M. Cremona e perdurante impegno negoziale dell’Azienda Agricola ad ottemperare agli oneri su di essa incombenti.

4. Con il quarto motivo – violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2697 c.c. con riguardo al riparto dell’onere della prova circa l’intervenuto recesso e/o interruzione delle trattative di A.E.M. Cremona, nonchè sulla mancanza di giustificazione di detto recesso -la ricorrente censura la sentenza per pretesa violazione delle norme sul riparto dell’onere della prova per aver omesso di accertare che l’Azienda Agricola avesse ottemperato all’onere su di essa gravante, di provare l’avvenuta interruzione, da parte di A.E.M. Cremona, delle trattative finalizzate alla stipula del contratto di compravendita.

4.1 Anche questo motivo è di puro merito in quanto pretende di condurre questa Corte a rivalutare se, nella fattispecie dedotta, fosse stato ottemperato o meno all’onere della prova del recesso ingiustificato dalle trattative. Appare evidente il tentativo della ricorrente di contrapporre, ad una ampia e diffusa motivazione della Corte di merito in ordine al raggiungimento della prova di tale ingiustificato recesso, non una censura di diritto o un vizio di sussunzione ma una diversa e più appagante rilettura degli elementi di fatto e delle prove acquisite in giudizio, sollecitando questa Corte ad una inammissibile rivalutazione del merito della causa.

5. Con il quinto motivo – nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione alla violazione dell’art. 2697 c.c., relativo all’onere probatorio gravante sul danneggiato relativamente ai danni e alla loro quantificazione e alla violazione dell’art. 1227 c.c., comma 2 – l’impugnante si duole che la sentenza non si sia data carico di verificare, in capo a chi ne era onerato, e dunque in capo all’Azienda Agricola, la prova del quantum dei danni risarcibili. In particolare contesta che, nell’importo dei suddetti danni, sia stata computata la somma versata dall’Azienda per la rivalutazione dei terreni, procedura che avrebbe potuto essere interrotta e che si sarebbe, pertanto, perfezionata per esclusiva volontà dell’azienda la quale, rispetto all’alternativa se interrompere il procedimento o se portarlo a conclusione, sopportandone gli oneri, scelse liberamente la seconda opzione, restando pertanto gravata essa sola dei corrispondenti oneri.

5.1 Il motivo è infondato. Rispetto al compimento della procedura di rivalutazione dei terreni, intrapresa dalla Azienda Agricola in vista della futura vendita dei terreni stessi e della loro destinazione a discarica, l’Azienda stessa non era in condizioni di poter ritrattare la propria scelta, certamente irrevocabile sulla base della normativa tributaria vigente.

6. Con il sesto motivo – nullità della sentenza in relazione alla violazione delle norme sull’applicazione di interessi e rivalutazione ex art. 1224 c.c., – l’impugnante censura la sentenza per aver stabilito, accogliendo l’appello incidentale, la decorrenza di rivalutazione ed interessi dalla data del 21/10/2010 – preteso recesso dalle trattative di A.E.M. Cremona- senza considerare che gli interessi sulle somme versate dall’Azienda Agricola avrebbero dovuto essere computati solo dal momento del pagamento delle rate, essendo fino a quel momento le somme rimaste nella disponibilità del danneggiato.

6.1 Il motivo è infondato. La Corte d’Appello ha correttamente interpretato il debito dedotto in causa quale debito di valore che è esigibile e produce interessi nel momento in cui l’illecito si è perfezionato. Ne consegue che, essendosi l’illecito perfezionato in coincidenza con la mancata stipula del preliminare in data 21/10/2010, accertamento di merito insindacabile in questa sede, è corretta la statuizione del giudice di merito di computare interessi e rivalutazione dal momento della produzione del fatto illecito e non anche, come ritenuto dal giudice di prime cure, dalla domanda giudiziale.

7. Conclusivamente il ricorso va rigettato e la società ricorrente condannata a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della ricorrente, del cd. raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 7.800 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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