Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11603 del 11/05/2017

Cassazione civile, sez. VI, 11/05/2017, (ud. 05/04/2017, dep.11/05/2017),  n. 11603

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26261/2015 proposto da:

F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PINA SCIGLIANO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CESARE BECCARIA 29, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati MAURO RICCI, EMANUELA

CAPANNOLO e CLEMENTINA PULLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1378/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 23.10.2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 05/04/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza del 23.10/12.12.2014, la Corte di appello di Catanzaro accoglieva il gravame proposto dall’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Crotone che aveva riconosciuto in favore di F.F. il diritto a beneficiare della pensione di invalidità ordinaria di cui alla L. n. 222 del 1984, a far data dal 1.4.2007, con condanna dell’istituto al pagamento dei relativi ratei;

che, in dichiarata adesione alla ctu espletata in secondo grado, la Corte rilevava che, alla stregua dell’accurato esame clinico del periziato e dell’analisi della documentazione sanitaria, anche con riferimento a quanto esplicitato dall’ausiliare in risposta ai rilievi formulati da parte ricorrente, non era emersa la sussistenza di una psicopatologia di rilevanza clinica particolarmente grave, mentre era stato rilevato che le residue capacità lavorative conservate, se impiegate opportunamente, potevano risultare utili ai fini di un miglioramento della patologia da cui era affetto il F.;

che di tale sentenza chiede la cassazione l’assicurato, affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, l’INPS;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata;

2.1. che, con il primo motivo, il F. deduce violazione ed errata interpretazione della L. n. 222 del 1984, art. 2, nonchè motivazione omessa in ordine a punti decisivi della controversia, per avere il giudice di merito negato che la rilevante, anche se non totale, riduzione della capacità lavorativa comporti per il ricorrente, funzionario di banca, l’impossibilità assoluta di proficuo lavoro, osservando che la Corte Suprema ha statuito che l’inabilità deve essere valutata avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in modo da verificare la permanenza di una capacità a svolgere attività idonee a procurare all’assicurato una fonte di guadagno effettivo, avuto riguardo al parametro di cui all’art. 36 Cost.;

2.2. che, con il secondo motivo, viene denunziata violazione e falsa applicazione dell’art. 195 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e nullità della ctu e del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, rilevandosi che nel caso in esame il consulente d’ufficio aveva depositato la consulenza in cancelleria prima della trasmissione, nei termini assegnati, delle bozze da parte dei CC.TT. di parte e che senza alcuna autorizzazione il CTU aveva depositato osservazioni in risposta ai rilievi di parte, in tal modo ledendo il diritto di difesa per non avere la parte potuto contestare il giudizio espresso dal consulente;

2.3. che, con il terzo motivo, si denunzia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5, evidenziandosi che il Ctu non ha valutato il caso con riferimento alla domanda amministrativa, ma con riferimento soltanto al momento delle operazioni peritali e sottolineandosi che la violazione della procedura da parte del CTU era stata oggetto di discussione ed aveva determinato la presentazione di un denuncia querela, depositata in copia nel giudizio di merito;

2.4. che, infine, si lamenta insufficienza della motivazione in relazione alle critiche mosse con riguardo al comportamento del CTU, sia in riferimento all’elaborato peritale che al mancato rispetto dei termini;

3. che il ricorso è qualificabile come inammissibile, in parte anche alla luce della recente pronunzia di questa Corte in relazione alla portata applicativa dell’art. 360 bis c.p.c. (Cass. s.u. 7155/2017);

3.1. che, quanto al primo motivo, è sufficiente osservare che con la L. n. 222 del 1984 – sostituendosi il criterio della “capacità di lavoro” a quello della “capacità di guadagno” e fissandosi due diverse percentuali per poter rispettivamente beneficiare dell’assegno di invalidità (capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle attitudini del soggetto, ridotta a meno di un terzo) e della pensione di inabilità (assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa) – si è da un lato passati dalla considerazione della “potenzialità reddituale” (capacità di lavoro come idoneità a produrre ricchezza) alla considerazione della “potenzialità energetica” (capacità lavorativa determinante essa stessa particolari effetti) e, dall’altro, si è prevista una categoria di soggetti dalla validità apprezzabilmente ridotta (a meno di un terzo) che per questo beneficiano di una prestazione compatibile entro certi limiti con il reddito da lavoro e destinata ad integrarlo (quale è l’assegno di invalidità), ma che non possono fruire della pensione di inabilità perchè non si trovano nell’assoluta e permanente impossibilità, “a causa di infermità o difetto fisico o mentale”, di svolgere qualsiasi attività lavorativa confacente alle proprie attitudini e che consenta di conseguire un certo reddito sufficiente, da valutare in rapporto alla residua capacità lavorativa(cfr. Cass. 10.8.2011 n. 17159, conf. a Cass. 12261/1998);

che non rilevano pertanto le osservazioni che si fondano sulla necessità di verifica della permanenza di una capacità a svolgere attività idonee a procurare all’assicurato un fonte di guadagno effettivo e che la sentenza non risulta adeguatamente censurata neanche attraverso il richiamo all’art. 360 c.p.c., n. 5, non essendo la censura prospettata in conformità al paradigma di cui al nuovo testo della norma processuale richiamata, applicabile ratione temporis (cfr. Cass. 8053/2014);

3.2 che con riguardo al secondo motivo, che riveste evidente priorità logico giuridica rispetto agli altri, si rileva che la norma di cui all’art. 195 c.p.c., comma 3, nella versione di cui alla L. 18 giugno 2009 n. 69, art. 46, comma 5, introduce, a carico delle parti processuali e dell’Ausiliario, ma anche del giudice di merito, precisi termini che garantiscano il pieno contraddittorio nelle svolgimento delle operazioni peritali, laddove la norma sostituita disponeva soltanto che “la relazione deve essere depositata in cancelleria nel termine che il giudice fissa”;

che, pure essendo nella fattispecie in esame in discussione il rispetto delle varie fasi in cui si è svolta l’indagine affidata al C.T.U, le cui operazioni peritali devono essere conformi alla sequenza processuale ora scandita negli artt. 191- 195 c.p.c., deve rilevarsi che la nuova previsione si applica, ai sensi della L. n. 68 del 2009, art. 58, comma 1, ai giudizi instaurati dopo la data sua entrata in vigore, sicchè al presente giudizio, instaurato il 30.11.2008, non trova applicazione la disposizione nei termini in cui se ne denuncia la violazione e l’erronea applicazione, con conseguente inammissibilità della censura;

3.3. che la doglianza di cui al terzo motivo risulta prospettata in termini generici, non indicandosi con precisione i passaggi della CTU che supporterebbero la critica avanzata, non essendo evidenziato il carattere decisivo dell’omissione prospettata, peraltro senza riferimento specifico ai passaggi logico argomentativi secondo cui dal tipo di terapia praticata per il disturbo depressivo si evinceva la mancanza di rilevanza clinica e di particolare gravità dello stesso;

che viene devoluta al Giudice di legittimità un inammissibile riesame del merito, con richiamo di certificazione sanitaria che non si indica come già depositata nelle fasi del merito, e che anche in ordine alla denuncia querela asseritamente presentata e depositata nella fase di merito il ricorrente viola le prescrizioni dell’art. 366 c.p.c., n. 6, che del principio di autosufficienza costituisce la consacrazione normativa, atteso che, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (v. Cass. 761/14; 24448/13; 22517/13), occorre altresì che detto documento ovvero quella parte di esso su cui si fonda il gravame sia puntualmente riportata nel ricorso nei suoi esatti termini (Cass. 3748/14; 15634/13), onere questo che non risulta essere stato assolto;

che l’inosservanza anche di questi oneri viola il precetto di specificità di cui al citato art. 366, comma 1, n. 6 e rende il ricorso conseguentemente inammissibile (cfr., tra le altre, Cass. 14216/13; Cass. 23536/13, Cass. 195/2016, Cass. 19048/2016);

3.4. che, anche il quarto motivo è inammissibile, posto che, con la sentenza del 7 aprile 2014 n. 8053, le Sezioni Unite hanno chiarito che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione e che pertanto è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; che tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;

che, dunque, per le fattispecie ricadenti ratione temporis nel regime risultante dalla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge;

4. che, nella specie, il decisum della Corte territoriale è coerente con i principi giurisprudenziali richiamati e che, pertanto, essendo da condividere nella sostanza la proposta del relatore, il ricorso va dichiarato complessivamente inammissibile;

sostanza la proposta del relatore, il ricorso va dichiarato complessivamente inammissibile;

5. che le spese di lite del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, non sussistendo i presupposti per l’esonero ex art. 152 disp. att. c.p.c., in mancanza di dichiarazione personalmente sottoscritta dall’assicurato; che sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Condanna il F. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, noncliè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.

sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017

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