Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11600 del 26/05/2011

Cassazione civile sez. III, 26/05/2011, (ud. 07/04/2011, dep. 26/05/2011), n.11600

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28650/2006 proposto da:

S.M. in qualità di erede di G.M.M.

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO

97, presso lo studio dell’avvocato LEONE Aurelio, che lo rappresenta

e difende giusta delega a margine dell’istanza di prosecuzione e

costituzione in giudizio;

– ricorrente –

contro

C.O.A. (OMISSIS) titolare della Ditta

individuale INTERMED “Consulenze Immobiliari”, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA S. TOMMASO D’AQUINO 116, presso lo studio

dell’avvocato DIERNA Antonino, che lo rappresenta e difende giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 432/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA –

Sezione Seconda Civile, emessa il 10/1/2005, depositata il

26/01/2006, R.G.N. 10019/02;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

07/04/2011 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato AUGUSTO GABRIELLI (per delega dell’Avv. AURELIO

LEONE);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 15 ottobre 2001 il Tribunale di Roma accoglieva la opposizione di G.M.M. contro il decreto ingiuntivo del 18 maggio 1996 intimatogli da C.O.A. per il pagamento di L. 15.740.000 a titolo di provvigione per l’attività mediativa asseritamene dispiegata per una compravendita immobiliare.

Su gravame del C. la Corte di appello il 26 gennaio 2006 riformava integralmente la sentenza di prime cure.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione il G., affidandosi a tre motivi.

Nella pendenza del ricorso, notificato il 18 ottobre 2006, ed esattamente il 24 settembre 2007 decedeva il ricorrente, che con testamento olografo aveva nominato il 14 aprile 2004 unica sua erede universale la moglie S.M..

La madre del de cujus, superstite, apprestava acquiescenza alle disposizioni testamentarie del figlio e la S. con istanza di prosecuzione e costituzione in giudizio ex art. 299 c.p.c. è intervenuta nel presente giudizio di cassazione, adducendo interesse personale, concreto ed attuale ad agire in relazione all’oggetto della controversia, riproponendo le medesime censure a suo tempo formulate dal G..

Resiste con controricorso il C..

La S. per l’udienza del 13 dicembre 2010, che non si tenne per impedimento del designato relatore, ebbe a depositare memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente dichiarato inammissibile il ricorso della S., in quanto la morte del G. è intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio di cassazione, con la notifica e il deposito del ricorso, essendo irrilevanti in questa sede gli adempimenti di cui all’art. 302 c.p.c., per cui il giudizio prosegue tra le parti originarie (Cass. n. 8416/04), con l’effetto che è inammissibile anche la memoria.

1.-Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione della L. 3 febbraio 1989, n. 39, art. 6, nonchè della insufficiente e contraddittoria motivazione. Al riguardo, ed in punto di fatto, va posto in rilievo che nella scrittura di incarico dell’8 gennaio 1996, come risulta dalla sentenza impugnata, si evince che l’attività di mediazione era riconducibile alla ditta individuale Intermed, il cui titolare era il C., così come risulta dagli estremi delle registrazioni commerciali riportati nella intestazione della scrittura e che corrispondono puntualmente a quelli della relativa certificazione intestata al C..

Questi elementi documentali nel loro contenuto venivano, poi, suffragati dalla missiva, datata 21 novembre 1995 del G., di conferma della conclusione della compravendita e rivolta alla c.a.

Sig. C.O.A. e dall’ulteriore nota del 5 gennaio 1996, con la quale il G. contestava al C. l’esistenza delle trascrizioni pregiudizievoli sull’immobile.

Sulla base di questi elementi il giudice dell’appello, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, ha correttamente ritenuto che, trattandosi di una impresa individuale, solo al suo titolare competessero i correlativi poteri di amministrazione e di rappresentanza, ivi compresi quelli in sede contenziosa (Cass. n. 7896/91; Cass. n. 3301/96), per cui nessuna contraddizione vi è nella sentenza impugnata, nella parte in cui ha statuito che l’attività di mediazione fosse riconducibile alla impresa individuale Intermed.

Ciò posto, e poichè il C. era iscritto nell’albo dei mediatori, è evidente che egli avesse diritto alla provvigione (Cass. n. 9380/02).

Di qui, la sua piena legittimazione ad agire.

Il resto del motivo, attinente alla estraneità in concreto del C. dall’attività di mediazione non solo costituisce una quaestio facti, ma risulta disatteso dai documenti innanzi citati.

2.-Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione della L. n. 39 del 1989, art. 5, comma 4, con parte della propria motivazione circa un fatto decisivo per la controversia prospettato dalle parti) il ricorrente assume che la Intermed non abbia mai depositato presso il ruolo degli agenti di affare di mediazione i moduli necessari per lo svolgimento della relativa attività.

In estrema sintesi, il giudice dell’appello avrebbe compiuto una interpretazione errata dell’art. 5, comma 4 non in linea nè con la formulazione letterale del testo legislativo nè con la volontà del legislatore, diretta ad evitare un esercizio abusivo della professione.

Al riguardo, va osservato che questa Corte ha avuto modo di statuire, intervenendo in una fattispecie similare, quanto segue.

In base alla L. n. 39 del 1989, art. 5, comma 4, il legislatore ha inteso realizzare una forma di pubblicità ed un sistema di controllo amministrativo della contrattazione in base a moduli o formulari, al fine di assicurare maggiore chiarezza e trasparenza all’attività di mediazione professionale e di trasferire al pubblico dei potenziali clienti l’immagine positiva di affidabilità della categoria dei mediatori, intendendo con ciò tutelare direttamente una attività configurata dalla stessa legge come professionale, in quanto subordinata per il suo esercizio al possesso di specifici requisiti di capacità ed alla iscrizione in apposito ruolo e, solo di riflesso, garantire i clienti dal pericolo che vengano ad essi sottoposti per la sottoscrizione clausole ingannevoli o particolarmente gravose.

La suddetta norma non prevede anche che i moduli ed i formulari debbano essere approvati dalla commissione perchè se ne possa fare uso e non stabilisce neppure la obbligatorietà dell’uso di essi per le parti che intendano stipulare nella forma scritta il contratto di mediazione. La norma, pertanto, in quanto non tutela un interesse generale, ma un interesse di categoria e in quanto non deve essere osservata inderogabilmente da tutti, rivolgendosi essa unicamente ai mediatori, non può considerarsi imperativa o assoluta (Cass. n. 6601/82; Cass. n. 5311/79) circa la previsione del determinato requisito formale consistente nell’uso necessario di moduli o formular conformi a quelli depositati per la formazione del documento suddetto, con cui le parti vogliano provare il contenuto complessivo del contratto.

Ne consegue, salve la sanzione amministrativa e quella disciplinare eventuale a carico del mediatore, che, non è nullo per difetto di forma essenziale il contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari non depositati ai sensi della L. n. 39 del 1989, art. 5, comma 4 (Cass. n. 3438/02) per cui il giudice dell’appello correttamente ha ritenuto, stante l’inequivoco tenore letterale dell’art. 5, che la non conformità dei moduli utilizzati per il conferimento dell’ incarico è solo soggetta a sanzioni amministrative e/o, a seconda dei casi, a responsabilità disciplinare, senza per questo determinare la invalidità del costituito rapporto.

Del resto, la doglianza, per quanto argomentato in precedenza, muove dall’errata premessa secondo la quale la Intermed sarebbe un soggetto distinto, una società, e non già una impresa individuale.

3.-Con il terzo motivo (violazione dell’art. 1759 c.c.; insufficiente motivazione circa un fatto decisivo della controversia; violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. ed art. 228 c.p.c., e segg.), il ricorrente lamenta che il C., dichiarando all’interrogatorio formale deferitogli “non ricordo con esattezza quali trascrizioni ci fossero sull’appartamento”, avrebbe reso una confessione giudiziale e, quindi, sarebbe stato a conoscenza della ipoteca e della trascrizione, per cui la sua dichiarazione avrebbe rafforzato la tesi che egli era completamente estraneo alla mediazione.

Il motivo appare contraddittorio.

Di vero, se alla sua dichiarazione si intende dare, come sembra richiedere il ricorrente, valore di confessione giudiziale, significa che era lui il mediatore e, quindi, non si può poi sostenere che quella dichiarazione rafforzerebbe la tesi della sua estraneità.

Peraltro, non va trascurato che il giudice dell’appello ha affermato che all’atto della stipula del preliminare il 30 gennaio 1996 il G. era già a conoscenza della iscrizione della ipoteca e della trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c., in quanto questi vincoli erano chiaramente indicati nell’art. 2 del preliminare medesimo.

Il che, già di per sè, come accertato in punto di fatto sarebbe sufficiente per disattendere la doglianza.

Del resto, nel coordinare la norma di cui all’art. 1759 c.c., agli artt. 1175 e 1176 c.c., anche in riferimento alla L. n. 39 del 1989, il giudice del merito ha correttamente statuito che non rinvenendosi uno specifico incarico in proposito, il mediatore non aveva altro obbligo che quello di comunicare le circostanze a lui conoscibili in base alla media diligenza a lui richiesta (giurisprudenza costante che richiama e a cui adde Cass. n. 6389/01; Cass. n. 822/06).

Ne consegue che il motivo è da disattendere, precisandosi, inoltre, che in base alle argomentazioni sopra riportate, il giudice dell’appello, in merito alla risposta del C. all’interrogatorio deferitogli, ha ritenuto implicitamente la stessa non idonea a costituire di per sè sola quella prova contraria così come voluta ed identificata dalla controparte.

Conclusivamente il ricorso va respinto e il ricorrente condannato alle spese del presente giudizio di cassazione, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il ricorso e la memoria di S. M.; rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.200,00 di cui Euro 200,00 oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2011

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