Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1160 del 21/01/2020

Cassazione civile sez. III, 21/01/2020, (ud. 10/07/2019, dep. 21/01/2020), n.1160

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1546/2017 R.G. proposto da:

GIESSE B. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Francesco Scotto

d’Apollonia, domiciliata, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 2,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

EDISON ENERGIA s.p.a., in persona del legale rappresentante legale

pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Massimiliano

Cardarelli ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in

Roma, via Alessandria, n. 208;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3616 della Corte d’appello di Roma, depositata

il 3 giugno 2016;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 luglio 2019

dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo;

uditi l’Avv. Francesco Scotto d’Apollonia e l’Avv. Ida Cardarelli, in

sostituzione dell’Avv. Massimiliano Cardarelli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Cardino Alberto, che ha concluso chiedendo

l’improcedibilità del ricorso e, in subordine, il rigetto dello

stesso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Giesse B. s.r.l. conveniva in giudizio la Edison Energia s.p.a. innanzi al Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Anzio, chiedendone la condanna per inesatto adempimento di un contratto di somministrazione di energia elettrica. La convenuta proponeva domanda riconvenzionale di condanna dell’attrice al pagamento delle somme dovute in forza del predetto contratto.

Il Tribunale rigettava la domanda principale e accoglieva quella riconvenzionale.

La Giesse B. s.r.l. impugnava la decisione, ma la Corte d’appello di Roma dichiarava improcedibile il gravame, rilevando che l’iscrizione a ruolo della causa era avvenuta oltre i termini di cui all’art. 347 c.p.c.

Avverso tale sentenza la Giesse B. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione basato su un unico motivo. La Edison Energia s.p.a. ha resistito con controricorso.

Il ricorso, dapprima trattato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stato rinviato alla pubblica udienza ai sensi del comma 3 citato articolo, non ravvisandosi alcuna delle ipotesi previste dall’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 5, per la trattazione in sede camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Deve essere esaminata, anzitutto, l’eccezione preliminare formulata dalla Edison Energia s.p.a., secondo cui il ricorso sarebbe improcedibile in quanto fra i documenti depositati dalla Giesse B. s.r.l. “non è fatta menzione nè della copia autentica della sentenza, nè dell’istanza di trasmissione alla Corte del fascicolo della Corte di appello di Roma così come previsto dall’art. 369 c.p.c.”.

L’eccezione è priva di fondamento.

La mancata richiesta di trasmissione, da parte del ricorrente, del fascicolo d’ufficio del giudice a quo, ex art. 369 c.p.c., non determina l’improcedibilità dell’impugnazione ove l’esame di quel fascicolo non sia necessario per la soluzione delle questioni prospettate con quest’ultima (Sez. 5, Sentenza n. 7621 del 24/03/2017, Rv. 643472 – 01). Quindi, il mancato deposito dell’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio (art. 369 c.p.c., u.c.) nel termine fissato per il deposito del ricorso per cassazione, cioè entro venti giorni dalla notificazione, determina l’improcedibilità del ricorso stesso soltanto se l’esame di quel fascicolo risulti indispensabile ai fini della decisione del giudice di legittimità (Sez. 3, Sentenza n. 5108 del 03/03/2011, Rv. 616971 – 01).

La sentenza impugnata è stata prodotta in copia autentica, giusta asseverazione di conformità resa dal procuratore della società ricorrente ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis, comma 9-bis. La circostanza che l’atto non sia stato menzionato nell’elenco in calce al ricorso è irrilevante, in quanto la condizione di procedibilità posta dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, è soddisfatta dalla produzione della copia autentica della sentenza, mentre la mancata menzione della stessa nell’elenco degli allegati costituisce una mera irregolarità formale sprovvista di sanzione.

2. Superate le eccezioni preliminari e venendo all’esame del ricorso, la Giesse B. s.r.l. censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato improcedibile l’appello per violazione dei termini per la costituzione previsti dagli artt. 347 e 348 c.p.c.

La vicenda, ad avviso della ricorrente, deve essere ricostruita nei seguenti termini:

– in data 9 gennaio 2016, la Giesse B. s.r.l. notificava a Edison Energia s.p.a. atto di appello con vocatio in ius per il 20 aprile 2016; non avendo provveduto alla tempestiva iscrizione a ruolo della causa, in data 5 febbraio 2016 la Giesse B. s.r.l. notificava un “atto di appello in riassunzione”, con citazione per il 20 maggio 2016;

– in data 10 febbraio 2016 provvedeva all’iscrizione a ruolo, ma, per un “mero errore materiale”, depositava telematicamente il primo atto d’appello (cioè quello del 9 gennaio 2016), anzichè il secondo (quello del 5 febbraio 2016);

– accortasi dell’errore, il 21 aprile 2016 la Giesse B. s.r.l. provvedeva a depositare telematicamente l’atto corretto; all’udienza del giorno successivo, provvedeva al deposito dell’atto anche in copia analogica.

Quindi, essendo evidente che l’intenzione dell’appellante, nonostante l’errore nel caricamento del file, era di iscrivere a ruolo la nuova impugnazione, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ricostruito la vicenda, pervenendo al censurabile risultato di aver dichiarato inammissibile il gravame.

3. Il motivo è infondato e deve essere rigettato.

Anzitutto si deve rilevare che la ricostruzione della vicenda processuale sarebbe incompleta se si omettesse di riferire che nella nota di iscrizione a ruolo era indicata, quale data di vocatio in ius, quella del primo atto di appello. Vi era quindi coincidenza fra il contenuto della nota di iscrizione a ruolo e l’atto che veniva allegato alla stessa.

Il nodo da sciogliere, dunque, concerne la validità di un’iscrizione a ruolo effettuata con un atto diverso da quello che si sarebbe voluto effettivamente iscrivere.

Non è confacente al caso di specie il principio affermato da Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, Rv. 640829 – 01. Quella pronuncia, infatti, si riferiva al caso di iscrizione a ruolo dell’appello con la semplice “velina”, in attesa che l’ufficiale giudiziario restituisse l’originale notificato dell’atto d’impugnazione. Il caso in esame, invece, è ben diverso, perchè l’iscrizione a ruolo è stata fatta depositando l’originale dell’atto di appello ritualmente notificato, ma questo è un atto diverso da quello che l’appellante avrebbe voluto davvero iscrivere.

Risulta invece appropriato richiamare quanto affermato da Sez. 3, Sentenza n. 6912 del 08/05/2012, Rv. 623670 – 01: “le conseguenze della scelta del legislatore di applicare la sanzione della improcedibilità, che significano sottrazione dell’inosservanza delle forme al regime delle nullità e, quindi, esclusione dell’operatività del principio della sanatoria per l’eventuale configurabilità di una fattispecie di raggiungimento dello scopo, si giustificano soltanto per il caso di costituzione mancata entro il termine, cioè che non sia mai avvenuta, o sia avvenuta successivamente ad esso. Le conseguenze di una costituzione avvenuta nel termine ma senza l’osservanza delle forme evocate nell’art. 347, comma 1 essendo il regime delle improcedibilità, in quanto di maggior rigore rispetto al sistema generale delle nullità, di stretta interpretazione soggiacciono, viceversa, al regime delle nullità di cui all’art. 156 c.p.c. e ss. e, quindi, vanno disciplinate applicando il principio della idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo e ciò anche attraverso l’esame di atti distinti o di comportamenti successivi rispetto a quello entro il quale la costituzione doveva avvenire”.

Così più correttamente inquadrata la fattispecie, si deve, tuttavia, concludere che l’iscrizione a ruolo di un atto diverso da quello che si sarebbe dovuto iscrivere, pur non determinando l’improcedibilità dell’impugnazione, dà luogo ad una nullità non sanabile, in quanto radicalmente inidonea al raggiungimento dello scopo. In particolare, non può accordarsi efficacia sanata alla successiva “sostituzione” dell’atto sbagliato con quello esatto.

Infatti, pur volendosi ammettere che, in linea di massima, sia possibile sostituire, nel rispetto dei relativi termini di decadenza, un atto processuale contenente un errore o un refuso con una versione emendata del medesimo atto, una simile sostituzione deve ritenersi esclusa con riferimento all’atto introduttivo del giudizio. Ciò in quanto l’atto introduttivo contiene gli elementi identificativi della lite, con riferimento non solo alla descrizione del petitum e della causa petendi, ma anche delle generalità delle parti in causa e della data della vocatio in ius. Questi elementi sono essenziali per l’esercizio del diritto di difesa della controparte. Perciò la successiva alterazione degli stessi (attuata mediante la sostituzione all’atto originario di un nuovo atto modificato in uno o più di questi punti) non determina il raggiungimento dello scopo, bensì una inammissibile lesione dei diritti processuali dell’avversario.

Deve, in conclusione, escludersi che – stante l’errore commesso al momento dell’iscrizione a ruolo del giudizio di appello – possa accordarsi efficacia sanante alla successiva sostituzione dell’atto di citazione iscritto a ruolo con un altro contenente una diversa data di citazione. In sostanza, la Giesse B. s.r.l. – al di là di quale fossero i suoi intendimenti – ha effettivamente iscritto a ruolo l’atto di appello notificato il 9 gennaio 2016 e, quindi, ha violato i termini di cui all’art. 347 c.p.c.

La ricorrente, invoca a proprio favore la prova logica, costituita dalla circostanza che alla data in cui è stata effettuata l’iscrizione a ruolo non avrebbe avuto alcun senso iscrivere il primo atto d’appello, certamente inammissibile perchè tardivo, piuttosto che il secondo, che era stato redatto proprio per sanare la tardività dell’iscrizione a ruolo del primo. L’argomento non coglie nel segno. La “prova logica”, infatti, dimostrerebbe soltanto la riconoscibilità dell’errore, che in questo caso non rileva, in quanto l’iscrizione a ruolo concerne l’instaurazione e l’esatta identificazione degli elementi identificativi del giudizio, rispetto ai quali non si pone un problema di errore scusabile.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Sussistono, inoltre, i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lei proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

Non vi è luogo a provvedere sul patrocinio a spese dello Stato richiesto dalla società ricorrente, in quanto non risulta depositata la relativa delibera di ammissione al beneficio. In atti si rinviene solamente un foglio con il frontespizio del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, sul quale è riportata a penna la scritta ” B.G. n. q. L.R. Giesse srl”, senza che – lo si ribadisce – allo stesso sia allegata alcuna delibera. In ogni caso, la vicenda non si sottrarrebbe alla seguente alternativa: o l’ammissione venne resa in favore personalmente del B., ma, essendo parte in causa invece la Giesse B. s.r.l. (che, ovviamente, è un diverso soggetto giuridico), una simile delibera sarebbe irrilevante; oppure la delibera è stata pronunciata in favore della società e, in tal caso, andrebbe disapplicata, poichè le società commerciali non rientrano fra i soggetti che possono godere del beneficio del patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2020

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