Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11599 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. III, 15/06/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 15/06/2020), n.11599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7751-2018 proposto da:

AZIENDA SOCIO SANITARIA TERRITORIALE ASST MONZA, in persona del

Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIALOJA N 3, presso lo

studio dell’avvocato GIORGIO GRASSO, rappresentata e difesa

dall’avvocato SILVIA TRAVERSO;

– ricorrente –

contro

T.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CORTINA

D’AMPEZZO, 186, presso lo studio dell’avvocato CARLO LEO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 3754/2017 della CORTE D’APPELLO DI MILANO,

depositato il 25/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/01/2020 dal Consigliere Dott. RUBINO LINA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2014 T.E. conveniva in giudizio l’Azienda Socio Sanitaria Territoriale (ASST) di Monza, chiedendo che fosse condannata ad un risarcimento di 60.407,00 Euro per i danni riportati ad un occhio (forti dolori, dednoftalmite provocata da un’infezione) a causa della infezione nosocomiale che le era derivata a seguito di un’operazione effettuata presso la struttura citata (intervento di vitrectomia in sindrome da interfacie vitro-retina occhio sx).

2. Il Tribunale rigettava la domanda della Trento, reputando che l’attrice non avesse allegato un inadempimento qualificato ed avesse mal qualificato la responsabilità dell’ASST come in termini di responsabilità oggettiva.

3. L’attrice impugnava la decisione dinanzi alla Corte d’appello di Milano, assumendo che la convenuta, presso il Giudice di primo grado, avrebbe dovuto provare di non essere stata inadempiente.

4. L’ASST opponeva la conformità della sentenza del Tribunale al principio giurisprudenziale indicato dalle SS.UU. 577/2008, in base al quale l’onere della prova a carico dell’azienda sarebbe sorto solo se la paziente avesse allegato e specificato l’altrui condotta efficiente alla causazione del danno; produceva nuovamente i protocolli di igiene adottati in ospedale.

5. Con sentenza n. 3274/2017 la Corte d’Appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, condannava l’Azienda sanitaria di Monza al risarcimento dei danni. In motivazione affermava che è onere del paziente allegare quanto meno un inadempimento qualificato, ma che nel caso di specie il Tribunale aveva interpretato tale principio in maniera formalistica, non individuando adeguatamente le allegazioni dell’attrice poste alla base della domanda di risarcimento. Aggiungeva la Corte territoriale che l’azienda, limitandosi a depositare i protocolli senza dar prova della loro attuazione, non avesse fornito la prova liberatoria.

6. Propone ricorso per Cassazione articolato in due motivi ed illustrato da memoria l’ASST di Monza.

La Signora T. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, l’Azienda ricorrente denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, in violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si duole che la Corte territoriale non abbia esaminato l’eccezione con cui la ricorrente aveva richiesto di dichiarare inammissibile l’impugnazione avversaria per mancanza della ragionevole probabilità di essere accolta.

2. Il motivo è manifestamente infondato: laddove la corte d’appello accoglie l’impugnazione, non è tenuta a motivare espressamente sul rigetto della eccezione di inammissibilità, ove formulata, in quanto, qualora, diversamente opinando rispetto all’appellato, decida nel merito ha evidentemente ritenuto che l’appello fosse ammissibile; nel caso in esame, in relazione allo specifico contenuto della eccezione, la decisione nel merito mostra che, nella valutazione del giudice dell’impugnazione, l’appello, lungi dal non aver probabilità di accoglimento, dovesse viceversa essere accolto.

3. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218,1223,1228,1176,2236,2697 e 2727 c.c. e artt. 40 e 41 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

3.1. Premette che ai casi di infezione nosocomiale si debbano applicare gli stessi principi che regolano in generale la materia della responsabilità medica; aggiunge che (anche in base alla Legge Gelli, art. 7) la responsabilità della struttura sanitaria non può essere ritenuta oggettiva e nemmeno presunta.

3.2. Si duole che la Corte d’appello abbia ritenuto che la Sig.ra T. avesse allegato l’inadempimento qualificato della ASST, e ribadisce che nessun comportamento omissivo o commissivo direttamente riferibile alla struttura fosse stato viceversa allegato.

3.3. Lamenta peraltro che la sentenza qui impugnata – affermando che la paziente avesse solo l’onere di dimostrare l’esistenza del contratto e l’aggravamento della propria situazione patologica rispetto a quella preesistente al contatto con la struttura sanitaria – abbia tralasciato di considerare che il paziente debba provare anche il nesso causale tra inadempimento e danno.

3.4. Infine ribadisce che non siano stati adeguatamente tenuti in conto i documenti prodotti dalla ASST per dimostrare la propria diligenza.

4. Il motivo è infondato.

La sentenza ha in primo luogo ritenuto che la paziente avesse denunciato una inadempienza qualificata nella struttura sanitaria, consistente nel non essersi attenuta rigidamente alle misure precauzionali dalla stessa indicate nei protocolli post-operatori, ed ha ritenuto, con ragionamento probabilistico basato sulla regola del più probabile che non, che, non avendo la paziente alcuna infezione all’occhio prima del suo accesso in ospedale per l’operazione, avendo subito a causa della operazione il bendaggio dell’occhio che rendeva la zona inaccessibile al contatto, e sulla quale potevano intervenire, per la rimozione delle medicazioni e la loro sostituzione, soltanto i medici e il personale dell’ospedale, l’infezione da stafficolocco faecalis dalla quale era risultata affetta all’uscita dell’ospedale fosse dovuta ragionevolmente, secondo un ragionamento probabilistico, ad una falla nella attuazione dei protocolli di sepsi.

La struttura sanitaria non è stata quindi ritenuta responsabile a titolo di responsabilità oggettiva, ma secondo la regola ordinaria, sulla base di un ragionamento probabilistico con il quale la corte d’appello ha ritenuto che la danneggiata avesse fornito la prova del nesso di causalità materiale tra evento lesivo e comportamento attivo o omissivo della struttura avvalendosi delle presunzioni (avvalendosi delle quali ha dedotto dai fatti noti – assenza dell’infezione all’ingresso in ospedale; accesso alla zona infetta solo da parte dei dipendenti dell’ospedale- il fatto ignoto: comportamento attivo o omissivo di un dipendente dell’ospedale quale causa del contagio), a fronte del quale la semplice produzione dei protocolli previsti in ospedale per le medicazioni in fase post-operatoria è stata ritenuta insufficiente ad integrare la prova liberatoria, da parte della struttura, che il danno subito dalla paziente si fosse verificato per causa a sè non imputabile. La decisione è conforme al principio di diritto di recente riaffermato da questa Corte: v. Cass. n. 28991 del 2019: “In tema di inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno evento consta della lesione non dell’interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione (perseguimento delle “leges artis” nella cura dell’interesse del creditore) ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato); sicchè, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione.”.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico della parte ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.000,00 per compensi, oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dall’estensore, nella qualità di consigliere anziano del collegio, in luogo del presidente, per impedimento di questi, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a), (decreto del Primo Presidente della Corte suprema di Cassazione n. 40 del 18-19/03/2020).

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di cassazione, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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