Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11599 del 11/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 11/05/2017, (ud. 23/03/2017, dep.11/05/2017),  n. 11599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14189/2016 proposto da:

NEW HOLLAND CONSTRUCTION MACHINERY S.P.A. – C.F. e P.I. (OMISSIS), in

persona dell’Amministratore Delegato, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE

LUCA TAMAJO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

DIEGO DIRUTIGLIANO e GERMANO DONDI;

– ricorrente –

contro

S.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

BENEDETTO PELLERITO, GIUSEPPE PELLERITO e SILVIO CHIODO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 783/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 23/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. la Corte di appello di Torino ha accolto l’appello proposto da S.E., dipendente della New Holland Construction Machinery s.p.a., ed ha condannato al società datrice a corrispondergli la somma di Euro 3.780,00 oltre rivalutazione ed interessi, a titolo di risarcimento del danno in relazione all’accertata illegittimità della sospensione in Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) nel periodo dal 11 ottobre 2009 all’11 ottobre 2010.

2. Il giudice d’appello, nel richiamare alcuni suoi precedenti confermati da questa Corte di Cassazione, ha ritenuto che la società fosse rimasta inadempiente agli obblighi di comunicazione previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, con specifico riferimento, in sede di avvio della procedura, all’indicazione delle ragioni della sospensione, dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e di quelli adottabili per la rotazione. In particolare ha sottolineato che i criteri enunciati nella comunicazione del 17.9.2009 erano talmente generici da rendere impossibile qualunque valutazione di coerenza tra il criterio indicato e la selezione del lavoratore da collocare in cassa integrazione straordinaria. Con riferimento poi ai verbali di esame congiunto ed agli accordi, compresi quelli per il distacco, intervenuti successivamente all’inizio della procedura, la Corte territoriale ne ha escluso l’efficacia sanante degli originari vizi. Ha precisato poi che nella specie il lavoratore non aveva conferito alle organizzazioni sindacali mandato a concluderli nè, tantomeno, ne aveva ratificato il contenuto, sicchè il vizio della procedura non poteva essere sanato dalla partecipazione agli accordi di un rappresentante sindacale dell’organizzazione di appartenenza dell’appellante. Ha evidenziato che il verbale di esame congiunto del 7.10.2009 ed i successivi accordi sui distacchi temporanei (26 giugno e 6 ottobre 2009, 16 settembre 2010) indicano solo numericamente i lavoratori da distaccare (senza alcun riferimento alle mansioni ed alla professionalità) e che comunque il verbale di esame congiunto non è idoneo a sanare i vizi della procedura consistenti nella mancata indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere o delle modalità di rotazione. Da ultimo, poi, ha affermato che la circostanza che la comunicazione debba essere sufficientemente precisa indicando criteri di scelta basati su elementi oggettivi e verificabile risponde ad un’esigenza finalizzata al riscontro dell’effettività in concreto delle condizioni che richiedono la rotazione e della scelta dei lavoratori coinvolti.

3. Per la Cassazione della sentenza New Holland Construction Machinery s.p.a. ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso S.E.. La società ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

4. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia l’omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio, consistente nella conclusione – in data 7 ottobre 2009 e dunque prima della sospensione in CIGS dei lavoratori del 12 ottobre 2009 – con le OO.SS. e la RSU (compresi i rappresentanti eletti nelle liste del sindacato cui aderiva anche il ricorrente) di un contratto collettivo aziendale per il ricorso alla integrazione salariale straordinaria. Sostiene la società che tanto sarebbe bastato per ritenere che, per effetto della sottoscrizione dell’accordo, si era pervenuti alla decisione consensuale di procedere alla sospensione dei rapporti in CIGS a far data dal 12 ottobre 2009.

Sottolinea inoltre che, sempre in data antecedente l’inizio della sospensione, la determinazione concordata di procedere alla CIGS era stata confermata con la sottoscrizione dell’accordo firmato l’8 ottobre 2009 dalle stesse RSU. Precisa infine che in tali accordi le parti avevano dato atto della necessità di ricorrere alla CIGS riservandosi di verificare l’esistenza delle condizioni per procedere ad una rotazione del personale interessato. In ogni caso, il lavoratore, per non subire gli effetti degli accordi sottoscritti con le RSU, avrebbe dovuto diffidare il sindacato dal rappresentarlo e, comunque, avrebbe dovuto tempestivamente impugnarli posto che, in caso contrario, la condotta acquiescente integra un comportamento concludente nel senso della loro accettazione. In definitiva, secondo la Società oggi ricorrente, la sottoscrizione dell’accordo sindacale sanerebbe gli eventuali vizi della comunicazione iniziale e la bontà di tale ricostruzione sarebbe confermata dalla scelta operata dal legislatore, con la L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 45, che ha previsto che nell’ambito della mobilità (ben più rilevante quanto agli effetti sul rapporto) i vizi della procedura sono sanabili con accordo sindacale.

2. Con il secondo motivo di ricorso, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 12 preleggi, comma 1 e degli artt. 1337, 1138 e 1227 c.c..

Richiamata l’efficacia sanante degli accordi intervenuti prima della collocazione in CIGS dei lavoratori, la società si duole dell’omessa considerazione da parte della Corte di appello delle eccezioni in tal senso sollevate nella memoria di costituzione in appello.

Sotto altro profilo, poi, evidenzia che il giudice di appello avrebbe omesso di considerare che le RSU nel concludere accordi in tema di distacco dei lavoratori avevano prestato acquiescenza all’accordo presupposto sulla sospensione in CIGS. Per conseguenza la Corte territoriale, ritenendo che lo S. non fosse vincolato agli accordi, avrebbe erroneamente applicato le disposizioni denunciate nella premessa del motivo in tema di acquiescenza. Infine rammenta che la partecipazione alle trattative sindacali da parte del rappresentante del sindacato cui aderiva il lavoratore, senza la formulazione di alcuna riserva da parte di quest’ultimo, avrebbe dovuto convincere il giudice d’appello, al quale l’eccezione era stata proposta, della violazione degli artt. 1337 e 1338 c.c., ed escludere il diritto del lavoratore al chiesto risarcimento del danno.

3. Con il terzo ed il quarto motivo la società lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 e degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, dalla comunicazione del 17.9.2009 si evinceva che la sospensione dell’attività sarebbe stata continuativa in considerazione della grave crisi di settore – ed avrebbe interessato tutti i lavoratori per dodici mesi. Eventuali rotazioni sarebbero state successivamente concordate con le organizzazioni sindacali tenuto conto della specifica professionalità dei singoli dipendenti.

La gravità della crisi, mai contestata nella sua oggettività neppure da parte del lavoratore, rendeva impossibile pronosticare in che percentuale sarebbero stati necessari lavoratori con la conseguenza che nell’interpretare le disposizioni applicabili la Corte di merito avrebbe dovuto fare riferimento a criteri più elastici e meno formalisti.

4. Con il quinto motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 c.c. e art. 112 c.p.c. e lamenta che la Corte d’appello abbia disatteso l’eccezione di prescrizione quinquennale del credito svolta dalla società in primo grado e riproposta in sede d’appello, ritenendo che le somme avendo natura di risarcimento del danno fossero assoggettate alla prescrizione decennale; sostiene che al contrario le somme erano state chieste a titolo di retribuzioni dirette, indirette e differite, nel che consisteva la causa petendi cui la Corte doveva fare riferimento.

5. Il ricorso è manifestamente infondato.

Le questioni in rassegna sono state già esaminate da questa Corte in più occasioni, anche con specifico riferimento alla medesima procedura (v. ancora da ultimo Cass. ord., 20/12/2016 n. 26394 e arresti ivi richiamati).

Dovendosi dare continuità alla soluzione ivi accolta, in assenza di motivi che determinino un ripensamento, deve ritenersi che i primi due motivi, che per la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Va ribadito, richiamando le argomentazioni già formulate nei richiamati arresti, che nel procedimento per la concessione della c.i.g.s. la normativa regolamentare introdotta con il D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, non presenta profili di incompatibilità con le disposizioni della L. 23 luglio 1991, n. 223. La disciplina regolamentare si limita a imporre all’imprenditore che intenda chiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale l’obbligo di dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni sindacali ed attiene unicamente alla fase amministrativa di concessione dell’integrazione stessa ma non incide sul contenuto concreto della comunicazione nè detta alcuna disciplina in ordine ai criteri di scelta. Ne consegue che restano inalterati gli obblighi di rilevanza collettiva di cui alla citata L. n. 223, art. 1, commi 7 e 8, ed i criteri di scelta e le modalità della rotazione devono essere precisati sin dal momento iniziale della comunicazione datoriale di avvio della procedura di integrazione salariale e non sono stati spostati a quello, immediatamente successivo, dell’esame congiunto (cfr. Cass. 26587 del 2011 e recentemente Cass. n. 193 del 2016). Diversamente opinando, il contenuto della norma di cui al citato D.P.R. n. 218, art. 2, sarebbe del tutto estraneo all’esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo, e avrebbe come conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale, con la compressione dei diritti d’informazione spettanti al sindacato, reclamando un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato (Cass. ult. cit.). Va ribadito allora che in riferimento “alla possibilità di una efficacia sanante di un accordo sindacale sui criteri di scelta, occorre pure rammentare che essa è stata ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell’ipotesi in cui la comunicazione è strettamente funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali. Nè può essere ammessa, con effetto retroattivo, rispetto a scelte in concreto già operate” (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886, anche per richiamo di: Cass. 12 dicembre 2011, n. 26587; Cass. 9 giugno 2009, n. 13240; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393).

Ne segue che, anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, il vizio della comunicazione di avvio della procedura non può essere sanato con un successivo accordo seppur intervenuto prima della concreta sospensione dei lavoratori, come nel caso che qui si esamina.

Per effetto della proposta ricostruzione rimangono assorbite le censure che attengono alla pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione al denunciato omesso esame delle censure che investivano specificatamente l’incidenza degli accordi sopravvenuti sulla comunicazione aziendale di avvio della procedura.

6. Neppure il terzo e quarto motivo sono fondati.

Occorre anche a tale proposito ribadire che la valutazione della rispondenza in concreto della comunicazione di avvio della procedura di cassa integrazione oggetto dell’esame giudiziale investe il merito in ordine al contenuto dell’atto negoziale, sicchè è nella competenza esclusiva del giudice di merito e come tale insindacabile nel giudizio di legittimità, quando esso abbia motivato la sua decisione in modo sufficiente e privo di contraddizioni (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540).

Ed infatti, dai richiamati arresti sono stati enucleati i principi secondo cui: a) la specificità dei criteri di scelta consiste nell’idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri; b) la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale, la cui genericità renda impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di comunicazione previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7; c) la mancata specificazione dei criteri di scelta (o la mancata indicazione delle ragioni che impediscono il ricorso alla rotazione) determina l’inefficacia dei provvedimenti aziendali che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 8 settembre 2014, n. 18895; Cass. 14 maggio 2012, n. 7459).

Con particolare riferimento al requisito di specificità, si è precisato (Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540; Cass. 7 novembre 2013, n. 25100) che l’aggettivazione “non individua una specie nell’ambito del genere criterio di scelta ma esprime la necessità che esso sia effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione”; atteso che “un criterio di scelta generico non è effettivamente tale, ma esprime soltanto, non un criterio, ma un generico indirizzo nella scelta” (Cass. 1 luglio 2009 n. 15393, richiamante Cass. 23 aprile 2004 n. 7720 e in chiaro riferimento a Cass. s.u. 11 maggio 2000, n. 302).

Si aggiunga poi che in tema di procedimento per la concessione della c.i.g.s., la L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, nel prevedere a carico del datore di lavoro un obbligo di comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali e provinciali dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonchè delle modalità della rotazione prevista dal successivo comma 8 (ovvero dei criteri alternativi ove tale meccanismo non sia stato adottato per ragioni di ordine tecnico e organizzativo ritenute meritevoli di accoglimento), appresta una garanzia di natura procedimentale ed opera su un duplice piano di tutela – delle prerogative sindacali e delle garanzie individuali assolvendo alla funzione di porre le associazioni sindacali in condizioni di contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e di assicurare al lavoratore, potenzialmente interessato alla sospensione, la previa individuazione dei criteri di scelta e la verificabilità dell’esercizio del potere privato del datore di lavoro. Ne consegue che la violazione delle regole del procedimento incide direttamente sulla legittimità del provvedimento amministrativo di concessione dell’intervento straordinario di integrazione salariale che non può essere assentito ove non sia stato indicato e comunicato nè il criterio della rotazione nè altro criterio che individui, in alternativa a quest’ultimo, i lavoratori da sospendere (cfr. Cass. n. 19618 del 2011 e molte altre successive cfr. tra le tante Cass. 12089 del 2016).

La ricorrente sostiene che tali criteri selettivi non sarebbero necessari a fronte della deliberata scelta di sospendere tutto il personale in servizio.

Tale circostanza non emerge tuttavia dalla lettura della comunicazione nè dai successivi accordi ove sempre si fa riferimento alla sospensione di “un numero massimo di 727 lavoratori occupati presso il sito di (OMISSIS)” (cfr. la comunicazione del 17.9.2009 ed anche i successivi accordi del 7 e 8 ottobre 2009 riprodotti nel ricorso ed allo stesso allegati).

Dal tenore letterale della clausola, “un numero massimo di”, si evince proprio che il datore di lavoro non ha inteso necessariamente procedere alla sospensione di tutti i dipendenti ma si è riservato di sospenderne anche un numero inferiore con conseguente necessità di individuare criteri oggettivi per la loro individuazione.

Di tanto dà correttamente atto la Corte d’appello, con motivazione che non trascura nessun fatto allegato dalle parti nel giudizio tanto meno l’allegata grave crisi del settore che costituisce il presupposto della riduzione delle attività imprenditoriali.

7. Anche il quinto motivo è infondato, avendo questa Corte da tempo chiarito che la richiesta del lavoratore di risarcimento danni per l’illegittima sospensione a seguito di collocamento in C.i.g.s. ha ad oggetto un credito da inadempimento contrattuale, soggetto all’ordinaria prescrizione decennale (13/12/2010 n. 25139, 04/12/2015 n. 24738), nè rileva in senso contrario il fatto che il lavoratore abbia fatto riferimento alle retribuzioni perdute, dovendosi avere riguardo alla natura del credito azionato e non alla qualificazione che ne abbia dato la parte.

In conclusione il ricorso, manifestamente infondato, dev’essere rigettato.

8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, con distrazione ex art. 93 c.p.c., in favore dei solo avv. Giuseppe Pellerito, non risultando gli altri difensori iscritti nell’albo degli avvocati cassazionisti (v., in caso analogo, Cass. 17/04/2008 n. 10104.

9. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Giuseppe Pellerito.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017

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