Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11598 del 13/05/2010

Cassazione civile sez. III, 13/05/2010, (ud. 15/04/2010, dep. 13/05/2010), n.11598

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.E. (OMISSIS), considerato domiciliato “ex lege”

in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GAMBERALE PAOLO, che lo

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.T.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 226/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

SEZIONE Quarta CIVILE, emessa il 17/1/2006, depositata il 22/02/2006,

R.G.N. 1423/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/04/2010 dal Consigliere Dott. AMENDOLA Adelaide;

udito l’Avvocato PAOLO GAMBERALE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per la inammissibilita’ e il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 17 febbraio 1998 F.E. conveniva in giudizio innanzi al Pretore di Roma P.T. e, premesso di avere concluso con la stessa un contratto di locazione avente ad oggetto un immobile asseritamente condonato, ma in relazione al quale la domanda di sanatoria era gia’ stata respinta, al momento della stipula, di talche’ il locale non avrebbe mai potuto essere dichiarato agibile, chiedeva l’annullamento del contratto di locazione per dolo della locatrice, ovvero la risoluzione dello stesso per inadempimento della controparte con condanna della P. alla restituzione degli importi da lui versati in esecuzione del contratto e al risarcimento dei danni.

Resisteva la convenuta che contestava le avverse pretese e, in via riconvenzionale, instava per il pagamento dei canoni insoluti e per il rilascio dell’immobile.

Con sentenza del 9 aprile 2002 il Tribunale rigettava la domanda attrice e, in accoglimento della riconvenzionale, condannava F. E. a corrispondere le pigioni impagate.

Interponeva gravame il soccombente, ma la Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 28 ottobre 2003, lo respingeva.

Avverso detta pronuncia in data 6 febbraio 2004 proponeva ricorso per revocazione F.E. ex art. 395 c.p.c., n. 3, per scoperta di nuovi documenti. Asseriva di essere venuto in possesso di copia dell’atto di citazione notificato, a istanza di vari comproprietari del Condominio di (OMISSIS), a P.T. e al coniuge della stessa, F.B.. Con tale atto gli attori, contestati alla Cooperativa Oclete i gravi abusi edilizi commessi nella realizzazione dell’immobile, in violazione dell’atto d’obbligo stipulato con il Comune di Roma – abusi costituiti, tra l’altro, dalla chiusura del piano pilotis del fabbricato e dalla illegittima acquisizione di parti comuni – avevano chiesto la declaratoria di nullita’ dei contratti di vendita delle relative porzioni di fabbricato, tra cui quello relativo al locale acquistato dai coniugi P. – P.T., e la retrocessione al Condominio delle relative aree.

Con sentenza depositata il 22 febbraio 2006 la Corte d’appello di Roma rigettava il ricorso in revocazione.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per Cassazione F. E. formulando tre motivi e notificando l’atto a P. T..

L’intimata non ha svolto alcuna attivita’ difensiva.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo l’impugnante denuncia violazione dell’art. 437 c.p.c., in relazione all’art. 447 bis c.p.c., comma 1, e art. 398 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 4. Deduce che all’udienza di discussione del 17 gennaio 2006 aveva chiesto di poter depositare atti giudiziari intervenuti nell’anno 2005 che confermavano le gravi irregolarita’ del locale da lui condotto in locazione e, segnatamente, il provvedimento interdittale del Tribunale di Roma che ordinava al proprietario dell’immobile l’eliminazione dell’allaccio idrico e fognario abusivo del locale agli impianti condominiali.

La Corte, dopo essersi riservata sull’ammissione del deposito, aveva inopinatamente, e al di fuori del contraddittorio delle parti, dichiarato chiusa la discussione e deliberato la sentenza. I diritti della difesa erano pertanto stati gravemente violati, posto che il difensore del ricorrente F. non era piu’ stato sentito e non aveva quindi potuto eccepire: a) la tardivita’ della costituzione della P.T.; b) l’infondatezza delle eccezioni dalla stessa sollevate in punto di non decisivita’ della documentazione scoperta;

c) i gravissimi abusi che avevano determinato il provvedimento urgente del Tribunale di Roma, la conoscenza che ne aveva la locatrice al momento della stipula del contratto di locazione e la falsita’ dell’affermazione secondo cui essi erano noti anche al conduttore; gli errori di diritto in cui era incorsa la sentenza che aveva rigettato la domanda proposta dai condomini dell’edificio di via (OMISSIS) contro la Cooperativa Oclete.

1.2 Col secondo mezzo l’impugnante denuncia l’inammissibilita’ della costituzione in giudizio della convenuta P.T., in violazione del termine stabilito dall’art. 395 c.p.c., (rectius, 399), comma 2, e nullita’ di tutti gli atti compiuti dalla difesa, ex art. 360 c.p.c., n. 4.

1.3 Le critiche, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono destituite di ogni fondamento.

Dalla lettura del verbale dell’udienza del 17 gennaio 2006, direttamente effettuata dal collegio in applicazione del principio per cui il giudice di legittimita’ e’ giudice anche del fatto tutte le volte in cui venga denunciata la violazione di una norma processuale (cofr. Cass. civ. 16 febbraio 2003, n. 6055), emerge che, avanzata, da parte dell’avvocato Gamberale, richiesta di depositare nuovi documenti, il collegio si riservo’ di decidere sull’ammissibilita’ di tale produzione. Quindi, dichiarata dal presidente chiusa la discussione, la Corte si ritiro’ in camera di consiglio per deliberare, successivamente procedendo alla lettura del dispositivo.

L’iter processuale attestato dal verbale di causa che, e’ bene ricordarlo, costituisce atto pubblico che fa piena prova, fino a querela di falso, non solo della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, ma anche delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, (art. 2700 c.c.; confr.

Cass. civ. 8 settembre 2006, n. 19299; Cass. civ. 3 settembre 2003, n. 12828), smentisce l’assunto del ricorrente secondo cui il collegio si era riservato di decidere separatamente sulla sola richiesta istruttoria del difensore del F. di talche’ l’inaspettata pronuncia del dispositivo sarebbe avvenuta prima che le parti avessero avuto l’opportunita’ di esporre compiutamente ogni ulteriore deduzione difensiva e dunque in violazione delle regole del contraddittorio.

Ne deriva che l’allegata tardivita’ della costituzione della controparte integra anzitutto una questione nuova. A cio’ aggiungasi che, dovendo il giudizio di revocazione conformarsi alle regole proprie del procedimento davanti al giudice adito, in quanto non derogate da quelle specifiche del capo 4^ (art. 400 c.p.c.), il tardivo deposito della memoria dell’appellata non poteva avere altro effetto se non che rendere operativo l’istituto della decadenza, con riferimento a quelle attivita’ processuali che andavano compiute entro il termine fissato dalla legge. Ma il ricorrente, a ben vedere, neppure indica le deduzioni difensive della controparte da considerarsi, in concreto, precluse, svolgendo il motivo in chiave di nullita’ di tutti gli atti compiuti dal convenuto e, in definitiva, lamentando l’astratta inosservanza delle regole processuali fissate dalla legge (confr. Cass. civ. 3 agosto 2005, n. 16236).

2.1 Col terzo motivo il ricorrente lamenta illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione sul punto decisivo della controversia, costituito dalla decisivita’ dei documenti scoperti, ex art. 395 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Deduce che erroneamente la Corte d’appello aveva affermato che la documentazione successivamente rinvenuta e prodotta a sostegno dell’istanza di revocazione costituiva un’ulteriore conferma di quanto gia’ in precedenza acclarato, e cioe’ che la locatrice, all’epoca della stipula del contratto, era a conoscenza della irregolarita’ amministrativa dell’immobile. In realta’ nella precedente sentenza della Corte d’appello, oggetto di revocazione, non solo era stato escluso il dolo della P.T., ma era stato altresi’ espressamente affermato che mancava la prova che la stessa, prima della stipula del contratto di locazione, avesse avuto notizia del rigetto della istanza di condono. Invece dai documenti ora versati in atti emergeva in maniera incontrovertibile che la controparte era a conoscenza, in epoca anteriore al contratto di locazione, degli abusi edilizi e della impossibilita’ di sanarli. Ne’ il F. aveva mai avuto contezza della mancata concessione del condono edilizio e della gravita’ delle irregolarita’ amministrative dell’immobile, che rendevano impossibile il rilascio del certificato di abitabilita’.

2.2 Anche tali censure non hanno pregio.

Il giudice di merito ha escluso che l’atto di citazione posto a fondamento della revocazione, modificasse il quadro probatorio sulla cui base era stata pronunciata la sentenza revocanda, posto che esso costituiva un’ulteriore conferma di quanto gia’ acclarato sia in primo grado che in appello, e cioe’ che la locatrice, al momento della conclusione del contratto, era a conoscenza della irregolarita’ amministrativa dell’immobile.

Sennonche’, ha argomentato, secondo il motivato convincimento espresso nelle due precedenti pronunce di merito, la mancata comunicazione da parte della stessa dell’abusivita’ dell’immobile non aveva potuto influire sulla formazione della volonta’ del conduttore, essendo questi consapevole aliunde di tale situazione. E in proposito nessuna ulteriore indagine poteva essere svolta in sede di revocazione, dovendo la Corte limitarsi a stabilire la decisivita’ o meno dei documenti successivamente scoperti dal F..

Ha anche aggiunto che doveva ritenersi del tutto irrilevante, a prescindere da ogni questione in ordine alla tardivita’ della produzione, la documentazione versata in atti dal F. all’udienza di discussione, in quanto inerente a controversia pendente tra altre parti e relativa ad eventi di alcuni anni successivi alla stipula del contratto. Infine non poteva ignorarsi, da un lato, che i pretesi abusi del locale oggetto della locazione erano stati sanati con provvedimento in data 2 ottobre 1998;

dall’altro, che la domanda proposta dai condomini dello stabile con la citazione del 23 giugno 1997 era stata rigettata.

2.3 A fronte di tale esauriente apparato argomentativo, le critiche del ricorrente ignorano il principio, correttamente ribadito dalla Corte territoriale, per cui l’irregolarita’ urbanistica dell’immobile non incide sulla locazione, per la diversita’ degli interessi coinvolti nei rispettivi rapporti, di modo che il mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d’uso dei beni immobili – ovvero alla abitabilita’ dei medesimi – non e’ di ostacolo alla valida costituzione di una locazione, sempre che vi sia stata, da parte del conduttore, concreta utilizzazione del bene. Corollario di tale prospettiva e’ poi che la facolta’ di chiedere la risoluzione del contratto e’ riconosciuta al conduttore solo nell’ipotesi in cui il provvedimento amministrativo necessario per la destinazione d’uso convenuta sia stato definitivamente negato (confr. Cass. civ. 11 aprile 2006, n. 8409;

Cass. civ. 28 marzo 2006 n. 7081; Cass. civ. 21 dicembre 2004, n. 23695; Cass. civ. 5 ottobre 2000, n. 13270).

La questione veramente cruciale della causa era ed e’ allora non tanto la consapevolezza che dell’irregolarita’ urbanistica dell’immobile avesse il locatore, quanto il fatto che anche il conduttore ne fosse al corrente e che l’irregolarita’ urbanistica fosse stata o meno sanata. Ora, su tali aspetti del thema decidendum il ricorrente non solo si limita a contestare, in maniera puramente assertiva, la rispondenza al vero delle affermazioni del decidente, sollecitando in definitiva una rivalutazione dei fatti di causa preclusa in sede di legittimita’, ma omette anche di prendere posizione sull’allegata preclusione all’espletamento, in sede di revocazione, di ogni ulteriore indagine sul punto, e cioe’ su rilievi affatto dirimenti del discorso giustificativo della decisione.

Il ricorso deve in definitiva essere rigettato.

Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese), oltre IVA e CPA, come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2010

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