Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11596 del 26/05/2011

Cassazione civile sez. III, 26/05/2011, (ud. 21/03/2011, dep. 26/05/2011), n.11596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppe Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1139/2009 proposto da:

R.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA EMANUELE FILIBERTO 257, presso lo studio dell’avvocato

TURCO MARIA LAURA, rappresentato e difeso dall’avvocato FIOCCHI Luigi

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO SANITA’, in persona del Ministro p.t., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli Uffici

dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è rappresentato per

legge.

– controricorrente –

e contro

ORDINE PROVINCIALE MEDICI CHIRURGHI E ODONTOIATRI DI TERNI, PROCURA

REPUBBLICA TRIBUNALE TERNI;

– intimati –

avverso la decisione n. 68/2007 della COMM. CENTR. ESERC. PROFESSIONI

SANITARIE di ROMA, emessa il 12/11/2007, depositata il 17/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

21/03/2011 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’inammissibilità.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della decisione impugnata.

Il Dott. R.C. venne sottoposto a procedimento disciplinare da parte dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Terni con l’accusa di aver violato gli artt. 1, 2, 5, 6, 17 e 29 del Codice di Deontologia Medica, in relazione a presunti atti di libidine dallo stesso compiuti su una paziente minorenne.

La Commissione di prima istanza lo ritenne responsabile degli addebiti contestatigli, irrogandogli, per l’effetto, la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per due mesi.

L’impugnazione proposta dal sanitario avverso tale provvedimento è stata respinta dalla Commissione centrale in data 17 ottobre 2008.

Avversa detta pronuncia propone ricorso per cassazione R. C. formulando un unico motivo.

Resistono con controricorso il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo l’impugnante denuncia violazione degli artt. 116, 191 e 192 cod. proc. civ., art. 195 cod. proc. civ., comma 3, art. 2697 cod. civ.. Sostiene che il giudice disciplinare avrebbe fatto malgoverno del materiale probatorio acquisito perchè, pur asserendo di avere autonomamente apprezzato gli elementi emersi nel giudizio penale, a prescindere, dunque, dalla sentenza di patteggiamento, aveva in realtà posto a base del suo convincimento esclusivamente le prove colà raccolte, senza considerare che erano tutte testimonianze de relato.

2. Osserva il collegio che, preliminare e assorbente, rispetto all’esame del merito delle critiche formulate dal ricorrente, è il rilievo della mancata osservanza del disposto dell’art. 366 bis cod. proc. civ., nella interpretazione che ne ha dato la giurisprudenza di questa Corte.

Va al riguardo preliminarmente ricordato che la decisione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie può essere impugnata con ricorso per Cassazione, per motivi attinenti alla giurisdizione, a norma del D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233, art. 19 e per violazione di legge, a norma dell’art. 111 Cost., commi 6 e 7, vizio che ora comprende tutti gli errores in procedendo e in iudicando nonchè i difetti motivazionali enucleati nell’art. 360 cod. proc. civ., nn. da 1 a 5. Peraltro, in ragione della data della decisione impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009) e in base al comb. disp. del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2 e L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, il ricorso deve ritenersi soggetto, quanto alla sua formulazione, alla disciplina di cui all’art. 360 cod. proc. civ., e segg., nel testo risultante dal menzionato D.Lgs. n. 40 del 2006. In base a tali norme, e segnatamente, in base all’art. 366 bis cod. proc. civ., nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, 1’illustrazione della censura va completata con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. (Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11652).

2.1 Ora, a tale previsione è sicuramente soggetto anche il ricorso avverso le decisioni della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, perchè l’individuazione del giudice competente a decidere una certa impugnazione, implica un rinvio generalizzato alle norme che disciplinano il processo davanti allo stesso. Non a caso le regole proprie del giudizio di legittimità, ivi compreso, dunque, il disposto dell’art. 366 bis cod. proc. civ., ove, ratione temporis operativo, sono state pacificamente ritenute applicabili ai ricorsi avverso i provvedimenti disciplinari emessi dal Consiglio nazionale forense (Cass. civ. sez. un. 19 ottobre 2007, n.21864); a quelli avverso la sentenza irrogativa di sanzione disciplinare nei confronti di un notaio (Cass. civ., 5 marzo 2010, n. 5447); nonchè avverso le decisioni della sezione disciplinare del Consiglio Sup. Magistratura (confr. Cass. civ. sez. un. 20 novembre 2008, n. 27529).

3. Nella fattispecie l’unico motivo di ricorso, benchè attenga a violazione di legge, manca di tutto del quesito di diritto.

Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.200,00 (di cui Euro 5.000,00 per onorari), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge.

Così deciso in Roma, il 21 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2011

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