Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11596 del 11/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 11/05/2017, (ud. 23/03/2017, dep.11/05/2017),  n. 11596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22089-2015 proposto da:

D.C.C., D.C.R., nella qualità di eredi della

Sig.ra E.E., elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentate e difese

dall’avvocato ALFONSO DI BENEDETTO;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati MAURO RICCI, EMANUELA

CAPANNOLO e CLEMENTINA PULLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10759/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. D.C.C. e D.C.R., nella qualità di eredi di E.E., hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma che aveva confermato la sentenza del Tribunale di Velletri e, per quello che qui ancora rileva, rigettato la domanda avente ad oggetto la pensione di invalidità civile di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 12 per difetto di prova della sussistenza in capo alla de cuius del requisito reddituale, ritenendo priva di valore probatorio la certificazione ISEE.

2. A fondamento del ricorso si deduce come primo motivo la violazione degli artt. 2697 e 2724 c.c. e del D.L. n. 109 del 1998, nonchè la nullità della sentenza, nella parte in cui la Corte non ha ritenuto provato il requisito reddituale mediante la dichiarazione ISEE.

2.1. Come secondo motivo, le ricorrenti deducono la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e art. 152 disp. att. c.p.c. e lamentano che la Corte d’appello di Roma abbia posto le spese del giudizio a carico delle soccombenti eredi, mancando nella memoria di intervento le dichiarazioni per l’esonero; argomentano di essersi costituite in giudizio facendo propria l’attività processuale svolta dalla de cuius e riportandosi a tutte le difese da lei formulate, compresa la dichiarazione per l’esonero.

3. L’Inps ha resistito con controricorso.

4. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il primo motivo non è fondato. L’accertamento in punto di sussistenza del requisito reddituale deve essere effettuato tramite le attestazioni degli uffici finanziari specificamente richieste dalla L. n. 153 del 1969, art. 26 (richiamato dalla L. n. 118 del 1971 all’ art. 12), potendo la documentazione a corredo della domanda essere sostituita, in sede di procedimento amministrativo e non di giudizio civile, da autocertificazioni contenenti dichiarazioni emesse dall’interessato sotto la propria penale responsabilità (Cass. 04/04/2014 n. 8046, Cass. S.u. 03/04/2003 n. 5167). La dichiarazione ISEE è già stata ritenuta da questa Corte (v. Cass. ord. 26/06/2014 n. 14494) inidonea a dimostrare la sussistenza del requisito del reddito previsto per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assistenziali, in considerazione del fatto che essa è redatta sulla base delle dichiarazioni dell’assistito ed in applicazione del principio – più volte ribadito con riferimento alla dichiarazione sostitutiva di certificazione sulla situazione reddituale, prevista dalla L. 13 aprile 1977, n. 114, art. 24 e successive modificazioni – secondo il quale nessun valore probatorio, neanche indiziario, può essere riconosciuto nell’ambito del giudizio civile, caratterizzato dal principio dell’onere della prova, alla dichiarazione della parte, al fine di costituire elementi di prova a proprio favore (ex plurimis, Cass. S.u. 03/04/2003 n. 5167 cit., Cass. ord. n. 05/05/2016 n. 9010). La soluzione adottata dalla Corte d’appello è dunque conforme a diritto, nè rileva che nell’ordinanza del 8.6.2012 non sia stato indicato il tipo di documentazione da produrre, incombendo sulla parte che richiede la prestazione l’onere di dimostrare adeguatamente il possesso dei relativi requisiti.

2. Il secondo motivo è inammissibile nella parte in cui si pretende di far valere nei confronti degli eredi una dichiarazione della de cuius che non è trascritta nel ricorso ed in relazione alla quale non si individua la collocazione in atti, in violazione delle prescrizioni desumibili dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (nel testo che risulta a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 40 del 2006, operante ratione temporis), nell’interpretazione che ne ha in più occasioni ribadito questa Corte, secondo la quale qualora il ricorrente per cassazione si dolga dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito, per rispettare il principio di specificità dei motivi del ricorso – da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” – ha l’onere di indicare nel ricorso medesimo il contenuto rilevante del documento stesso, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali: ciò allo scopo di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato, senza compiere generali verifiche degli atti (v. Cass. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726, Cass. Sez. L, n. 17168 del 2012, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1391 del 2014, Sez. L, Sentenza n. 3224 del 2014).

2.1. Occorre peraltro chiarire a tale riguardo che la parte che ha l’onere, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., di formulare la dichiarazione sostitutiva di certificazione del reddito, è quella nei cui confronti si chiede operare l’esonero, con il che quando al de cuius subentrino in causa gli eredi, è alla loro specifica situazione reddituale che deve essere riferita la dichiarazione. La disposizione individua infatti il periodo rilevante al fine di verificare la sussistenza dei requisiti nell’anno precedente a quello della pronuncia e introduce l’impegno del ricorrente a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei li miti di reddito verificatesi nell’anno precedente, così manifestando che le prescritte condizioni reddituali debbano persistere nel corso del procedimento e che rilevino le modificazioni nel frattempo intervenute, non avendo ragionevole giustificazione la disposizione eccettiva del pagamento delle spese quando la sua applicazione non risulti giustificata da un’effettiva condizione di bisogno idonea a incidere sul diritto di azione e difesa in giudizio.

6. Il ricorso deve quindi essere rigettato.

7. La regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza.

8. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017

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