Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11596 del 04/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 04/05/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 04/05/2021), n.11596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3389/2014 R.G. proposto da:

TERMOPLAST S.R.L., elettivamente domiciliata in Roma, viale Regina

Margherita 262-264, presso lo studio dell’avv. Cataldo D’Andria, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE PROVINCIALE DI FIRENZE, UFFICIO

CONTROLLI AREA LEGALE, in persona del direttore protempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 153/8/12 della Commissione tributaria

regionale della Toscana, depositata il 13 dicembre 2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/10/2020 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. In seguito ad attività ispettiva iniziata il 27 febbraio 2008, l’Agenzia delle Entrate di Empoli notificò, in data 28 maggio 2008, alla società Termoplast s.r.l. avviso di accertamento, con il quale era stato determinato un maggior reddito imponibile ai fini Ires e Irap, con riguardo all’anno di imposta 2005, sulla base di rilievi afferenti al mancato riconoscimento della detrazione di due sopravvenienze passive, di fatture emesse da alcune società, di prestazioni alberghiere, di spese per manutenzioni e riparazione di macchinari e di spesa per vitto, considerata non di trasferta ma di rappresentanza, cui seguì l’istanza di accertamento con adesione D.Lgs. 19 giugno1997, n. 218, ex art. 6, comma 3, in seguito alla quale, all’esito del contraddittorio instaurato, l’Ufficio confermò interamente il contenuto del predetto atto.

Impugnato l’avviso dalla società contribuente, la Commissione tributaria provinciale di Firenze accolse integralmente le sue doglianze, con sentenza n. 99/19/09. La Commissione tributaria regionale della Toscana, con sentenza n. 153/8/12, depositata il 13/12/12, accolse parzialmente l’appello proposto dall’Ufficio con riguardo ai primi due motivi (afferenti, il primo, al mancato riconoscimento delle detrazioni di una sopravvenienza passiva in relazione a un risarcimento a favore di una società cliente per una fornitura di merce difettosa avvenuta tra il settembre 2004 e il febbraio 2004, e, il secondo, al mancato riconoscimento della deducibilità delle fatture Publiambiente s.p.a.).

2. Contro la predetta sentenza la contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati anche con memoria. L’agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riguardo alla sopravvenienza passiva di Euro 54.078,86. La contribuente, in particolare, ha evidenziato come questa trovasse titolo nel risarcimento del danno da essa riconosciuto alla propria cliente Seda Italy s.p.a., alla quale, nel periodo settembre 2002/febbraio 2003, aveva fornito merci rivelatesi viziate, come formalmente acclarato nell’incontro tenutosi all’uopo tra i rispettivi rappresentanti in data 17 marzo 2003, e per le quali la propria compagnia assicurativa, cui essa si era rivolta, aveva comunicato alla cessionaria, con lettera del 4 ottobre 2004, l’addebitabilità dell’occorso alla società Esso italiana s.r.l., produttrice di granuli di polietilene e fornitrice di essa contribuente che avevano provocato la contaminazione delle merci, e non ad essa contribuente. La somma in questione era dunque quella che la Seda aveva dovuto versare per il ritiro delle proprie merci dal mercato (come da mail 16 gennaio 2004 e 25 maggio 2004) e rispetto alla quale aveva emesso, nel mese di aprile 2005, la nota di debito n. 2310, che essa contribuente aveva provveduto a liquidare, registrando l’importo come “sopravvenienze passive” a titolo di penalità e risarcimento in quanto aveva concorso, a suo tempo, attraverso la registrazione dei ricavi, a formare il reddito in precedenti esercizi, mentre nel successivo 2006 il danno causato dalla Esso alla contribuente era stato quantificato in Euro 120.663,67, effettivamente dalla stessa ricevuto e assoggettato a tassazione quale sopravvenienza attiva.

Ebbene, la ricorrente ha lamentato che il giudice di merito avesse ritenuto che l’importo del risarcimento in favore della Seda fosse stato definito nel corso del 2004 e quello da parte della Esso nel 2006, sicchè questo non poteva essere considerato come costo relativo al 2005, ma come mero giro finanziario o tutt’al più non di competenza e dunque non deducibile, mentre aveva del tutto trascurato il fatto che il pagamento fosse avvenuto nel 2005 in seguito alla nota di debito della Seda emessa nel medesimo anno, a dimostrazione del fatto che, prima di tale data, non fosse stata rinvenuta la sua responsabilità e che la certezza si fosse avuta soltanto in quel momento, con la nota di debito e il pagamento, in ottemperanza ai requisiti di certezza e di obiettiva determinabilità presupposti dal principio di competenza di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, comma 1, del tutto omessi dai giudici.

2. Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artT. 101 e 109 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la C.T.R. aveva adottato la decisione senza tener conto dei concetti di certezza – quanto agli elementi reddituali – e di obiettiva determinabilità – quanto al loro ammontare -, sussistenti rispettivamente in presenza del presupposto di fatto e di diritto dei redditi e dell’idoneità a stabilirne l’entità degli atti e documenti probatori, e senza tener conto, perciò, che nel 2004 non vi era alcuna certezza sulla responsabilità del danno subito da Seda, la quale le era stata attribuita soltanto successivamente per effetto della richiesta di pagamento a lei direttamente inoltrata con l’emissione, nel 2005, di note di credito liquidate nello stesso anno, benchè il momento del pagamento del risarcimento fosse fondamentale alla luce delle suddette disposizioni.

3. Con il terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. ritenuto di qualificare la fattispecie come prestito finanziario concesso dalla contribuente nei confronti di Seda, essendo tale valutazione incompatibile con la successiva affermazione secondo cui il titolo potesse al più considerarsi come non di competenza, stante l’indeducibilità della prima ipotesi e l’impossibilità di dedurre il costo in un anno diverso da quello stabilito dalla legge come di competenza nella seconda, oltretutto in assenza di alcuna prova in tal senso.

4. Con il quarto motivo, infine, la contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 101 e 109 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. affermato, con riguardo alle fatture emesse da Publiambiente, che, secondo le buone regole contabili, i costi si sarebbero dovuti rilevare nel corso dell’esercizio in cui sono stati sostenuti e che, nella specie, la fattura della società di gestione del servizio era pervenuta prima delle operazioni di chiusura del bilancio ed era dunque perfettamente conosciuta. La ricorrente ha in proposito obiettato che le fatture erano in realtà state emesse il 28 giugno e il 12 ottobre 2005 e che del relativo costo non era venuta a conoscenza prima della chiusura del bilancio, come non contestato dall’Ufficio, sostenendo che l’astratta conoscibilità di un costo non possa superare il fatto concreto che quel costo non si era ancora realizzato nè nella forma, nè nel quantum, e non sia dunque deducibile finchè non divenuto certo e determinabile.

5. Per motivi di priorità logica, si ritiene di trattare innanzitutto il secondo e il terzo motivo, i quali vanno esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi.

I motivi sono infondati.

Il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109 (già art. 75), così come novellato dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 1, nella versione applicabile ratione temporis, stabilisce, al comma 1, che “i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme della presente Sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni”; al comma 4, prima parte, che “Le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio di competenza”; e nel comma 4, ultima parte, che “le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi, che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi”.

Questa Corte, con riguardo al previgente art. 75, comma 1, parte seconda (oggi sostituito, come detto dall’art. 109 in seguito alla modifica introdotta dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 1) del medesimo D.P.R., ha già avuto modo di affermare che la previsione, che consente di dedurre ricavi, spese e altri componenti negativi nell’esercizio in cui si verificano le condizioni della certezza della loro esistenza e della determinabilità, in modo obiettivo, del loro ammontare, costituisce una deroga al principio di competenza, indicato dal legislatore in quello nel quale nasce e si forma il titolo giuridico che costituisce la fonte di ciascuna di tali voci, in quanto la norma mira a contemperare la necessità di computare tutte le componenti nell’esercizio di competenza con l’esigenza di non addossare al contribuente un onere troppo difficile da rispettare, sì da dover essere interpretata nel senso che il dovere di conteggiare tali componenti nell’anno di riferimento si arresta soltanto di fronte a quei ricavi ed a quei costi che non siano ancora noti all’atto della determinazione del reddito, e cioè al momento della redazione e presentazione della dichiarazione (Cass., sez. 5, 25/01/2006, n. 1431; Cass., sez. 5, 22/09/2006, n. 20521; Cass., sez. 5, 14/05/2007, n. 10988; Cass., sez. 5, 09/08/2007, n. 17568; Cass., sez. 5, 09/11/2018, n. 28671; Cass., sez. 5, 24/05/2017, n. 13048).

E’ stato altresì sostenuto, per un verso, che l’individuazione dell'”esercizio di competenza” involge accertamenti di fatto, che rientrano tra i compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento può essere censurato in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio motivazionale (Cass., sez. 5, 25/01/2006, n. 1431; Cass., sez. 5, 14/05/2007, n. 10988) e, per altro verso, che l’onere di provare la sussistenza dei requisiti di certezza e determinabilità delle componenti del reddito in un determinato esercizio sociale incombe sull’Amministrazione finanziaria per quelle positive e sul contribuente per quelle negative (in tal senso, Cass., sez. 5, 22/09/2006, n. 20521).

Ciò detto, si evidenzia come l’indeterminabilità delle componenti negative di reddito sussista non già per il solo fatto che il creditore del contribuente non abbia quantificato la propria pretesa ovvero non abbia emesso la fattura per le prestazioni erogate, ma si configuri soltanto quando tale quantificazione sia stata impedita da circostanze obiettive e come tale indicazione sia posta a carico del contribuente, gravato dall’onere di fornire la prova della certezza e determinabilità delle componenti negative del reddito (Cass., sez. 5, 30/07/2007, n. 16819) e, per quanto qui interessa, come l’importo del risarcimento del danno, costituente nella specie sopravvenienza passiva, sia deducibile nell’esercizio in cui esso sia stato rivendicato e non in quello, successivo, in cui la società debitrice abbia riconosciuto la fondatezza della richiesta, non costituendo detto riconoscimento fonte dell’obbligazione risarcitoria, nè valendo a rendere certa e determinabile in modo obiettivo l’ammontare dell’obbligazione stessa (in termini, Cass., sez. 5, 25/01/2006, n. 1431, cit.).

5.1 Orbene, le doglianze del ricorrente non si confrontano con gli argomenti contenuti nella sentenza impugnata, nella quale i principi sopra espressi hanno trovato corretta applicazione.

La C.T.R., sia pure con scarna motivazione, ha infatti preso posizione su quale fosse, a suo avviso, l'”esercizio di competenza” cui imputare la sopravvenienza passiva – costituita dalla pretesa risarcitoria della società cessionaria – ai fini della sua deducibilità, e lo ha individuato nell’anno 2004, nel corso del quale, a suo avviso, la relativa somma era stata “definita”, escludendo invece espressamente, come momento rilevante, l’anno 2005.

Ciò consente di affermare che i giudici d’appello abbiano avuto ben presente i termini giuridici della questione, avendo correttamente ritenuto che la soluzione della stessa implicasse l’accertamento del momento in cui il costo in questione avesse assunto i connotati della certezza e della conoscibilità.

E poichè l’individuazione dell’esercizio di competenza involge accertamenti di fatto, rientranti, in quanto tali, tra i compiti esclusivi del giudice di merito, il relativo apprezzamento può essere censurato in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio motivazionale.

Resta invece irrilevante, ai fini della decisione, l’interpretazione fornita dalla C.T.R. in ordine all’omessa indicazione della posta nel conto economico riguardante l’anno della sua certa definizione, trattandosi di mere ipotesi non decisive per il giudizio, alla luce delle considerazioni svolte dai giudici in precedenza, e non avendo alcuna attinenza con il riparto dell’onere probatorio.

Per quanto detto, i motivi devono ritenersi infondati.

6. Il primo motivo presenta profili sia di inammissibilità che di infondatezza.

La censura in realtà attiene, nel suo complesso, alla valutazione, effettuata dal giudice di merito, del materiale probatorio, al quale viene sostanzialmente contestato di avere valorizzato esclusivamente i fatti riguardanti gli anni 2004 e 2006, trascurando, invece, quelli dedotti e provati afferenti all’anno 2005.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede, infatti, “l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass., sez. 5, 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., sez. 3, 20 agosto 2015, n. 17037; Cass., sez. 1, 8 settembre 2016, n. 17761; Cass., sez. 6, 4 ottobre 2017, n. 23238; Cass., sez. L., 25 giugno 2018, n. 16703; Cass., sez. 5, 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., sez. 2, 29 ottobre 2018, n. 27415). L’accadimento o circostanza, inoltre, deve vertere su un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (ossia lin fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo), od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (Cass., sez. 1, 8 settembre 2016, n. 17761; Cass., sez. 6, 4 ottobre 2017, n. 23238; Cass., sez. 2, 29 ottobre 2018, n. 27415).

E’, invece, inammissibile la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non potendo mai questa Corte procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idoneè a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova. Pertanto, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sè degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice.

6.1 Orbene, nella specie la ricorrente ha inteso criticare la pronuncia impugnata per non aver esaminato tutti i singoli elementi emersi nel processo e sollecitare indirettamente, perciò, l’adozione di una diversa interpretazione del quadro indiziario sulla base di una differente valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri, così proponendo censure postulanti l’esercizio di un potere che esula dal giudizio di legittimità e ponendosi dunque in contrasto con i principi sopra enunciati, specie ove si consideri che il giudice di merito non è tenuto a dar conto dell’esame di tutte le prove prodotte o acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, ma può limitarsi ad esporre sinteticamente gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione e ad evidenziare, con motivazione logica e adeguata, le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo invece reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (Cass., sez. 5, 21/01/2015, n. 961, cit.; anche Cass., sez. L., 20/02/2006, n. 3601; Cass., sez. 1, 13/01/2005, n. 520; Cass., sez. 3, 28/10/2009, n. 22801).

6.2 Quanto al merito della pretesa, va segnalata l’inconferenza dei fatti addotti a dimostrazione della corretta deduzione, per l’anno 2005, dei costi dovuti alla richiesta di risarcimento del danno avanzata nei confronti della contribuente.

Si è già detto come gravi sul contribuente l’onere di dimostrare che la quantificazione delle componenti negative di debito sia stata impedita da circostanze obiettive e di provare altresì la stessa certezza e determinabilità di quelle componenti, e come, in caso di sopravvenienze passive costituite da richieste risarcitorie, rilevi il momento in cui sia stato rivendicato il relativo credito, indipendentemente dal riconoscimento dello stesso da parte della società debitrice.

Ma se così è, appare evidente che i fatti lamentati come omessi (l’emissione della nota di debito da parte della creditrice e il pagamento della somma nella stessa indicata) non rilevino ai fini voluti, atteso che il riscontro del danno lamentato dalla cessionaria a cura della cedente è avvenuto in occasione dell’incontro tra i rispettivi rappresentanti del 17 marzo 2003 (cfr. pag. 3 del ricorso) e che già nel 2004 la Seda aveva dovuto versare una somma di denaro di entità pari a quella indicata nella nota di debito (come indicato nelle mail del 16 gennaio e del 25 maggio 2004 citate in ricorso, pag. 4).

7. Il quarto motivo è inammissibile per difetto di

autosufficienza, stante l’inidoneità del requisito dell’esposizione del fatto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3.

Per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, infatti, il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa” (ex multis, Cass., sez. 6-3, 29/11/2016, n. 24341).

Nella censura non viene, invece, fornita alcuna informazione sul contratto stipulato dalla ricorrente con Publiambiente, ma soltanto scarne indicazioni, tratte dalla sentenza di primo grado, sulla data di emissione delle fatture da parte di quest’ultima, risalenti al 2005, e sul successivo pagamento delle stesse da parte della contribuente, oltre alle argomentazioni contenute nella sentenza di secondo grado, del tutto insufficienti ai fini dell’assolvimento del requisito di ammissibilità in discorso.

L’ulteriore sforzo descrittivo, del resto, incide nella specie sulla stessa valutazione nel merito della pretesa, ove si consideri che è il contribuente a dover provare e, dunque, prima ancora a dedurre l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto d’impresa (cfr. Cass., sez. 5, 21/11/2019, n. 30366) e che la rilevanza della fatturazione, cui il ricorrente attribuisce particolare importanza, assume connotati differenti a seconda del tipo contrattuale cui il costo asseritamente deducibile si correla, come in caso di fornitura continua di servizi (cfr. Cass., sez. 5, 20/11/2009, n. 24526), quale sembrerebbe ricollegarsi la fattispecie in esame alla stregua degli scarni riferimenti alla T.I.A. contenuti nel controricorso.

8. Alla stregua di quanto detto, devono rigettarsi il secondo e il terzo motivo, mentre deve essere dichiarata l’inammissibilità del primo e del quarto.

9. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00, per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021

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