Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11594 del 26/05/2011

Cassazione civile sez. III, 26/05/2011, (ud. 10/03/2011, dep. 26/05/2011), n.11594

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 33353/2006 proposto da:

RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA’ S.P.A. (OMISSIS) in persona dei

procuratori speciali Dott.ssa M.R., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE CARSO 73, presso lo studio dell’avvocato

FARGIONE Vincenzo Maria, che la rappresenta e difende giusta delega

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.L. (OMISSIS), D.C.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 76, presso lo studio dell’avvocato SPADARO Marco, che li

rappresenta è difende giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

B.P.A., FIRE CONTROL ANTICENDIO SRL, LLOYD ADRIATICO SPA;

– intimati –

sul ricorso 2617/2007 proposto da:

LLOYD ADRIATICO (OMISSIS) in persona del suo procuratore Dott.

C.S.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBERICO

II 11, presso lo studio dell’avvocato SCARPA ANGELO, che la

rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

RAS SPA, FIRE CONTROL ANTINCENDIO SRL, C.L., D.

C., B.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1118/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

Sezione Quarta Civile, emessa il 7/12/2005, depositata il 01/03/2006,

R.G.N. 1925/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/03/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato VINCENZO MARIA FARGIONE;

udito l’Avvocato MARCO SPADARO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale p.q.r., rigetto ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 1/3/2003 la Corte d’Appello di Roma, dichiarato inammissibile quello della compagnia assicuratrice Ras s.p.a., in accoglimento dei gravami interposti dal sig. R.C. (in via principale) e dalle sigg.re D.C. e C. L. (in via incidentale), e in conseguente (parziale) riforma della pronunzia Trib. Roma n. 39984/2002, dichiarava la pari responsabilità del R. e del sig. B.P.A. nella causazione del sinistro stradale avvenuto il (OMISSIS) all’esito del quale decedeva il sig. C.E., liquidando all’attualità il danno morale rispettivamente riconosciuto in favore della D. e della C.L., al cui pagamento, in via solidale, condannava il R. e la Ras s.p.a. nonchè il B., la società Fire Control Antincendio s.r.l. e la società Lloyd Adriatico s.p.a., e rigettava la domanda di regresso della Ras s.p.a. nei confronti del R..

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società Allianz s.p.a. (già Ras s.p.a.) propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi la D. e la C., che hanno presentato anche memoria, nonchè la società Lloyd Adriatico s.p.a. ed altri, la quale ultima spiega altresì ricorso in via incidentale sulla base di unico motivo.

Gli intimati sig. R.C. e società Fire Control Antincendio s.r.l. non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo la ricorrente in via principale denunzia violazione dell’art. 352 c.p.c., in relazione all’art. 360, B., comma 1, n. 3, nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si duole che la corte di merito abbia omesso di pronunziare sulla domanda di restituzione delle somme già versate ad integrale e definitiva estinzione del credito delle sigg.re C. e C. “come portato dalla prima sentenza”.

Con il 2^ motivo denunzia violazione dell’art. 149 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si duole che sia stato dichiarato inammissibile l’appello in via incidentale proposto per omessa notifica al sig. B., laddove “la notificazione della comparsa di costituzione della Ras e di contestuale appello incidentale, unitamente alla copia autentica del verbale della udienza collegiale del 12 gennaio 2003 venne effettuata nei confronti del convenuto B.P.A., contumace nel primo giudizio, a mezzo del servizio postale con raccomandata A.R. spedita in data 11 febbraio 2005 e ritirata in data 16 febbraio 2005”, con “relativo plico … ritirato presso l’ufficio postale da persona che sottoscriveva qualificandosi incaricata al ritiro, ampiamente entro il termine del 30/4/2005 concesso dal collegio per il rinnovo della notificazione al B.P.A.”.

Con il 3^ motivo denunzia insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia riformato la sentenza di primo grado la quale “esattamente aveva accertato che il R. era sotto l’influsso di cocaina al momento del sinistro”, limitandosi ad acriticamente richiamare “il contenuto della consulenza di parte in favore del R.C., depositata dalla di lui difesa nel giudizio penale”, laddove “la presenza dei metaboliti della cocaina nelle urine dimostra la presenza della sostanza anche nel sangue, da dove in effetti proviene … Quindi, essendo provato che al momento del ricovero il R. eliminava ancora nelle urine i metaboliti della cocaina presenti nel suo sangue, si deve anche ammettere che al momento del sinistro egli era sotto l’effetto della sostanza di abuso”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierna ricorrente.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come la medesima faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito es., all’atto di citazione, agli atti di appello, alla sentenza di primo grado, all’istruttoria penale, al rapporto dei carabinieri, alle “some bonariamente erogate” alla “raccomandata a.r.”, alla consulenza di parte limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità (v. Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

A tale stregua non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), e in particolare in ordine alla dedotta notifica asseritamente effettuata a mezzo del servizio postale, da condursi invero sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., l/2/1995, n. 1161).

Va ulteriormente ribadito che il principio di autosufficienza va osservato anche relativamente alla denunzia di error in procedendo, dovendo specificamente indicarsi l’atto difensivo o il verbale di udienza nei quali le domande o le eccezioni sono state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (v. Cass., 31/1/2006, n. 2138; Cass., 27/1/2006, n. 1732; Cass., 4/4/2005, n. 6972; Cass., 23/1/2004, n. 1170; Cass., 16/4/2003, n. 6055).

E’ infatti al riguardo noto che, pur divenendo nell’ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale) ed abbia quindi il potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Orbene, la ricorrente, attesa la rilevata violazione del principio di autosufficienza, non pone questa Corte nella condizione di compiutamente apprezzare quale fosse l’oggetto della domanda originariamente rivolta al giudice di prime cure, quale sia stata la relativa pronunzia, e quali fossero i limiti (oggettivi e soggettivi) del gravame avverso la medesima interposto.

Quanto al 3^ motivo va altresì osservato che vige in materia il principio judex peritus peritorum, in virtù del quale è consentito al giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente tecnico d’ufficio: e ciò sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie; sia quando il giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche, unico onere in ambedue i casi essendo quello di un’adeguata motivazione al riguardo da parte del giudice, esente da vizi logici ed errori di diritto (v. Cass., 18/11/1997, n. 11440), ben potendo il giudice di merito, per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica, fare ricorso alle conoscenze specialistiche che abbia acquisito direttamente attraverso studi o ricerche personali (v. Cass., 26/6/2007, n. 14759).

Deve per altro verso ribadirsi il consolidato principio in base al quale il ricorrente che si duole di carenze o lacune nella decisione del giudice di merito che abbia basato il proprio convincimento disattendendo le risultanze degli accertamenti tecnici eseguiti, non può limitarsi a censure apodittiche di erroneità o di inadeguatezza della motivazione, traendone conclusioni difformi da quelle alle quali è pervenuto il giudice “a quo”, ma, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed il carattere limitato di tale mezzo di impugnazione, è per converso tenuto ad indicare, riportandole per esteso, le pertinenti parti della consulenza ritenute erroneamente disattese, e a svolgere concrete e puntuali critiche alla contestata valutazione, condizione di ammissibilità del motivo essendo che il medesimo consenta al giudice di legittimità (cui non è dato l’esame diretto degli atti se non in presenza di errores in procedendo) di effettuare, preliminarmente, al fine di pervenire ad una soluzione della controversia differente da quella adottata dal giudice di merito, il controllo della decisività della risultanza non valutata, delle risultanze dedotte come erroneamente od insufficientemente valutate, e un’adeguata disamina del dedotto vizio della sentenza impugnata; dovendo escludersi che la precisazione possa come nella specie viceversa consistere in generici riferimenti ad alcuni elementi di giudizio, meri commenti, deduzioni o interpretazioni, traducentisi in una sostanziale prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice di merito, di cui si chiede a tale stregua un riesame, inammissibile in sede di legittimità (v. Cass., 30/8/2004, n. 17369; Cass., 13/6/2007, n. 13845).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierna ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come si è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., essa in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso principale.

Con unico motivo la ricorrente in via incidentale denunzia falsa applicazione degli artt. 102, 163, 164, 291, 307, 331, 350 e 359 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, Si duole che la corte di merito non abbia “dichiarato d’ufficio l’estinzione del processo d’appello ex art. 291 c.p.c. e art. 307 c.p.c., comma 3, ovvero ex art. 164 c.p.c. e art. 307 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 102 c.p.c.”, pur non essendosi da alcuna delle parti “provveduto all’integrazione del contraddittorio e/o alla rinnovazione della notifica dell’atto di appello nei confronti della sig.ra C.L. nel termine perentorio all’uopo fissato fino al 30.4.2005”.

Il motivo è infondato nei termini di seguito indicati.

Va invero osservato che la decadenza non può considerarsi verificata in caso di atto nullo (nel caso notifica della rinnovazione della citazione in appello) sanato con efficacia ex tunc (nella specie per successiva costituzione in giudizio), sicchè correttamente la corte di merito ha nell’impugnata sentenza ritenuto l’insussistenza nel caso di “alcun motivo di improcedibilità” dell’appello.

Attesa le reciproca soccombenza va disposta la compensazione tra le parti costituite delle spese del giudizio di cassazione.

Non è invece a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione nei confronti degli intimati R. e Fire Control Antincendio s.r.l., non avendo i medesimi svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio di cassazione tra le parti costituite.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2011

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