Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11590 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. III, 15/06/2020, (ud. 17/01/2020, dep. 15/06/2020), n.11590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20192-2018 proposto da:

B.F., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

CLAUDIO DEFILIPPI;

– ricorrente –

contro

STUDIO SETTANTASETTE AMMINISTRAZIONE STABILI in persona del

Ragioniere, domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GABRIELLA

BERTI;

CONDOMINIO (OMISSIS) in persona dell’amministratore, domiciliato ex

lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato LORENZO PISTACCHIO;

– controricorrenti –

nonchè contro

INSURANCE COMPANY EUROPE LTD, UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA,

P.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 934/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 21/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/01/2020 dal Consigliere Dott. MOSCARINI ANNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.F. ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Trieste n. 934 del 21712/2017 che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto provata, sia pur parzialmente, la riconducibilità dei danni subiti dall’appartamento di sua proprietà, in conseguenza di due crolli che avevano interessato il soffitto in data 1/3/2013 e 8/4/2013, a parti comuni dell’edificio, con ciò configurando la responsabilità, in parte qua, del Condominio di (OMISSIS) ai sensi dell’art. 2051 c.c., in ragione del rapporto di custodia tra il Condominio ed il bene immobile, in mancanza di prova del caso fortuito.

Per quel che ancora qui di interesse, l’impugnata sentenza, ritenuta provata la riconducibilità causale dei danni a parti comuni dell’edificio, ha basato la propria ratio decidendi sull’art. 2051 c.c., ha ritenuto inammissibile il motivo di appello con cui si chiedeva l’accertamento della responsabilità dell’amministratore del Condominio (Studio Settantasette Amministrazione Stabili), in relazione al suo ruolo di mandatario, in ragione del fatto che la domanda introduttiva del giudizio di primo grado si era basata esclusivamente sull’art. 2051 c.c. e che, solo tardivamente, con una sostanziale mutatio libelli, l’attore aveva, con la memoria ex art. 183 c.p.c., introdotto la nuova e diversa domanda fondata sulla responsabilità del mandatario. La Corte territoriale ha altresì parzialmente accolto il motivo d’appello relativo alla prova del quantum richiesto a titolo di risarcimento del danno, ha riconosciuto dovuta al B. la somma di Euro 6.620,83 con rivalutazione ed interessi, per i danni materiali subìti, ma ha escluso, in difetto di adeguata prova, sia la risarcibilità dei danni da lucro cessante, non ritenendo sufficiente la documentazione depositata dall’attore (comprovante i redditi complessivi degli anni 2011 e 2012 peraltro anteriori agli eventi dannosi) e ritenendo non idonea allo scopo la documentazione concernente il successivo ricorso al credito da parte del B., sia la risarcibilità dei danni non patrimoniali, in assenza di prova di un danno biologico correlato al sinistro, della lesione di un interesse costituzionalmente protetto e della gravità del pregiudizio subito, richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte per il riconoscimento dei danni morali. Ha condannato la Unipolsai Assicurazioni S.p.A., compagnia di assicurazioni chiamata in causa dal Condominio, a manlevare il medesimo delle somme dovute al B. e, quanto al regime delle spese di lite, ha compensato le spese di primo grado tra il B., il Condominio ed altra condomina chiamata in giudizio ed ha condannato il B. a rifondere al Condominio le spese del grado di appello.

Avverso la sentenza B.F. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resistono, con distinti controricorsi, lo Studio Settantasette Amministrazione Stabili ed il Condominio di (OMISSIS).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e artt. 1130 e 1131 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “motivazione apparente, perplessa ed incomprensibile sul punto della responsabilità dell’amministratore”.

Il ricorrente assume che, illegittimamente, la sentenza d’appello abbia escluso la responsabilità dell’amministratore del Condominio quale mandatario del medesimo ex artt. 1130 e 1131 c.c., omettendo di pronunciare l’obbligo ex lege e dunque indipendente da una domanda giudiziale, di attivarsi, effettuare i lavori di manutenzione e compiere gli atti conservativi; e che, pure illegittimamente, la sentenza abbia ritenuto tardiva la domanda, introdotta con l’art. 183 c.p.c., comma 5, volta ad acclarare la responsabilità dell’amministratore quale mandatario ex art. 1710 c.c., alla luce della giurisprudenza di questa Corte (Cass., U, 15 giugno 2015 n. 12310) secondo la quale sarebbero ammissibili le modificazioni della domanda introduttiva, pure incidenti sulla causa petendi o sul petitum, con l’unico limite che l’originario elemento identificativo soggettivo delle persone rimanga immutato e che la vicenda sostanziale sia uguale o quantomeno collegata a quella dedotta con l’atto introduttivo. Ciò premesso, il Giudice avrebbe errato nel ritenere che, introdotta la domanda ex art. 2051 c.c., nei confronti del Condominio e dell’amministratore, quella formulata nei confronti di quest’ultimo ex art. 1710 c.c., nei termini ex art. 183 c.p.c., comma 5, fosse domanda nuova.

1.1 Il motivo è inammissibile per plurimi e distinti profili.

Innanzitutto per difetto di autosufficienza ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3 e n. 6, in quanto non riporta nè l’esposizione sommaria dei fatti della causa nè la specifica indicazione degli atti processuali sui quali il motivo si fonda, non ponendo questa Corte in grado di desumere, dalla stesura del ricorso, se vi sia stata o meno una mutatio libelli.

In secondo luogo è inammissibile in quanto non censura adeguatamente l’impugnata sentenza, deducendo ex art. 345 c.p.c., un novum in appello che non sussiste. Il Tribunale in primo grado aveva dato atto che l’amministratore del condominio si era in vario modo attivato e prodigato nell’immediatezza del fatto per scongiurarne gli effetti dannosi, escludendo ogni motivo di addebito ex art. 2051 c.c., nei confronti del Condominio e del suo amministratore, mentre l’amministratore aveva dichiarato di non accettare il contraddittorio sulla domanda formulata tardivamente in relazione alla diversa causa petendi della sua responsabilità come mandatario.

In appello l’amministratore del Condominio, resistendo all’impugnazione, aveva evidenziato che l’unica domanda risarcitoria formulata nei propri confronti era quella ex art. 2051 c.c., in quanto, evocato in giudizio sulla base di quella causa petendi, aveva dichiarato, come riferito, di non accettare il contraddittorio rispetto alla diversa domanda, introdotta tardivamente, relativa alle sue responsabilità di mandatario. Il Giudice d’Appello ha dichiarato inammissibile il motivo di appello relativo alla responsabilità dell’amministratore perchè le statuizioni sull’assenza di responsabilità ex art. 2051 c.c., non erano state impugnate, mentre quella relativa al rapporto di mandato era inammissibile per tardività. Appare evidente che non vi è stata alcuna violazione dell’art. 345 c.p.c., perchè la Corte d’Appello ha ritenuto l’inammissibilità del motivo non per un novum in grado d’appello ma per la tardiva formulazione in primo grado della questione della responsabilità dell’amministratore quale mandatario.

In terzo luogo il motivo è inammissibile perchè solleva un vizio di motivazione omettendo di indicare il fatto decisivo sul quale la Corte d’Appello avrebbe omesso di pronunciare e dunque non attenendosi alle prescrizioni dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis. Peraltro, la sentenza impugnata presenta una motivazione che raggiunge il minimo costituzionale secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass., U, n. 8053 del 7/4/2014, sempre confermata fino alla più recente pronuncia Cass. 6-3n. 22598 del 25/9/2018).

2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2059 e 1223 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 “motivazione apparente, perplessa ed incomprensibile sul punto della responsabilità per danni da lucro cessante e dei danni non patrimoniali”. Censura sia il capo di sentenza che ha ritenuto non provata la domanda di danni per lucro cessante, in relazione al deposito delle dichiarazioni dei redditi per gli anni 2011 e 2012 (antecedenti gli eventi dannosi) e della documentazione concernente il successivo ricorso al credito da parte del B., sia il capo di sentenza che ha escluso la prova di un danno biologico correlato al sinistro, la lesione di un interesse costituzionalmente protetto e la gravità del pregiudizio subito richiesti dalla giurisprudenza per il risarcimento dei danni morali. Le statuizioni in punto di non risarcibilità dei danni non patrimoniali sarebbero non conformi alla giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto il danno biologico, il danno morale e quello dinamico-relazionale tutti autonomamente risarcibili.

2.1 Il motivo non merita accoglimento, sebbene la motivazione della impugnata sentenza vada corretta laddove identifica la risarcibilità del danno non patrimoniale con i soli casi di danno biologico correlato al sinistro ed in presenza degli altri requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte, con le note sentenze delle SU del 2008, in particolare con la n. 26972 del 2008. E’ noto che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato, di recente, ma con orientamento che ormai può dirsi definitivamente consolidato (ex aliis, Cass. 901/2018, 7513/2018, 2788/2019) che il danno non patrimoniale si sostanzia, ontologicamente, nella lesione di un diritto costituzionalmente tutelato, mentre, sul piano funzionale, si caratterizza per la sua duplice componente – morale e relazionale – e che tale conclusione non contrasta col principio di unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972 del 2008 delle Sezioni Unite, giacchè quel principio impone una liquidazione unitaria del danno, ma non una considerazione atomistica dei suoi effetti (Cass., 3, n. 20292 del 20/11/2012; Cass., L, n. 9770 del 23/4/2013, Cass., 3, n. 22585 del 3/10/2013, Cass., 3, n. 23147 dell’11/10/2013, Cass., 3, n. 1361 del 23/1/2014, Cass., L, n. 21917 del 16/10/2014). Nonostante tale precisazione il motivo è palesemente inammissibile quanto alla censura ex art. 360, comma 1, n. 3, in quanto la sentenza ha escluso la risarcibilità del lucro cessante e del danno non patrimoniale per mancanza della prova del danno sicchè, nonostante la censura sia stata prospettata nei termini della violazione di legge, essa è chiaramente volta a sollecitare questa Corte ad un riesame delle prove e dunque del merito della causa. La censura articolata con riguardo alla perdita di chances è peraltro inammissibile anche per novità della questione e comunque per difetto di autosufficienza, non indicando il ricorrente in quale atto del giudizio di merito abbia allegato e provato la perdita di occasioni future di guadagno. Anche la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 è inammissibile, in quanto la medesima non è conforme al testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, in presenza di una motivazione che raggiunge il minimo costituzionale richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte a partire dalla nota sentenza Cass., U, n. 8053 del 7/4/2014, sempre confermata fino alla più recente pronuncia Cass. 6-3n. 22598 del 25/9/2018.

3. Con il terzo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti quanto alla motivazione apparente, perplessa ed incomprensibile in punto di compensazione delle spese – censura il capo di sentenza che ha compensato le spese del primo grado del giudizio tra il B. il Condominio (e la terza chiamata in causa), in considerazione dell’accoglimento solo parziale della domanda, essendo le parti diverse dall’amministratore, tutte soccombenti. Il giudice, ad avviso del ricorrente, avrebbe dovuto effettuare una valutazione non arbitraria ma fondata sul principio di causalità, imputando idealmente a ciascuna parte gli oneri processuali causati dall’altra per aver resistito a pretese fondate o per aver avanzato pretese infondate, riconoscendo alla parte vittoriosa gli oneri necessari per la proposizione delle pretese fondate alla luce della giurisprudenza di questa Corte (Cass., 22 febbraio 2016, n. 3438).

3.1 Il motivo è inammissibile. La sentenza ha argomentato circa la compensazione delle spese del primo grado del giudizio in ragione dell’accoglimento solo parziale della domanda e si è, con tale statuizione, conformata alla giurisprudenza di questa Corte la quale limita il potere dispositivo del giudice del merito al solo caso di divieto di condanna alle spese della parte integralmente vittoriosa. In tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che, soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti minimi, ove previsti e massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass., 1, n. 19613 del 4/8/2017, Cass., 3, n. 1572 del 23/1/2018).Peraltro la reciproca parziale soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite sia in ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, qualora quest’ultima sia articolata in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento (Cass., 3, n. 3438 del 2272/2016). 4. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in favore di ciascuna parte resistente in Euro 4.200, oltre accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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