Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11590 del 04/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 04/05/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 04/05/2021), n.11590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28406/2015 R.G. proposto da:

E.F. rappresentato e difeso dall’Avv. Carlo Antonio

Esposito con domicilio eletto presso quest’ultimo in Napoli al

Centro Direzionale di Napoli, Isola C/2, giusta procura speciale in

calce al ricorso; domiciliato in Roma, p.zza Cavour presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 3892/28/15, depositata il 27.4.2015.

Udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 12.11.2020 dal

Consigliere Rosaria Maria Castorina.

Udito il PG in persona del sostituto Basile Tommaso il quale ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Udito l’Avvocato Carlo Antonio E. per il ricorrente.

Udito l’Avvocato dello Stato Carlo Maria Pisani per la

controricorrente.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

E.F. impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli un avviso di accertamento notificatogli nella qualità di ex amministratore della società fallita (OMISSIS) srl, – e conseguentemente autore materiale della violazione e coobbligato in solido – con il quale gli veniva contestata la omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi 2009, la mancata presentazione della dichiarazione Iva e la mancata tenuta dei libri contabili.

La Commissione adita rigettava il ricorso.

La Commissione Tributaria della Campania, con sentenza n. 3892/28/15 depositata il 27.4.2015, accoglieva parzialmente l’appello e annullava l’avviso di accertamento relativamente alle parti concernenti gli addebiti per omessa dichiarazione Iva e per omessa presentazione delle scritture contabili, confermandolo per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi 2009 della società (OMISSIS) srl, sul presupposto che per l’esercizio precedente la dichiarazione di fallimento sussistesse l’obbligo in capo alla società di provvedere alla presentazione della dichiarazione dei redditi.

Avverso la suddetta decisione ricorre per la cassazione E.F. affidando il suo mezzo a un motivo, illustrato con memoria.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente il ricorrente formula una eccezione di giudicato costituito dalla sentenza del Tribunale di Napoli, sezione Gip n. 813/2015 pronunciata il 6.05-18.06.2015 passata, sul capo, in cosa giudicata, con la quale era stato assolto, per non aver commesso il fatto, dall’imputazione del reato previsto dall’art. 81 cpv c.p., dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5.

L’eccezione non è fondata.

Invero, costituisce principio giurisprudenziale consolidato quello per cui, in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario (Cass. Civ., 28 giugno 2017, n. 16262). Si è ulteriormente precisato che nel processo tributario, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perchè il fatto non sussiste”, come pure quella di condanna (Cass., 2012/8129; Cass., 2015/2938; Cass., 2005/10945), non spiega automaticamente efficacia di giudicato.

2. Con il motivo articolato in due distinte censure il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 1, 4 e 5, e del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e art. 156 c.p.c., comma 2, per motivazione omessa o apparente in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Deduce che con la dichiarazione di fallimento del luglio 2010 era cessato da ogni carica e funzione amministrativa mentre il termine per la dichiarazione fiscale scadeva nel settembre 2010.

La censura non è fondata.

3. Ai sensi del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 5, spetta al curatore presentare la dichiarazione dei redditi relativa al periodo compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui ha effetto la dichiarazione di fallimento. Ne consegue logicamente che spetta al fallito presentare la dichiarazione dei redditi per i periodi di imposta anteriori al fallimento. Nel caso di specie si tratta appunto della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2009, ossia relativa ad un periodo di imposta anteriore al fallimento, dichiarato nel luglio 2010 e quindi l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi spettava al ricorrente, mentre spettava al curatore presentare la dichiarazione dei redditi per l’anno 2010.

Questa Corte ha già affermato che “Spetta al fallito presentare la dichiarazione dei redditi per i periodi di imposta anteriori al fallimento, mentre il curatore deve presentare quelle successive alla dichiarazione di fallimento, comprese quelle relative al periodo di imposta compreso tra l’inizio del periodo di imposta e la dichiarazione di fallimento” (Sez. 3, n. 299 del 27.10.1995, Bruno, Rv. 203692; conf. Sez. 3, n. 1549 del 1.12.2010, Ghilardi, Rv. 249351), specificando, in motivazione, che “in materia di fallimento, la soggettività passiva nel rapporto tributario permane nei confronti del fallito, il quale dopo la dichiarazione di fallimento perde solo la disponibilità dei suoi beni nonchè la capacità processuale e quella di amministrare il suo patrimonio. Coerentemente, resta in capo al fallito l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi relativamente ai periodi di imposta anteriori alla sentenza di fallimento, mentre relativamente ai periodi di imposta successivi è il curatore fallimentare che è obbligato a presentare la dichiarazione dei redditi per l’intervallo di tempo compreso tra l’inizio del periodo di imposta e la dichiarazione di fallimento”.

Ne consegue l’infondatezza del motivo, posto che la dichiarazione omessa è relativa a periodo di imposta anteriore alla dichiarazione di fallimento, cioè all’anno 2009; non rileva la scadenza del termine per la presentazione della stessa in data successiva alla dichiarazione di fallimento, permanendo egualmente in capo all’amministratore l’obbligo di presentarla (Cass. 16638/2018).

Non sussiste nessun vizio di motivazione.

La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

La CTR, peraltro, con motivazione esaustiva e dettagliata ha fatto corretta applicazione del principio di diritto sopra esposto.

Si legge nella sentenza: “Quanto alla dichiarazione dei redditi, invece la situazione è diversa giacchè il curatore è tenuto alla presentazione della dichiarazione del solo anno di riferimento del fallimento, mentre per l’esercizio precedente perdura l’obbligo in capo al legale rappresentante della fallita. Che, peraltro è anche colui che conosce dall’interno l’andamento degli affari della società. D’altra parte non si comprenderebbe per quale motivo sarebbe il curatore onerato della redazione di una dichiarazione dei redditi relativa ad un esercizio precedente quando è notoriamente l’imprenditore o il legale rappresentante della fallita a dover gestire la società sino alla data del fallimento, restando responsabile a tutti gli effetti di legge del proprio operato e, comunque, tenuto a quegli adempimenti informativi nei confronti della procedura anche dopo la dichiarazione di fallimento. D’altra parte, come è noto la dichiarazione di fallimento non è causa di estinzione della società con conseguente legittimazione dell’organo di rappresentanza a difendere gli interessi dell’ente nell’ambito della procedura fallimentare e, addirittura, ad essere parte in eventuali procedimenti di fusione o scissione societaria effettuati anche durante la vigenza della procedura concorsuale sicchè quell’effetto automatico e dirompente della responsabilità assunta che l’ E. vorrebbe ottenere proprio in conseguenza della dichiarazione di fallimento si palesa certamente infondato. Erra dunque l’ E. nel ritenere che il suo incarico di rappresentanza con la società sia cessato con l’estinzione dell’ente, siccome avvenuta per effetto della dichiarazione di fallimento del (OMISSIS). Contrariamente da quanto sostenuto, anche dopo il fallimento rimangono in vita gli organi sociali con i loro poteri rappresentativi”.

Il ricorso deve essere, conseguentemente rigettato. Nulla sulle spese in considerazione del fatto che l’ufficio si è costituito al solo fine della partecipazione all’udienza di discussione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021

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