Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1159 del 22/01/2010

Cassazione civile sez. trib., 22/01/2010, (ud. 18/11/2009, dep. 22/01/2010), n.1159

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. DI DOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14882-2005 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

C.M.L., CO.VI.;

– intimati –

sul ricorso 18610-2005 proposto da:

C.M.L., CO.VI., elettivamente

domiciliati in ROMA VIA DELLE QUATTRO FONTANE 15, presso lo studio

dell’avvocato TINELLI GIUSEPPE, che li rappresenta e difende giusta

delega a margine;

– controricorrente e ricorrente incidentale condizionato –

contro

AMMINISTRAZIONE DELL’ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE

DIREZIONE GENERALE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 112/2002 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 12/11/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/11/2009 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito per il resistente l’Avvocato TINELLI, che ha chiesto

l’inammissibilità in subordine il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE UMBERTO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con avviso di accertamento parziale, notificato il 4 ottobre 1995 ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 bis, l’Ufficio distrettuale delle Imposte dirette di Roma rettificava la dichiarazione dei redditi presentata congiuntamente, per l’anno 1988, dai coniugi Co.Vi. e C.M.L., accertando, ai fini IRPEF e ILOR, un maggior reddito di L. 140.700.000 e lasciando impregiudicati eventuali ulteriori accertamenti in relazione alla stessa dichiarazione. Il maggior reddito accertato era costituito dalle “plusvalenze” che, secondo l’Ufficio, la C. aveva realizzato con la cessione di 750 azioni della Banca Popolare di Catania alla Banca Popolare di Novara in occasione della fusione tra dette società, avvenuta il 30 dicembre 1988. La fusione era stata attuata mediante incorporazione della Banca Popolare di Catania da parte della Banca Popolare di Novara, già socia dell’altra società, e le delibere di fusione adottate dalle due società avevano dato ai soci della società incorporanda la facoltà di cedere a titolo oneroso direttamente a quella incorporante la metà del proprio pacchetto azionario, precisando che l’altra metà sarebbe stata convertita in azioni dell’incorporante, nella proporzione stabilita dal rapporto di cambio. L’avviso di accertamento faceva richiamo alla Nota 3962/92 dell’Ispettorato compartimentale delle Imposte dirette di Torino, riguardante specificamente l’acquisto, per un corrispettivo di L. 180.000.000, delle azioni intestate alla signora C. da parte della Popolare di Novara. La “Nota” non veniva allegata. Il maggior reddito accertato era fondato sul D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 81, comma 1, lett. e), quale “reddito di capitale da liquidazione di quota sociale tassabile ai fini IRPEF ed ILOR”.

La Commissione Tributaria Provinciale di Roma respingeva il ricorso dei contribuenti e l’appello dei contribuenti era respinto dalla Commissione tributaria regionale sia sul rilievo che valido era l’avviso di accertamento per relationem sia su quello che l’accertamento effettuato era da ritenersi pienamente fondato, tenuto conto di quanto stabilito dal citato art. 81, lett. “c” e “c bis”. La Corte di Cassazione con sentenza 15324/01 ha cassato la predetta sentenza con rinvio ad altra Sezione della CTR affermando il principio di diritto che “il ricorso ad elementi offerti da altri documenti, non conosciuti dal contribuente nè a lui comunicati, è legittimo solo se tali documenti sono allegati all’atto che li richiama o in esso riprodotti”.

La CTR su riassunzione dei contribuenti ha accolto l’appello dei medesimi riscontrando previamente la conformità dell’avviso al superiore principio di diritto e, nel merito, ritenendo che non sussistessero le condizioni quantitative nè temporali per la tassazione della plusvalenza.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze in persona del Ministro e l’Agenzia delle Entrate in persona del Direttore proponevano ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza deducendo violazione di legge e vizio motivazionale.

I contribuenti hanno resistito con controricorso, proposto ricorso incidentale condizionato e presentato memoria.

La causa è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale e quello incidentale devono essere riuniti.

Il ricorso del Ministero deve essere dichiarato inammissibile non avendo lo stesso partecipato al precedente giudizio (Cass. SS.UU. 3116/2006, 3118/2006). E’ poi di preliminare esame il primo motivo del controricorso con cui i ricorrenti deducono la nullità della notifica del ricorso presso la loro residenza e non presso le sede dello studio del difensore nominato nel giudizio, senza necessità di alcuna comunicazione dell’eventuale cambio di indirizzo essendo la sede dello studio di un professionista facilmente accertabile dall’Albo.

Il motivo è infondato.

Questa Corte (Cass. n. 13650/2007) ha ritenuto che è infondata l’eccezione di nullità della notificazione del ricorso per cassazione, formulata dal resistente, perchè non eseguita al proprio difensore ritualmente costituito nel precedente grado. Infatti, con la proposizione del controricorso e, quindi, con il regolare svolgimento, da parte dell’intimato, dell’attività difensiva, la dedotta nullità deve ritenersi sanata ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3.

Passando all’esame del ricorso principale, col primo motivo di ricorso deduce l’Ufficio la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, comma 4 e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81, comma 1, lett. c) e art. 394 c.p.c., per avere introdotto i ricorrenti una questione nuova e cioè quella relativa al limite temporale.

Il motivo è infondato in quanto la deduzione della parte di insussistenza dei presupposti di cui all’art. 81, comma 1, lett. C, cit. TUIR nei vari gradi del giudizio deve ritenersi comprensiva ed esaustiva di tutte le condizioni, ivi comprese quella temporale in contestazione,come emerge dai precisi riferimenti a tale deduzione nel corso del giudizio effettuati nel controricorso.

La terminologia utilizzata nell’atto d’appello e nelle memorie “anche a voler prescindere dalla durata della partecipazione, che è sicuramente superiore ai cinque anni e che quindi già di per sè potrebbe escludere ogni assoggettabilità a imposizione diretta…” non appare certo riserva di deduzione, bensì evidenziazione della deduzione medesima.

Esclusa la novità della contestazione del requisito temporale, nessun rilievo nè di violazione di legge nè di vizio motivazionale l’Ufficio ha mosso all’accertamento, di fatto, della durata ultraquinquennale del possesso delle azioni la cui sussistenza nella costruzione normativa di cui all’art. 81 sopra citato (unitamente al controverso requisito quantitativo)impedisce il realizzarsi della plusvalenza tassabile.

Orbene la formazione del giudicato su tale requisito rende superflua la valutazione delle censure mosse dall’Ufficio alla valutazione operata dalla CTR del requisito quantitativo, in quanto pur ove si ritenesse valida la interpretazione addotta dall’Ufficio e cioè la valutazione di tute le cessioni operate dai soci al fine di integrare il requisito quantitativo (come da sentenza in caso analogo di questa Corte, sent. n. 9602/2003), non potrebbe mai ritenersi sussistere la plusvalenza per l’ormai incontestabile requisito temporale della durata del possesso.

Il ricorso principale deve essere pertanto rigettato, con consequenziale assorbimento del ricorso incidentale condizionato all’accoglimento del ricorso principale.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Riunisce il ricorso principale e quello incidentale. Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero. Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale. Condanna i ricorrenti alle spese che liquida in Euro 3500,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre oneri accessori.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 18 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010

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