Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11588 del 02/05/2019

Cassazione civile sez. un., 02/05/2019, (ud. 12/03/2019, dep. 02/05/2019), n.11588

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente di sez. –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28020-2017 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO MESSICO 7,

presso lo studio dell’avvocato FEDERICO TEDESCHINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANIELE GRANARA;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

e contro

REGIONE LIGURIA, PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI

GENOVA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3871/2017 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 2/08/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/03/2019 dal Consigliere ROBERTO GIOVANNI CONTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

G.G., consigliere regionale della Liguria dal 2005 al 2015, rinviato a giudizio nel procedimento penale promosso anche a suo carico dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Genova in relazione ad un’indagine relativa a spese effettuate con fondi destinati al gruppo consiliare di appartenenza non giustificate o non inerenti alla carica ricoperta, adiva il Tar della Liguria, impugnando il silenzio serbato dal Consiglio Regionale sul suo atto di diffida affinchè la Regione Liguria sollevasse davanti alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzione ex art. 134 Cost. contro la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Genova per invasione da parte di quest’ultima della sfera di attribuzioni ad essa riservate.

Con la propria diffida il G. aveva lamentato un’ingerenza del potere giurisdizionale nelle attribuzioni del Consiglio regionale e nella sua autonomia finanziaria, costituzionalmente garantita dagli artt. 114 e 119 Cost., art. 121 Cost., comma 2, art. 122 Cost., comma 4, art. 123 Cost., comma 1, sollecitando un atto di proposizione del conflitto ex art. 134 Cost..

Il Tar Liguria, con sentenza n. 297/2016 dichiarava inammissibile il ricorso, qualificando l’atto di natura politica e, pertanto, sottratto alla giurisdizione amministrativa.

Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3871/2017, pubblicata il 2 agosto 2017, respingeva il ricorso in appello del G..

Secondo il giudice amministrativo di appello gli atti con cui la Regione, la cui sfera costituzionale di attribuzioni sia invasa da un atto dello Stato, deliberi, tramite la propria Giunta, e successivamente promuova davanti alla Corte costituzionale il conflitto ai sensi dell’art. 134 Cost. e della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 39 non potevano qualificarsi come atti amministrativi di alta amministrazione giustiziabili. Ciò perchè gli atti di promovimento del conflitto di attribuzione, al cui interno si collocava quello con il quale, ai sensi della L. n. 87 del 1953, art. 39 la Regione si assuma lesa nella sua sfera costituzionalmente garantita da un “atto dello Stato” (comma 1), “sebbene non collocabili nella direzione suprema della cosa pubblica, sono comunque adottati ad esclusiva tutela delle prerogative di quest’ultimo ente. Gli atti in questione sono quindi rimessi alle insindacabili valutazioni ed apprezzamenti dei suoi organi di vertice circa l’opportunità di “aprire” un contenzioso con lo Stato.” Secondo il Consiglio di Stato, rispetto a siffatte determinazioni non erano configurabili posizioni giuridiche soggettive tutelabili di altri soggetti. La volontà della Regione di rivendicare a sè la titolarità di funzioni rispetto ad atti dello Stato non poteva ritenersi “coercibile da parte di alcun soggetto, ancorchè variamente interessato alla vicenda dalla quale scaturisce il preteso conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale.” Ragione per cui non poteva nemmeno ritenersi possibile obbligare gli organi in questione a pronunciarsi in modo espresso sul supposto conflitto.

Nè a diverse conclusioni poteva giungersi in relazione alla giurisprudenza costituzionale, evocata dal ricorrente, a proposito dell’intervento di terzo nel giudizio sorto in seguito al conflitto di attribuzioni. Secondo il Consiglio di Stato l’intervento al quale il ricorrente aveva fatto riferimento era riconosciuto a tutela di posizioni di interesse riflesso o di mero fatto rispetto a quello direttamente leso dall’atto impugnato, mentre nel caso in esame “l’unico interesse giuridicamente rilevante rispetto al rinvio a giudizio chiesto ed ottenuto dall’autorità giudiziaria inquirente nei confronti di un ex consigliere regionale per attività connesse all’esercizio del suo mandato (…) è configurabile in capo all’organo consiliare medesimo, e per esso alla Regione Liguria.”

Peraltro, proseguiva il Consiglio di Stato, il richiamo alla sentenza n. 76/2001 della Corte costituzionale operato dal ricorrente non era pertinente, riguardando un’ipotesi nella quale la decisione del conflitto avrebbe compromesso in via definitiva il diritto azionato dal privato, avendo la stessa Corte costituzionale ribadito che, al di fuori dell’ipotesi eccezionale sopra ricordata, in linea di principio nei giudizi per conflitto di attribuzione fra enti “non è ammesso l’intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il ricorso o a resistervi”, con la sola eccezione relativa all’ipotesi in cui “gli atti impugnati siano oggetto di un giudizio di fronte agli organi della giurisdizione comune – ordinaria, amministrativa, tributaria, militare o contabile – in cui l’interventore sia parte e la pronuncia della Corte sia suscettibile di condizionare l’esito di tale giudizio” (Corte Cost. 11 novembre 2011, n. 305).

Inoltre, non poteva dirsi esistente alcuna esigenza di assicurare il diritto di difesa del ricorrente, visto che l’interesse del G. risultava essere convergente con quello della Regione. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, l’intervento garantito al privato dalla Corte costituzionale era stato unicamente riconosciuto a favore di coloro che vantassero interessi antagonisti rispetto ai conflitti promossi dalla Regione contro atti emessi dal potere giurisdizionale (ad opponendum), al fine di contraddire un’impugnazione dal cui accoglimento tali soggetti sarebbero stati definitivamente pregiudicati. In ogni caso, il ricorrente avrebbe potuto esercitare in modo pieno ed incondizionato il suo diritto di difesa, nelle forme stabilite dal codice di procedura penale, esulando tale questione dal sindacato riservato alla giurisdizione amministrativa sulla prospettata illegittimità dell’inerzia serbata dalla Regione e sulla conseguente dichiarazione dell’obbligo di provvedere, risolvendosi altrimenti la pretesa del ricorrente “a che davanti alla Corte costituzionale siano portate questioni che attengono al merito delle imputazioni formulate nei confronti dell’appellante” estranea alle attribuzioni del giudice costituzionale. Effetto, quest’ultimo, al quale il ricorrente, riproponendo le difese esposte nel procedimento penale in ordine all’utilizzo esclusivo dei fondi riservati al gruppo consiliare per spese di rappresentanza connesse al mandato, intendeva giungere, in tal modo inammissibilmente trasformando il giudizio sui conflitti in un nuovo grado di giurisdizione generale.

Nemmeno poteva sostenersi che la Regione dovesse provvedere sull’istanza del G., pur in assenza di una previsione di legge, per ragioni di giustizia e di equità, o per doveri di correttezza e buona amministrazione, non essendo queste ultime “in alcun modo tutelabili in via amministrativa, nemmeno attraverso l’imposizione ai competenti organi di vertice della Regione di un obbligo di pronunciarsi in merito ad un conflitto di attribuzione rimesso alle insindacabili valutazioni di questi ultimi”, nè postulando il ricorso contro la formazione del silenzio – inadempimento “una posizione soggettiva qualificata e differenziata a fronte del quale sussiste l’obbligo per la prima di provvedere”.

Il G. ha proposto ricorso alle Sezioni Unite di questa Corte ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8 e art. 362 c.p.c., comma 1 e art. 110 c.p.a., affidato ad una complessa censura.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha depositato controricorso, mentre la Regione Liguria non si è costituita.

Il ricorrente ha depositato memoria, chiedendo la trattazione in pubblica udienza del procedimento.

La causa è stata posta in decisione all’udienza camerale del 12.3.2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Premesso che, nel giudizio di cassazione, rientra nella discrezionalità del collegio giudicante la valutazione degli estremi per la trattazione del ricorso in pubblica udienza, potendo escluderne la ricorrenza, come nel caso di specie, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare – cfr. Cass., S.U., n. 14437/2018 – il ricorrente, dopo avere premesso un’articolata esposizione in ordine all’ammissibilità del proposto ricorso, in quanto rivolto, in sintonia con la giurisprudenza di queste Sezioni richiamate (Cass., S.U., 23 dicembre 2008 n. 30254, Cass., S.U., 20 gennaio 2014 n. 1013, Cass., S.U., 29 marzo 2017 n. 8117) a contestare un rifiuto di giurisdizione sintomo di violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale nel quale si risolverebbe la negazione dell’interesse legittimo in capo al ricorrente, ha dedotto, in entrambi i motivi di ricorso, l’erroneità della sentenza impugnata per avere rifiutato la giurisdizione.

2. Con l’articolato motivo di ricorso, in particolare, si prospetta la violazione dell’art. 111 Cost., comma 8, art. 362 c.p.c., comma 1, e art. 110 c.p.a., in relazione agli artt. 24,103,111,113 e 117 Cost., art. 1 c.p.a., nonchè all’art. 6 CEDU e all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Il Consiglio di Stato, senza qualificare l’atto impugnato come politico, avrebbe escluso l’esistenza di una posizione giuridica lesa dal silenzio diniego sul promovimento del conflitto di attribuzioni fondandola, per l’un verso, sulla convergenza fra l’interesse dello stesso ricorrente con quello della Regione e, per altro verso, sulla convergenza fra ragioni poste a base dell’usurpazione di potere in danno della Regione e quelle che attengono al merito delle imputazioni contestate in sede penale. Secondo il ricorrente l’atto di promovimento del conflitto di attribuzione, non potendosi qualificare come atto politico, come del resto riconosciuto dallo stesso Consiglio di Stato, ricadrebbe nell’ambito degli atti di alta amministrazione ed imporrebbe di ritenere che debba essere attivato “ogni volta che se ne ravvisino i presupposti, pena l’instabilità dei rapporti tra poteri, e la libertà delle istituzioni”, risultando pertanto “doveroso, quanto meno, l’esame di un atto di diffida e invito alla delibazione di tale scelta”. Tale conclusione nascerebbe da un principio immanente al sistema, sottratto a valutazioni discrezionali che, ove anche in tesi ammesse, non potrebbero esimere la Regione dal rispondere ad una diffida di chi ha preciso e qualificato interesse, in quanto imputato nella qualità di consigliere regionale, acchè il conflitto sia sollevato. D’altra parte, detto atto di promovimento non potrebbe collocarsi tra gli atti di direzione suprema della cosa pubblica ed essendo estraneo a scelte inerenti all’indirizzo politico dell’ente esulerebbe, altresì, dal controllo dell’assemblea legislativa.

3. Il ricorrente ha poi dedotto che il Consiglio di Stato, nel riconoscere la possibilità di intervento del privato nel giudizio per conflitto di attribuzioni solo in caso di interesse oppositivo rispetto a quello prospettato dal potere che ha azionato il conflitto, avrebbe omesso di considerare che proprio la giurisprudenza costituzionale aveva riconosciuto la possibilità dell’intervento nel detto giudizio da parte dei soggetti coinvolti in un giudizio innanzi alla giurisdizione comune in cui l’interventore fosse parte e la pronuncia della Corte risultasse suscettibile di condizionare l’esito di tale giudizio, richiamando specificamente Corte Cost. 11 novembre 2011 n. 305, p. 2.1 della parte in diritto. Secondo il ricorrente, la pronunzia della Corte costituzionale che avesse riguardato il conflitto sollevato dalla Regione avrebbe necessariamente condizionato il giudizio penale, addirittura evitandolo in caso di adozione di misura cautelare. Nè si dovrebbe disconoscere l’interesse ad agire del ricorrente, essendo questo in re ipsa, risultando Consigliere regionale ed imputato nel giudizio in quella qualità. Secondo il ricorrente sarebbe irrilevante la posizione ad adiuvandum o ad opponendum dell’interveniente rispetto alla parte che avrebbe proposto il conflitto, rilevando unicamente il condizionamento del giudizio in cui l’interventore è parte ad opera della decisione della Corte costituzionale, sul quale non si sarebbe in alcun modo potuto dubitare.

4. In ogni caso, la ritenuta convergenza fra interessi di esso ricorrente e quelli della Regione non potrebbe che dirsi parziale, in relazione al peculiare interesse qualificato e differenziato del medesimo nascente dalla sottoposizione a processo penale incidente sulla di lui libertà personale, a fronte dell’interesse della Regione che la stessa aveva ritenuto di non riconoscere omettendo la proposizione del conflitto e così compromettendo, cumulativamente, le libertà e le garanzie dell’istituzione e dell’individuo.

5. Il ricorso è infondato.

5.1. Questa Corte a Sezioni Unite ha già avuto modo di ricordare che le questioni inerenti all’esistenza nell’ordinamento di norme o principi che contemplino e tutelino la posizione fatta valere in giudizio attengono al fondamento della domanda e non alla giurisdizione (Cass., S.U., n. 30059/2008Cass., S.U., 7 dicembre 1999, n. 865; Cass., S.U., 22 ottobre 1997, n. 10376, Cass., S.U., 13 marzo 2001, n. 111; Cass., S.U., 20 settembre 2007, n. 19391).

5.2. In questa direzione, Cass., S.U., n. 2050/2016 ha chiarito che compete al giudice amministrativo, nell’esercizio della sua giurisdizione di legittimità, accertare se la situazione giuridica del privato coinvolta dall’agire dell’amministrazione (e che non si atteggi come diritto soggettivo) rivesta la natura di interesse legittimo oppure di interesse di fatto, come tale non giustiziabile secondo la tecnica di tutela propria della giurisdizione amministrativa di legittimità.

5.3. Spetta, dunque, a questa Sezioni Unite verificare se correttamente il GA abbia negato la giurisdizione in considerazione dell’accertamento della non giustiziabilità della pretesa per carenza di una sottostante posizione protetta.

5.4. Orbene, nel caso di specie il Consiglio di Stato ha correttamente individuato l’assenza di un interesse giuridicamente protetto in capo al consigliere regionale che ha rivolto alla Regione l’istanza di sollevare conflitto di attribuzioni, attenendo il conflitto al perimetro delle attribuzioni costituzionalmente riservate all’ente regionale che non possono in alcun modo radicare in capo ad un soggetto diverso dall’ente veruna posizione giuridica soggettiva tutelabile rispetto all’esercizio o meno di siffatta prerogativa, non essendo tale diverso soggetto coinvolto ad alcun titolo nella scelta di attivare o meno il conflitto di attribuzioni.

5.5. E’, dunque, pienamente corretta la pronunzia del Consiglio di Stato per avere ritenuto che le prerogative nascenti dalla funzione di consigliere parlamentare potranno essere certamente rappresentate innanzi all’autorità giudiziaria innanzi alla quale pende il procedimento penale a carico del G., ma non sono tali da radicare un interesse qualificato a sollecitare la Regione a prendere posizione sulla richiesta di promovimento del conflitto di attribuzioni.

5.6. Circostanza, quest’ultima, che è lo stesso ricorrente ad avere confermato nella memoria depositata, ove si è dato atto che lo stesso G., in seno al procedimento penale a suo carico, ha richiesto, in aggiunta alle altre difese spiegate nel corso del giudizio, la sollevazione del conflitto di attribuzioni nei confronti della Regione Liguria, al fine di accertare se spetti allo Stato (e per esso all’Autorità giudiziaria) sindacare il merito delle spese di rappresentanza sostenute dai Consiglieri regionali – cfr. pag.11 della memoria del ricorrente -.

5.7. Ne consegue che il giudice amministrativo di ultima istanza, nel qualificare la posizione dal G. come interesse materiale giuridicamente irrilevante, nel senso che l’ordinamento non accorda allo stesso alcuna forma di tutela, ha correttamente escluso la sussistenza di un sottostante interesse giuridicamente protetto da una specifica disposizione di legge che attribuisse al privato il potere di presentare l’istanza.

5.8. Si tratta, del resto, di una conclusione che non crea alcun vulnus con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, non potendo ravvisarsi una lesione del diritto all’accesso ad un tribunale rispetto ad una posizione giuridica sfornita di tutela secondo l’ordinamento interno, al quale spetta il potere di determinare le aree di esercizio di potestà discrezionale sovrana – cfr. Corte edu, 10 maggio 2001, Grande Camera, Z. e a. c. Regno Unito, p. 103 -. E senza che ciò possa in alcun modo pregiudicare il diritto del ricorrente a prospettare davanti al giudice penale, per come si è detto, gli elementi che, a suo dire, dovrebbero giustificare l’incompetenza dell’autorità giudiziaria ordinaria sulla vicenda di natura penale e, quindi, indurre quel giudice a promuovere il conflitto di attribuzioni. Evenienza, quest’ultima, che preclude ogni possibile dubbio in ordine alla violazione dell’art. 6 CEDU per mancato accesso ad un tribunale, anche in considerazione della natura politica della controversia – delle quale si dirà in seguito – che, secondo la giurisprudenza della Corte edu impedisce l’applicazione dell’art. 6 CEDU, applicabile alle controversie di natura civile e penale – cfr. Corte edu, 21 ottobre 1997, Pierre Bloch c. Francia, p.p. 49 e 50; Corte edu, 27 maggio 2004, Ilho Eskelinen, p. 35 -.

5.9. Le conclusioni qui rassegnate, inoltre, sono pienamente in linea con la giurisprudenza di queste Sezioni Unite e della Corte costituzionale espressa in tema di atto politico.

5.10. Giova sul punto ricordare che, se è assolutamente vero che l’esistenza di aree sottratte al sindacato giurisdizionale va necessariamente confinata entro limiti rigorosi – Cass., S.U., n. 16305/13 – l’esistenza di un incondizionato potere discrezionale al promovimento del conflitto di attribuzioni da parte di un ente che non risulti in alcun modo vincolato da norme giuridiche destinate a fissare i confini od ad indirizzare l’esercizio di tale scelta non consente di ritenere che tali atti possano essere sindacabili dall’autorità giudiziaria – cfr. Corte Cost. n. 103/93; Corte Cost. n. 81/2012; Cass., n. 10416/2014 – in assenza di un vincolo alla realizzazione di un fine desumibile dal sistema normativo, anche se si tratti di atto emesso nell’esercizio di ampia discrezionalità – Cass., S.U., n. 1170/20000; Cass., S.U., n., 11263/06; Cass., S.U., n. 21581/11; Cass., S.U., n. 5756/12 -.

5.11. Ora, che la decisione di promuovere il conflitto di attribuzione da parte del titolare del potere – e specificamente della Regione per quel che qui interessa – sia caratterizzata da ampia discrezionalità con connotati di politicità ovviamente diversi in relazione alla tipologia di atto che può venire in considerazione (leggi dello Stato o atti diversi, fra i quali quelli di natura giurisdizionale) si ricava in termini inequivoci dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 39 che prevede, tanto nell’ipotesi di conflitto sollevato dallo Stato che di invasione della sfera di competenza costituzionale della Regione da un atto dello Stato, la mera “possibilità” di proporre ricorso alla Corte costituzionale, peraltro entro un termine di decadenza fissato dalla medesima legge costituzionale.

5.12. Si tratta di elementi testuali che depongono ineludibilmente per l’esistenza di un’ampia discrezionalità conferita al titolare della sfera di competenza costituzionale ritenuta vulnerata, rispetto alla quale le medesime disposizioni della L. n. 87 del 1953 appena ricordata non configurano tale potere in termini di vincolatività (al punto da fissare un termine per la proposizione del conflitto stesso), nè individuano alcuna posizione giuridica concorrente idonea ad incidere sulla scelta di promuovere o meno il conflitto, essa stessa risultando inerente alle attribuzioni di matrice costituzionale riservate in via esclusiva ai soggetti indicati dall’art. 39 cit.

5.13. Orbene, la scelta di promovimento del conflitto, ben lungi dal potere essere qualificata in termini di atto vincolato ad un fine desumibile dal sistema normativo (per cui v., invece, Cass., S.U., 19/10/2011, n. 21581), presuppone, come detto, ambiti di ampia discrezionalità riservati in via esclusiva al titolare del potere stesso, attenendo alla cura delle attribuzioni – nel caso concreto riferibili alla Regione Liguria – determinate dalla Costituzione ed affidate all’ente nel caso di specie al Presidente della Giunta regionale in seguito a deliberazione della Giunta stessa – alle quali rimangono totalmente estranei i soggetti terzi, ancorchè incardinati all’interno del potere – recte dell’ente – del quale si intenderebbe discutere.

5.14. Da ciò consegue che la eventuali ricadute che in via riflessa il conflitto di attribuzioni, ove proposto ed accolto, potrebbe determinare in capo ai terzi non sono state prese in alcuna considerazione dal legislatore costituzionale, nè sotto il profilo, invero sfuggente, evocato dal ricorrente in memoria dell’art. 97 Cost., nè tanto meno sotto quello della tutela giurisdizionale effettiva, risultando quest’ultima pienamente salvaguardata all’interno del processo nel quale è parte il soggetto che possa valere un interesse concorrente rispetto all’esito del conflitto di attribuzioni, ove materialmente proposto.

5.15. Nè a diverse conclusioni può pervenirsi evocando la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di intervento di terzo nel conflitto di attribuzioni, dovendosi sul punto condividere le argomentazioni esposte dal Consiglio di Stato, con le ulteriori precisazioni di seguito esposte.

5.16. Ed invero, come chiarito dalla Corte costituzionale, l’ammissibilità dell’intervento di un privato nel giudizio per conflitto di attribuzioni è stata originata dall’esigenza di salvaguardare il soggetto che dall’esito del conflitto avrebbe potuto subire un pregiudizio non emendabile nel giudizio civile o penale del quale era parte come soggetto danneggiato – Corte Cost. n. 76/2001 -.

5.17. In questa direzione si sono poste non solo Corte Cost. n. 451/2005, che ha ricordato che “il principio generale secondo cui nel giudizio per conflitto la legittimazione spetta soltanto agli organi dei poteri confliggenti subisce un’unica deroga quando (ma non è il caso di specie) l’esito di tale giudizio possa definitivamente pregiudicare le posizioni di un soggetto ad esso estraneo”, ma anche, più di recente, Corte Cost. n. 224/2014 e Corte Cost. n. 262/2017.

5.18. Orbene, occorre evidenziare che le ipotesi nelle quali la Corte costituzionale ha ammesso l’intervento nel conflitto di attribuzioni di soggetti terzi non spiegano alcuna incidenza sulla vicenda che qui viene in rilievo per un duplice motivo.

5.19. Ed infatti, giova chiarire da un lato che l’odierno ricorrente, tratto a giudizio innanzi al giudice penale in relazione ad un’ipotesi delittuosa riconducibile alla contestazione relative a spese non riconducibili al gruppo consiliare di appartenenza, non può subire un pregiudizio certo dalla mancata proposizione del conflitto di attribuzione, potendo salvaguardare pieno iure la propria posizione innanzi all’autorità giudiziaria penale – cfr. Corte Cost. n. 225/2001 -.

5.20. D’altro canto, la tendenza ad ampliare la sfera di intervento di terzi nel conflitto di attribuzioni innanzi alla Corte costituzionale – Corte Cost. n. 169/2018, Corte Cost. n. 107/2015 o, addirittura, alla proposizione del conflitto di attribuzioni (per cui v., di recente ed incidentalmente, Corte Cost. n. 17/2019 a proposito della proponibilità di conflitto di attribuzione da parte del singolo parlamentare) risulta irrilevante ai fini del riconoscimento della giustiziabilità della scelta di promovimento del conflitto, in questa sede controvertendosi non già del pregiudizio che un soggetto diverso dall’ente titolare delle attribuzioni interessato dal conflitto di attribuzioni potrebbe subire dall’esito del giudizio costituzionale ma, a monte, dell’interesse giuridicamente protetto che questi avrebbe alla proposizione del conflitto.

5.21. Deve, in definitiva, escludersi che la tematica dell’intervento nel giudizio di conflitto di attribuzioni attivato dallo Stato o dalla Regione possa anche soltanto indirettamente incidere sulla questione della giustiziabilità dell’interesse di un soggetto diverso dal titolare delle attribuzioni ad ottenere una decisione sulla richiesta di promovimento del conflitto di attribuzione, attenendo tale conflitto – e l’opportunità o meno di promuoverlo – alla determinazione dei confini dei poteri sul quale è soltanto l’ente ad avere interesse o a godere di un potere di scelta che non può essere condizionato dall’istanza di un soggetto diverso, nè può essere sottoposto a verifica giudiziale, a pena di mettere in discussione una valutazione che, come già detto, attiene alle prerogative costituzionali dell’ente. Affermazione, quest’ultima, in grado di sgombrare il campo anche dall’ulteriore ritenuta legittimazione del ricorrente alla richiesta di promovimento in relazione alla qualità di consigliere regionale del G., condizione che appare del tutto irrilevante rispetto alla questione del conflitto di attribuzioni sollecitato alla Regione, per la quale è competente il Presidente della Giunta regionale sulla base della Delib. della Giunta (L. n. 87 del 1953, art. 39) e per cui non ha alcuna legittimazione il singolo consigliere.

5.22. Sulla base di tali considerazioni, idonee a superare i rilievi difensivi esposti dal ricorrente anche in memoria, il ricorso va rigettato.

6. Le spese seguono la soccombenza, dando atto ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri in Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto della sussistenza, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nelle Sezioni Unite, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2019

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