Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11587 del 26/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 26/05/2011, (ud. 03/05/2011, dep. 26/05/2011), n.11587

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 31048-2007 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore avv.to S.

G.P., in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati CORETTI

ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, MARITATO LELIO, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

SOCIETA’ GRANDUCATO SERVIZI S.C.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PIETRO COSSA 3, presso lo studio dell’avvocato MAGNO ALBERTO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MANNA GIULIANO, giusta

delega in atti;

– controrscorrente –

avverso la sentenza n. 1523/06 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 27/11/2006 r.g.n. 1026/06;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/05/2011 dal Consigliere Dott. GABRIELLA COLETTI DE CESARE;

udito l’Avvocato TRIOLO VINCENZO per delega CORETTI ANTONIETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Firenze, in controversia relativa a un credito contributivo dell’INPS e soggetta, ratione temporis, al regime sanzionatorio di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 16, comma 8, ha ritenuto che il mancato versamento della contribuzione da parte del datore di lavoro, inadempiente, altresì, all’obbligo di inviare all’Istituto previdenziale, le denunce mensili (cd. Mod, DM/10), comportino l’applicazione delle sanzioni previste per l’omissione e non per l’evasione contributiva, osservando che il detto regime è più favorevole al debitore rispetto a quello risultante dalla disciplina previgente e di cui alla L. n. 662 del 1996 (come interpretata dalle Sezioni unite della Cassazione nella sentenza n. 4808/2005), in quanto richiede, ai fini della qualificazione della fattispecie come evasione, un comportamento fraudolento del datore medesimo, finalizzato ad occultare rapporti di lavoro ovvero una parte delle retribuzioni erogate: ipotesi, quest’ultima, non configurabile, allorquando – come nel caso controverso – l’esistenza del rapporto (e delle retribuzioni imponibili) risultino dalle registrazioni obbligatorie in possesso del datore di lavoro, poichè, attraverso tale documentazione, sia l’INPS che gli organi ispettivi hanno modo di accertare agevolmente l’ammontare dei contributi dovuti.

2. Di questa sentenza l’INPS domanda la cassazione con ricorso affidato a un unico motivo. La società datrice di lavoro resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Nell’unico motivo di ricorso si assume, in estrema sintesi, che il rilievo dato dalla novella del 2000 all’elemento intenzionale non può comportare aggravamento della posizione dell’Istituto previdenziale e, pertanto, deve essere valutato alla stregua dei principi generali civilistici in materia di inadempimento dell’obbligazione (art. 1218 c.c.), nel senso che il debitore inadempiente all’obbligo di presentare il DM10 sarà tenuto a risarcire il danno cagionato all’INPS nella più gravosa misura prevista dal legislatore per l’ipotesi di evasione, salvo che riesca a provare che non aveva l’intenzione di non versare i contributi.

2. Al riguardo si osserva:

– Nella vigenza della disciplina sanzionatoria dettata dalla L. 28 dicembre 1996, n. 662 (art. 1, comma 117) per il caso di mancato pagamento (ovvero di pagamento in misura inferiore al dovuto) dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali, si era registrato, nella Sezione Lavoro, un contrasto di giurisprudenza sulla questione relativa alle sanzioni applicabili – se cioè quelle previste per l’omissione piuttosto che quelle dovute per l’evasione contributiva ( rispettivamente: ipotesi sub a) e sub b) dell’art. 1, comma 217 citato) – allorquando non fossero state presentate dal datore di lavoro le denunce obbligatorie;

contrasto che è stato composto dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 4808 del 2005, con l’affermazione del seguente principio di diritto:

“In tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali e assistenziali, la mancata presentazione del modello DM/10 (recante la dettagliata indicazione dei contributi previdenziali da versare) configura la fattispecie della evasione – e non già della semplice omissione – contributiva, ricadente nella previsione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 217, lett. b che commina una sanzione “una tantum” il cui pagamento (alla stregua della modifica apportata alla predetta L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 217) può essere evitato effettuando la denuncia della situazione debitoria spontaneamente (prima, cioè, di contestazioni o richieste da parte dell’ente) e comunque entro sei mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi, purchè il versamento degli stessi sia poi effettuato entro trenta giorni dalla denuncia (ed. ravvedimento operoso), senza che, “in subiecta materia”, spieghi influenza l’entrata in vigore della L. n. 388 del 2000, art. 116, commi 8 ss. (configurante la fattispecie dell’evasione contributiva in termini diversi e più favorevoli al datore di lavoro), attesane la indiscutibile inapplicabilità alle vicende precedenti alla sua entrata in vigore”. – In effetti, con l’intervento di cui alla L. n. 388 del 2000, il legislatore modifica la normativa precedente, specificando (art. 116, comma 8, lett. b) che ricorre l’ipotesi dell'”evasione” connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse (o non conformi al vero) … nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate … – Sul significato da attribuire al nuovo dato normativo le Sezioni unite, nella citata sentenza, si sono espresse (in motivazione) nel senso che “… la legge fornisce oggi un criterio discretivo ben più netto tra la pura e semplice morosità e l’evasione vera e propria, attribuendo per la prima volta rilievo decisivo allo specifico elemento intenzionale dell’evasore, assente nel testo previgente”. – Tuttavia, tale indicazione non ha risolto il problema del valore normativo proprio della disposizione di cui si controverte, tant’è che, (anche) in merito alla sua interpretazione, si contrappongono, nella giurisprudenza di questa Sezione lavoro, due orientamenti:

– Il primo, sostenuto dalla sentenza n. 11261 del 2010, secondo la quale l’omessa denuncia all’INPS di lavoratori, ancorchè registrati nei libri paga e matricola, configura l’ipotesi di “evasione contributiva” di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. b), e non la meno grave fattispecie di “omissione contributiva” di cui alla lett. a) della medesima norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi, laddove, nel primo caso, deve presumersene la volontà di occultare i rapporti di lavoro al fine di non versare i contributi, restando così a carico del medesimo l’onere di provare la sua buona fede; onere, quest’ultimo, che (sempre secondo la citata sentenza) non può reputarsi assolto in ragione della mera registrazione dei lavoratori nei libri paga e matricola, trattandosi di documenti che restano nell’esclusiva disponibilità del datore di lavoro e sono oggetto di verifica da parte dell’Istituto previdenziale solo in occasione delle ispezioni. – Il secondo, espresso nella sentenza n. 1230 del 2011, esclude, nella mancata presentazione del modello DM/10, la ricorrenza dell’elemento soggettivo relativo alla intenzionalità della condotta e, quindi, l’occultamento dei rapporti di lavoro e delle retribuzioni erogate – qualificando, conseguentemente, la fattispecie in termini di omissione (citato comma 8, lett. a) e non di evasione (lett. b) dello stesso comma) – qualora il credito dell’INPS sia agevolmente rilevabile, risultando dalle registrazioni obbligatorie del datore di lavoro. Se tale documentazione sussiste (sottolinea la citata sentenza) non vi è alcun onere probatorio a carico del datore, perchè vi è un oggettivo comportamento che esclude “l’evasione contributiva”, a prescindere dall’elemento intenzionale che è irrilevante ai fini dell’applicazione delle sanzioni civili. Conclude la ripetuta sentenza nel senso che, diversamente opinando – a ritenere, cioè, che la disciplina di cui alla L. n. 388 del 2000 sia sovrapponibile a quella della L. n. 662 del 1996, per quanto riguarda la distinzione tra omissione ed evasione contributiva, si dovrebbe concludere per l’inutilità della modifica normativa di cui si finirebbe per disattendere il contenuto più innovativo, per cui l’evasione si configura solo in presenza dell’occultamento del rapporto di lavoro ovvero delle retribuzioni erogate.

– L’inidoneità del nuovo testo legislativo a dissipare i dubbi sulla questione in esame è resa palese s da argomenti che si possono aggiungere a quelli svolti nella sentenza n. 11261 del 2010 – Si può, infatti, osservare che l’intenzione del datore può essere provata solamente in base ad oggettivi indici di verosimiglianza, fra i quali rileva appunto e principalmente l’omissione delle denunce mensili; mentre la sporadica omissione può essere l’indice di sola negligenza (Cass. n. 26355 del 2005), sembra più difficile escludere che l’omissione totale corrisponda alla specifica intenzione di evadere i contributi.

Può notarsi, ancora, che la giurisprudenza di questa Corte è oscillante anche nella materia – differente e, tuttavia, caratterizzata da evidenti punti di contatto con quella in questione – della possibile equiparazione fra mendacio alla pubblica amministrazione da parte del privato in ordine alla sussistenza della situazione debitoria e occultamento doloso del debito ai fini dell’art. 2941 c.c., n. 8 (in senso positivo Cass. n. 6478 del 1984, n. 4482 del 1988. In senso negativo Cass. n. 4030 del 1977, n. 5977 del 1984).

– Tanto premesso e tenuto conto che l’indicato contrasto di giurisprudenza può dar luogo a nuove difformi decisioni di questa Sezione su una questione interpretativa che è di particolare importanza, involgendo numerose controversie (diversamente risolte anche dalla giurisprudenza di merito), appare opportuno che siano le Sezioni Unite a pronunciarsi sul significato della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8 in riferimento alle due ipotesi sanzionatorie (lett. a e lett. b) ivi delineate.

P.Q.M.

La Sezione Lavoro rimette la causa al Primo Presidente per la sua eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2011

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