Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11585 del 04/06/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 11585 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

SENTENZA
sul ricorso 594-2014 proposto da:
INTESA SANPAOLO SPA 00799960158 quale incorporante
Sanpaolo IMI SpA in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo
studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO TOSI, giusta
procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro
GENTILE GUGLIELMO, GROSSO GENNARO, LOPALCO
GIOVANNI, MEZZINI DARIO, MUNDULA GIAN MARIO,

2(262..

Data pubblicazione: 04/06/2015

LEO MARINA ALBA, SCOPECE CONCETTA, LEO SONIA
ANNA quali eredi di Leo Cataldo, BELTRAME SILVIA quale erede
di Lagalante Benedetto, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA,
rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE FERRARO, giuste

– controricatrenti nonché contro
DODARO MICHELE, LEO FRANCESCO LUCIO, LUCCI
ANTONIO, MAIONE MARIA, LEO LUIGI;

intimati

avverso la sentenza n. 7847/2012 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI del 12.12.2012, depositata il 21/12/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
12/03/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA
PAGETTA;
udito per la ricorrente l’Avvocato Luigi Fiorillo (per delega avv. Paolo
Tosi) che si riporta ai motivi del ricorso;
udito per i controricorrenti l’Avvocato Giuseppe Ferraro che si riporta
agli scritti.
Svolgimento del processo

Con sentenza n. 7847 /2012 la Corte di appello di Napoli respingeva la
impugnazione di Intesa San Paolo s.p.a. avverso la sentenza del
Tribunale di Napoli con la quale era stata accolta la domanda proposta
dagli odierni intimati, quali pensionati e eredi di pensionati, ex
dipendenti del Banco di Napoli, intesa ad ottenere l’incremento del
trattamento pensionistico per effetto del perdurante meccanismo
!Zie. 2014 n. 00594 sez. ML ud. 12-03-2015
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deleghe a margine della prima e terza pagina del controricorso;

perequativo aziendale di cui alla delibera dell’Istituto del 17/1/1983 e
la condanna della convenuta al pagamento delle relative differenze sul
trattamento pensionistico per i periodi e gli importi indicati in ricorso.
La pretesa dei ricorrenti traeva titolo da una precedente sentenza del
Pretore del lavoro di Napoli (n. 17809/1994), che aveva riconosciuto

il sistema di perequazione automatica delle pensioni, come disciplinato
anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. 30/12/1992, n. 503. La
suddetta sentenza era stata confermata in grado di appello dal
Tribunale di Napoli; successivamente le Sezioni Unite della
Cassazione, con sentenza n. 9024/2001, avevano cassato con rinvio la
sentenza di appello, riconoscendo tuttavia il diritto dei pensionati al
mantenimento del regime perequativo aziendale, ove cessati dal
servizio prima del 31 dicembre 1990 e limitatamente al periodo
1°.1.1994-26.7.1996.
La Corte di appello di Napoli, nel giudizio di rinvio, aveva riconosciuto
il diritto dei pensionati (tra cui i dante causa degli odierni intimati) a
conservare il suddetto regime perequativo aziendale relativamente al
periodo 1°1.1994-26.7.1996, condannando per l’effetto la Sanpaolo
Imi S.p.A. (incorporante del Banco di Napoli S.p.A.) alla
corresponsione dei relativi aumenti di pensione. La pronuncia era stata
confermata da questa Corte con sentenza n. 19937 del 19 maggio 2004
– 6 ottobre 2004 (che si era limitata ad una modifica della statuizione
solo nella sola parte concernente il regime degli accessori), con
conseguente formazione del giudicato. Riteneva la Corte territoriale,
nella decisione ora impugnata, irrilevante ai fini della regolamentazione
dei rapporti tra le parti lo ius superveniens costituito dall’art. 1 comma 55
della legge n. 243/2004 in ragione dell’intervenuto giudicato ed
escludeva, altresì, che la base di computo delle prestazioni per il
Ric. 2014 n. 00594 sez. ML – ud. 12-03-2015
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ai pensionati ex dipendenti del Banco di Napoli, il diritto di conservare

z

periodo successivo potesse essere depurata degli incrementi erogati in
virtù del regime perequativo poi abrogato, ciò sulla base del criterio di
calcolo definitivamente accertato con riguardo agli anni 1994/1996, il
cui risultato era destinato a stabilizzarsi anche per gli anni successivi.
Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre Intesa Sanpaolo s.p.a.
(quale incorporante di Sanpaolo Imi s.p.a.), prospettando un unico
motivo di ricorso.
Gli intimati Guglielmo Gentile, Gennaro Grosso, Giovanni Lo Palco,
Dario Mezzini, Gian Mario Mundula, Marina Alba Leo, Concetta
Scopece e Anna Sonia Leo quali eredi di Benedetto Lagalante hanno
depositato tempestivo controricorso.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod.
proc. civ..
Motivi della decisione
In via preliminare deve essere esaminata la eccezione degli odierni
controricorrenti in merito al vizio di notifica del ricorso per cassazione
perché effettuata nei confronti di altri intimati, deceduti, presso il
domicilio eletto nei precedenti gradi di giudizio. L’eccezione,
formulata in relazione ad una pluralità indifferenziata di ricorrenti,
individua nello specifico solo l’intimato Antonio Lucci tra i destinatatii
della notifica asseritamente viziata.
Tale eccezione deve essere disattesa sia per difetto di legittimazione a
formularla degli odierni contro ricorrenti (v. tra le altre, Cass. n. 21609
/2013, n. 4540/1987) sia perché nel merito comunque infondata ( v.
Cass. ss.uu.15295 /2014)
Con l’unico articolato motivo la ricorrente denuncia: “Violazione e
falsa applicazione dell’art. 324 cod. proc. civ. e dell’art. 2909 cod. dv.,in
relazione agli artt. 9 e 11 del d.lgs. n. 503/1992, come interpretati
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autenticamente dall’art. 1, comma 55, della legge n. 243 del 2004 (art.
360, n. 3, cod. proc. dv.)”. Si duole del fatto che la Corte partenopea
abbia attribuito una erronea portata alla norma di interpretazione
autentica del comma 55 dell’art. 1 della citata legge n. 243 del 2004 ed
ai suoi rapporti con il giudicato, rendendo il trattamento perequativo

1990, sostanzialmente indifferente alla esistenza o meno della suddetta
norma di interpretazione autentica in forza della quale, come chiarito
da consolidata giurisprudenza di legittimità, il sistema di perequazione
automatica aziendale è abrogato, per tutti i pensionati (ante e posi
31dicembre 1990), a far data dal gennaio 1994. Conseguentemente, in
relazione al diritto di conservare, successivamente al mese di luglio
1996, gli aumenti perequativi ottenuti in virtù del sistema previgente,
non venendo in rilievo il principio di intangibilità del giudicato, né il
divieto del ne bis in idem, la pretesa azionata avrebbe dovuto essere
decisa alla luce della ridetta norma di interpretazione autentica, e non
già in base alla regula iuris affermata dalla sentenza passata in giudicato,
siccome sostituita ab origine dalla normativa di interpretazione autentica.
Ciò in quanto il diritto alla conservazione dell’assegno perequativo non
è parte integrante del giudicato, bensì un diritto conseguente che
permane, rebus sic stantibus, al permanere della relativa fonte costitutiva.
Il motivo non è fondato.
Deve essere data continuità – in particolare – all’indirizzo già espresso
da questa S.C. con le sentenze n. 19825/11 e n. 20975/09.
A tal fine si premetta che sul problema della perequazione automatica
delle pensioni integrative del personale del Banco di Napoli si è
formata una giurisprudenza costante, sulla base della quale i lavoratori
collocati a riposo prima del 31/12/90 conservano il diritto
all’integrazione, diritto che sopravvive alla legge n. 421/1992 ed al
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dell’originaria ricorrente, andata in pensione prima del 31 dicembre

d.lgs. n. 503/1992. Tale regime perequativo termina il 26/7/1996: in
tal senso cfr., ex aliis, Cass. nn. 9023 e 9024 del 2001, cui la
giurisprudenza successiva si è uniformata, con giudicato formatosi
anche in relazione alla odierna intimata (il che è pacifico inter partes).
Successivamente al consolidarsi della giurisprudenza di questa S.C. è

normativa sopra richiamata deve intendersi nel senso che la
perequazione automatica delle pensioni, come prevista dall’art. 11 d.lgs.
n. 503/1992, si applica al complessivo trattamento percepito dai
pensionati di cui all’art. 3 d.lgs. n. 357/1990.
La suddetta norma di interpretazione autentica ha superato il vaglio
di legittimità costituzionale (v. Corte cost. n. 362/2008) sotto diversi
profili sollecitato da questa stessa Corte Suprema, sicché è da
escludersi una pur limitata sopravvivenza del sistema di perequazione
automatica.
Tuttavia tale norma di interpretazione autentica non è idonea a
rimuovere gli effetti del giudicato (né essa dispone espressamente la
caducazione dei giudicati già formatisi e dei loro effetti futuri: nulla di
tutto ciò si legge nel cit. art. 1 co. 55 legge n. 243/04).
Si tenga presente che il giudicato, proprio perché destinato a fissare la
regola del caso concreto, partecipa della stessa natura dei comandi
giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero
fatto.
Come insegna costante giurisprudenza di questa S.C., qualora due
giudizi tra le stesse parti facciano riferimento al medesimo rapporto
giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in
giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione
giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative
ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la
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intervenuto l’art. 1 co. 55 legge n. 243/2004, che ha stabilito che la

:

premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel
dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto
accertato e risolto, pur ove il successivo giudizio abbia finalità diverse
da quelle che hanno costituito lo scopo ed iOetitum del primo e ciò
riguarda anche i rapporti di durata (Cass. S.U. 16 giugno 2006, n.

9512), come quelli dedotti nell’odierna controversia.
Sempre in virtù di antica e costante giurisprudenza, in ordine ai
rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che ne
costituiscono il contenuto (come nel caso di specie), sui quali il giudice
pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale, ma con
conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l’autorità del
giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad
una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo.
Pertanto, quest’ultimo produce effetti anche nel tempo successivo alla
propria emanazione, con l’unico limite di fatti nuovi che modifichino il
contenuto materiale del rapporto o il relativo regolamento pattizio (cfr.
Cass. 16 agosto 2004, n. 15931; Cass. n. 19426/2003; Cass. a
16959/2003; Cass. n. 3230/2001; Cass. n. 15178/2000; Cass. n.
9548/1997).
Nel caso di specie non solo non vi è alcun fatto nuovo che abbia
modificato il contenuto materiale del rapporto o il relativo
regolamento pattizio (tale non essendo il summenzionato art. 1 co. 55
legge n. 243/04, che – proprio perché di mera interpretazione – non ha
alcuna attitudine innovativa), ma la retroattività di una norma di
interpretazione autentica incontra il limite del giudicato, limite
connaturato all’ordinamento in quanto posto a custodia di quel
principio di separazione dei poteri che costituisce cardine indefettibile
di ogni democrazia costituzionale.
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13916; conf. Cass. 4 dicembre 2006, n. 25681; Cass. 22 aprile 2009, n.

:

Una diversa opzione ricostruttiva sarebbe costituzionalmente
impraticabile per lesione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.
,

(letto in chiave a quello di certezza del diritto), del principio di
separazione dei poteri (artt. 101 cpv. e 104 co. 1° Cost.) e dell’art. 117
Cost. attraverso la norma interposta dell’art. 1 prot. Protocollo
aggiuntivo n. 1 alla CEDU come interpretato dalla giurisprudenza della
Corte di Strasburgo, secondo la quale i diritti pensionistici
costituiscono un bene ai sensi, appunto, dell’art. 1 del Protocollo n. 1
aggiuntivo alla Convenzione (si vedano, ad esempio, le sentenze della
Corte EDU Lakiéevie e altri c. Montenegro e Serbia).
Sempre avuto riguardo alla sopravvenienza di una normativa incidente
sulla disciplina in base alla quale il giudicato si è formato, deve
considerarsi che il fondamento del giudicato sostanziale – che si
realizza quando la decisione, oltre ad essere passata formalmente in
giudicato (art. 324 cod. proc. civ.), incide sul diritto fatto valere (art.
2909 cod. civ.) e che risponde al generale principio della certezza del
diritto — è quello di rendere insensibili le situazioni di fatto dallo stesso
considerate (per le quali è stata individuata ed applicata la
corrispondente regula iuris )ai successivi mutamenti della normativa di
riferimento, anche con riguardo allo ius szoerveniens che contenga norme
retroattive.
Ne consegue, con riferimento ai limiti cronologici del giudicato
sostanziale, che la sopravvenienza di una legge interpretativa che
contraddica l’interpretazione recepita nella sentenza irrevocabile la
rende “erronea”, ma non ne compromette il valore, che è indipendente
dall’esattezza della statuizione con essa resa.
Infatti un giudicato – e ciò è dirimente – per quanto in ipotesi
“erroneo”, resta pur sempre giudicato, con tutta la propria capacità

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..

espansiva nei successivi rapporti fra le medesime parti, nei limiti
oggettivi sopra ricordati.
Pertanto, sebbene l’intangibilità del giudicato riguardi solo quanto sia
stato oggetto del giudicato stesso, con esclusione di quanto non fosse
deducibile nel giudizio in cui esso si è formato, tale non deducibilità

introdurre una nuova azione, si sia limitata ad interpretare
autenticamente una disposizione precedente (cfr, ex alii, Cass. n.
1583/2010; Cass. n. 18339/2003; Cass. n. 4630/2000; Cass.
n.12701/1995; Cass. n. 8797/1995).
Del resto, l’intangibilità del giudicato sostanziale non solo prevale sullo
ius superveniens e sulle norme di interpretazione autentica, ma impedisce
la caducazione, ab origine, delle norme su cui il giudicato si fonda per
effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale delle stesse,
costituendo – appunto – il giudicato, al pari di altre situazioni giuridiche
consolidate in conseguenza di eventi che l’ordinamento giuridico
riconosca idonei a produrre tale effetto, uno dei limiti che incontra
l’efficacia retroattiva della decisione di illegittimità costituzionale (cfr.,
fra le numerose in tal senso, Cass. n. 4766/1999; Cass. n. 7057/1997;
Cass. n. 891/1996; Cass. n. 1860/1983; Cass. S.U. n. 1707/1963).
L’applicazione di t2li principi al caso in oggetto fa sì che la norma di
interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 55, legge n. 243/04,
che non contiene previsione alcuna di caducazione dei giudicati
sostanziali già formatisi, non è suscettibile di incidere, nel caso
concreto, in relazione alle situazioni giuridiche già oggetto di sentenza
definitiva passata in giudicato.
Né può ritenersi che tale norma di interpretazione autentica venga ad
incidere sugli effetti futuri del giudicato sostanziale, posto che, giusta
l’interpretazione resane dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex
Ric. 2014 n. 00594 sez. ML – ud. 12-03-2015
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non può ricollegarsi alla mera sopravvenienza di una norma che, senza

pboibus, Cass. n. 16206/2009; Cass. n. 22700/2006), la stessa non
introduce una nuova disciplina della normativa di riferimento,
destinata ad esplicare la propria efficacia sui rapporti giuridici di durata
a cui si applica; conformemente alla propria natura interpretativa, ma
individua soltanto la corretta portata precettiva della normativa già

sostanziale.
Ne consegue che quest’ultimo ha cristallizzato il maturato
pensionistico per il periodo considerato, che resta insensibile, anche
nei suoi effetti, alla successiva norma di interpretazione autentica
contenuta nel cit. art. 1 co. 55 legge n. 243/04 e che, pertanto, deve
essere riconosciuto nella sua entità (con le eventuali variazioni legate
alla dinamica perequativa legale, non essendo più applicabile quella
aziendale) anche per i ratei successivi.
Essendosi la sentenza impugnata conformata ai suindicati principi, il
motivo di ricorso non può trovare accoglimento.
In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la
soccombenza nel rapporto processuale tra la odierna ricorrente e la
parte costituita.
Non si fa luogo al regolamento delle spese nei confronti delle parti
non costituite che non hanno svolto attività difensiva.
Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013)di
entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1, comma 17 della
legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha integrato l’art. 13 del
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il comma 1 quater del
seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta
integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che
l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di
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esistente, la stessa, cioè, sulla base della quale si è formato il giudicato

contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione,
principale o incidentale, a norma art. 1

bis.

Il giudice dà atto nel

provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo
precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito
dello stesso”.
Essendo il ricorso in questione integralmente da respingersi, deve
provvedersi in conformità.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione nei
confronti degli intimati costituiti delle spese del giudizio di legittimità
che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 100,00 per
esborsi, oltre spese forfettarie determinate nella misura del 15 %, oltre
accessori di legge.
Nulla nei confronti degli intimati non costituiti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del
comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 marzo 2015.

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