Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11581 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. III, 15/06/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 15/06/2020), n.11581

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10213-2017 proposto da:

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 357, presso lo

studio dell’avvocato LUCIANO MENNELLA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, (OMISSIS), in persona dei suoi procuratori

speciali, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CILIBERTI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO GANINI;

– controricorrente –

nonchè contro

(OMISSIS), P.G., R.E.S., ALLIANZ

SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 939/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/11/2019 dal Consigliere Dott. GIAIME GUIZZI STEFANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il (OMISSIS), ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 939/17, del 13 febbraio 2017, della Corte di Appello di Roma, che – accogliendo, per quanto qui ancora di interesse, il gravame esperito in via di principalità dalla società Ina Assitalia S.p.a. (oggi Generali Italia S.p.a.) contro la sentenza n. 26605/09 del Tribunale di Roma – ha rigettato la domanda di manleva proposta dall’odierno ricorrente verso Ina Assitalia, dichiarando prescritto, ex art. 2952 c.c., comma 2, il diritto all’indennizzo.

2. Riferisce, in punto di fatto, il ricorrente che, a seguito di un incendio, sviluppatosi il 4 agosto 2003 nella Riserva Naturale dell’Insugherata, limitrofa ai (OMISSIS), P.G. e R.E.S., lamentando ingenti danni ai propri appartamenti, instauravano, ai fini della loro quantificazione, un procedimento per accertamento tecnico preventivo. Essendosi, inoltre, sviluppato un secondo incendio, circa due anni dopo, ed esattamente il 28 maggio 2005, i medesimi P. e R.E. ricorrevano, ex art. 688 c.p.c., nei confronti del Condominio odierno ricorrente, per conseguire l’ordine, a carico dello stesso, di procedere immediatamente alla potatura e al taglio della vegetazione di un’area cespuglioso-boschiva di appartenenza dello stesso.

Radicato, successivamente, giudizio di merito nei confronti di entrambi i Condomini, sia per ottenere l’adozione di misure idonee ad evitare il danno temuto, sia il risarcimento dei danni subiti, l’odierno ricorrente chiamava in giudizio due società assicuratrici, RAS S.p.a. (oggi Alianz S.p.a.) ed Assitalia S.p.a. (come detto, oggi Generali Italia S.p.a.), chiedendo di essere manlevato, in forza di due specifici contratti con esse sottoscritti.

Il primo giudice, in accoglimento della domanda attorea, ordinava ai due Condominii la periodica pulizia e manutenzione dell’area boschiva di loro pertinenza, condannandoli, altresì, al risarcimento dei danni, stimati in misura di Euro 139.544,87, oltre interessi legali. Tuttavia, in accoglimento della domanda di manleva dell’odierno ricorrente, l’obbligo di pagamento veniva posto, per esso, a carico della sola Ina Assitalia.

Proposto appello principale da quest’ultima, la Corte capitolina non senza dichiarare la tardività della costituzione in appello di entrambi i Condominii – accertava l’intervenuta prescrizione del diritto all’indennizzo, sul presupposto che il termine di cui all’art. 2952 c.c., comma 3, fosse decorso (in assenza di atti interruttivi) dalla domanda di accertamento tecnico preventivo proposta, nei confronti del Condominio odierno ricorrente, dai predetti P. e R.E..

3. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma ricorre per cassazione il Condominio di via (OMISSIS), sulla base di tre motivi.

3.1. Il primo motivo ipotizza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., nel testo “ratione temporis” applicabile, ovvero quello anteriore alla modifica apportata dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, in L. 11 agosto 2012, n. 134.

Si assume che il motivo di gravame, relativo alla decorrenza del termine prescrizionale, lungi dal sostanziarsi in una critica della decisione adottata dal primo giudice, volta di incrinarne il fondamento logico giuridico, avrebbe costituito una semplice “opinione”, senza indicazione alcuna delle ragioni in forza delle quali il giudice di appello avrebbe dovuto procedere, sul punto, alla riforma della sentenza impugnata.

3.2. Il secondo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – ipotizza, invece, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonchè “anomalia” della motivazione, siccome “incomprensibile ed illogica”, con violazione anche dell’art. 111 Cost., comma 6.

Si censura la sentenza impugnata, in quanto – si assume obiettivamente incomprensibile, laddove sembrerebbe stabilire una sorta di parallelismo tra l’idoneità dell’accertamento tecnico preventivo a interrompere il corso di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, ex art. 2943 c.c., ed a far decorrere il termine di prescrizione del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 2952 c.c., comma 3.

3.3. Con il terzo motivo è dedotta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione dell’art. 2952 c.c., comma 3.

Si assume che il giudice di appello avrebbe violato la norma suddetta, ritenendo di far decorrere il termine di prescrizione del diritto all’indennizzo dal momento in cui venne incardinato il giudizio di accertamento tecnico preventivo, non potendo siffatta evenienza equipararsi alla richiesta di risarcimento del danno o all’esercizio dell’azione risarcitoria, considerato che lo scopo del procedimento di accertamento tecnico preventivo è, semplicemente, quello di preservare prove che potranno poi consentire, in un eventuale giudizio risarcitorio, l’accoglimento della domanda proposta.

Invoca il ricorrente, a sostegno della propria tesi, quell’indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo cui il testo dell’art. 2952 c.c. “deve essere interpretato in termini rigorosi, anche in considerazione del fatto che il termine di prescrizione ivi previsto è straordinariamente breve”, sicchè risultano “sconsigliabili interpretazioni della lettera della legge che, ancorando la decorrenza del termine adatto a comportamenti non identificabili in modo certo, possano pregiudicare ulteriormente la certezza dei rapporti e l’esercizio dei diritti spettanti all’assicurato” (viene citata, in particolare, Cass. Sez. 3, sent. 13 gennaio 2015, n. 289).

4. Ha resistito la società Generali Italia, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità, ovvero, in subordine, di infondatezza.

Quanto, in particolare, al primo motivo di ricorso, la controricorrente ne ipotizza la inammissibilità sulla base del rilievo per cui, non avendo ((allora) appellato Condominio eccepito la violazione dell’art. 342 c.p.c., esso non potrebbe farlo, per la prima volta, in sede di legittimità. In ogni caso, il motivo sarebbe non fondato, posto che ai fini del rispetto dell’onere di specificità, ex art. 342 c.p.c., è sufficiente che le argomentazioni contrapposte dall’appellante a quelle riportate nella decisione impugnata siano tali, come nella specie, ad inficiarne il fondamento logico e giuridico.

Del secondo motivo di ricorso si ipotizza, invece, la non fondatezza, sul rilievo dell’avvenuta riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza impugnata.

Infine, il terzo motivo sarebbe inammissibile, ex art. 360-bis c.p.c., comma 1, n. 1, considerato che il termine di decorrenza della prescrizione del diritto all’indennizzo va individuato, in forza di pacifica giurisprudenza, nel momento in cui il danneggiato abbia proposto, per la prima volta, anche solo in via stragiudiziale, la richiesta di risarcimento del danno (Cass. Sez. 3, sent. 13 marzo 2013, n. 6296), non occorrendo neppure la necessità che a tale richiesta segua, poi, l’effettiva promozione del giudizio risarcitorio (Cass. Sez. 3, sent. 9 maggio 2001, n. 6426).

5. Anche la società Allianz ha resistito con controricorso, all’avversaria impugnazione.

Preliminarmente, essa rileva come, per effetto della dichiarata tardiva costituzione, nel giudizio di appello, del Condominio odierno ricorrente, debba ritenersi ormai passata in giudicato la statuizione di rigetto della domanda di manleva da questo proposta nei suoi confronti, già adottata in primo grado, domanda non riproposta nella presente sede di legittimità. Pertanto, proprio in ragione della necessità di far accertare il passaggio in giudicato di tale capo di pronuncia, l’odierna controricorrente assume di avere interesse a partecipare al presente giudizio.

In relazione, poi, ai singoli motivi d’impugnazione, del primo se ne assume l’infondatezza sulla base di un semplice confronto tra il contenuto dell’atto di appello e i principi dettati, in materia, dalla giurisprudenza di legittimità, mentre in relazione al secondo motivo di ricorso si evidenzia come la motivazione resa dal giudice di appello non sia affatto incomprensibile, nè illogica. Quanto, infine, al terzo motivo, la controricorrente evidenzia come il ricorso per accertamento tecnico preventivo, nel caso di specie, fosse diretto all’individuazione dei danni patiti e alla loro esatta quantificazione, sicchè, come esso era idoneo ad interrompere il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, era, altresì, del pari idoneo a far decorrere il termine di prescrizione del diritto all’indennizzo nei confronti della compagnia di assicurazione.

6. Sono rimasti intimati il Condominio di via (OMISSIS), nonchè P.G. e R.E.S..

7. Già discusso nell’adunanza camerale del 12 dicembre 2018, l’esame del presente ricorso è stato rinviato a nuovo ruolo, con ordinanza interlocutoria del 28 febbraio 2019, in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulle questioni, in tema di notificazione telematica della sentenza di appello, oggetto dell’ordinanza interlocutoria di questa Sezione del 9 novembre 2018, n. 28844.

7. Il ricorrente ha depositato, memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni e sottolineando, in particolare, che ogni dubbio in relazione alla procedibilità del suo ricorso – alla luce di quanto affermato da Cass. sez. Un., sen. 25 marzo 2019, n. 8312 – debba ritenersi superato in ragione: dell’avvenuto deposito, da parte del controricorrente mittente, della copia analogica, ritualmente autenticata e completa d’ogni allegato, della relata di notificazione telematica del provvedimento gravato; del mancato disconoscimento, da parte dello stesso controricorrente mittente della notificazione telematica della sentenza, del tempo e delle modalità del suo compimento e ciò pur in presenza di parti rimaste intimate; dell’avvenuto deposito di attestazione di conformità delle relata di notificazione della sentenza impugnata, già prodotta in copia semplice.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. In via preliminare debbono ritenersi superati i dubbi – alla base della già ricordata ordinanza interlocutoria del 28 febbraio 2019 relativi alla procedibilità del presente ricorso.

8.1. Invero, la notifica, all’odierno ricorrente, della sentenza dalla stessa poi impugnata, è avvenuta, telematicamente, sicchè, nel proporre la presente impugnazione, il Condominio di via (OMISSIS) – quantunque il difensore della controparte avesse attestato la conformità all’originale “digitale” della copia “analogica” notificata avrebbe dovuto compiere analoga attestazione, pena l’improcedibilità del ricorso, anche per la relata di notificazione ed il messaggio “PEC”, formalità, quest’ultima, “necessaria, perchè solo di lì si evince il giorno e ora in cui si è perfezionata la notifica per il destinatario” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6, ord. 22 dicembre 2017, n. 30765, Rv. 647029-01).

Anche la prova di resistenza – ovvero, l’accertamento che la notifica del ricorso si sia perfezionata, per il ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza (Cass. Sez. 3, sent. 10 luglio 2013, n. 17066) – è negativa, giacchè la sentenza risulta pubblicata il 13 febbraio 2017, mentre la data in cui è stata richiesta la notificazione del ricorso per cassazione è il 19 aprile 2017.

Nondimeno, sul punto, trova applicazione quanto precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 25 marzo 2019, n. 8312, in particolare il punto “sub” b) del p. 34)), ovvero che in caso di “sentenza impugnata sottoscritta con firma autografa ed inserita nel fascicolo informatico” vale il principio secondo cui “l’equiparazione della copia all’originale consegue comunque dalla non contestazione” della controparte “o dall’asseverazione” della parte ricorrente (che intervenga entro l’udienza pubblica o l’adunanza camerale).

Il citato arresto delle Sezioni Unite ha, inoltre chiarito che l’applicazione dei “suindicati principi” vale, “a maggior ragione, con riguardo al requisito del deposito della relata attestante la notificazione telematica della decisione impugnata” (fr. p. 35, punto 2), ovvero con riferimento alla fattispecie che viene qui in rilievo.

Nella specie, ai fini del superamento del dubbio relativo alla procedibilità del ricorso, risulta dirimente – più che il rilievo relativo all’assenza di contestazioni provenienti dalla parte notificante (visto che il Condominio di via (OMISSIS), nonchè P.G. e R.E.S., sono rimasti solo intimati) – la constatazione che il ricorrente risultava aver documentato l’avvenuta asseverazione, della conformità agli originali digitali anche della relata di notificazione e del messaggio PEC, con attestazione datata 19 novembre 2019.

9. Ciò detto, il ricorso va accolto, quanto al suo terzo motivo.

9.1. Il primo motivo, infatti, non è fondato.

9.1.1. Nel procedere al suo esame, peraltro, deve essere “in limine” disattesa l’eccezione preliminare della controricorrente Generali Italia, secondo cui, non avendo (allora) appellato Condominio eccepito la violazione dell’art. 342 c.p.c., esso non avrebbe potuto farlo, per la prima volta, in sede di legittimità.

Secondo questa Corte, invece, il “difetto di specificità dei motivi di appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c.” (in quel caso, come in quello presente, nel testo anteriore alla modifica di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134), “non rilevato d’ufficio dal giudice del gravame, può essere proposto come motivo di ricorso per cassazione dalla parte appellata, ancorchè essa non abbia sollevato la relativa eccezione nel giudizio di appello, poichè si tratta di questione che, afferendo alla stessa ammissibilità dell’impugnazione e, quindi, alla formazione del giudicato, è rilevabile anche d’ufficio dalla Corte di cassazione” (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 20 agosto 2013, n. 19222, Rv. 628058-01; in senso conforme, Cass. Sez. Lav., sent. 10 marzo 2016, n. 4706, Rv. 639191-01).

9.1.2. Ciò detto, il motivo non è fondato, alla stregua del principio secondo cui, in tema di appello, “non è necessaria l’adozione di formule sacramentali per esprimere la volontà di impugnare, integralmente, la sentenza di primo grado, essendo sufficiente, in forza dell’art. 342” (sempre nel testo anteriore alla novella del 2012) “che siano esposte sommariamente le ragioni dell’impugnazione, così da consentire al giudice di identificare i punti del provvedimento da esaminare e le ragioni, in fatto e in diritto, per le quali il gravame è proposto” (Cass. Sez. Lav. sent. 11 marzo 2014, n. 5562, Rv. 630450-01). Difatti, la norma “de qua”, (già) in quella sua formulazione, “prescinde(va) da qualsiasi particolare rigore di forme”, essendo sufficiente, alla stregua di essa, che fossero “esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure”, con la conseguenza di relegare l’inammissibilità ai soli casi in cui l’atto di appello, “senza neppure menzionare per sintesi il contenuto della prima decisione, risulti totalmente avulso dalla censura di quanto affermato dal primo giudice e si limiti ad illustrare la tesi giuridica già esposta in primo grado” (Cass. Sez. Lav., sent. 20 marzo 2013, n. 6978, Rv. 625704-01), potendo, dunque, i motivi di gravame “sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purchè ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice” (Cass. Sez. 3, sent. 29 novembre 2011, n. 25218, Rv. 620524-01, nonchè Cass. Sez. Un., sent. 25 novembre 2008, n. 28057, Rv. 605982-01).

9.2. Anche il secondo motivo di ricorso non è fondato.

9.2.1. Esso censura una supposta “contraddittorietà” nel percorso motivazionale del giudice di appello, laddove è tracciato un parallelismo tra l’idoneità dell’accertamento tecnico preventivo sia a interrompere il corso di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, ex art. 2943 c.c., sia a far decorrere il termine di prescrizione del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 2952 c.c., comma 3.

Non si tratta, tuttavia, di vizio motivazionale suscettibile di essere censurato da questa Corte.

Va, infatti, rammentato che ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – nel testo “novellato” dal già citato D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 2012 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) il sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonchè, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 63778101; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01).

Lo scrutinio di questa Corte è, dunque, ipotizzabile solo in caso di motivazione “meramente apparente”, configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonchè, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01), o perchè affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01).

Nel caso di specie, infatti, il suddetto parallelismo resta – a tutto voler concedere – privo di significanza nel ragionamento complessivo della Corte territoriale, e quindi non realizza quell’aporia logica che, in definitiva, integra l’ipotesi della motivazione apparente.

9.3. Il terzo motivo è, invece, fondato, per le ragioni di seguito illustrate.

9.3.1. Sul punto, invero, occorre muovere dalla constatazione che non risultano esatti i rilievi del ricorrente, laddove censura l’interpretazione che dell’art. 2952 c.c., comma 2, ha accolto la sentenza impugnata, osservando il Condominio che lo scopo del procedimento di accertamento tecnico preventivo sarebbe, semplicemente, quello di preservare prove che potranno poi consentire, in un eventuale giudizio risarcitorio, l’accoglimento della domanda proposta.

Tale assunto, infatti, non tiene in debito conto gli interventi legislativi che hanno interessato, negli ultimi anni, la disciplina dell’accertamento tecnico preventivo e che ne hanno non solo accentuato il nesso di strumentalità rispetto al giudizio risarcitorio, ma hanno finanche configurato tale procedimento alla stregua di un mezzo l’alternativo ad esso, attraverso il quale il danneggiato può già vedere soddisfatta la pretesa al ristoro del danno.

Difatti, ed in relazione al primo profilo, non può ignorarsi il fatto che il legislatore – anche sulla scorta di due interventi della Corte costituzionale (Corte Cost., sent. 10 febbraio 1997, n. 46, nonchè sent. 13 ottobre 1999, n. 388) – ha stabilito che l’accertamento può “comprendere anche valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi all’oggetto della verifica” (così l’art. 696 c.p.c., comma 2, nel testo modificato dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 3, lett. e-bis, n. 5.1, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80).

Analogamente, e quanto all’altro profilo, ancor più significativo è il fatto che, ai sensi dell’art. 696-bis c.p.c. (introdotto dal medesimo D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 3, lett. e-bis, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 80 del 2005), anche in difetto delle condizioni di urgenza – per possibile alterazione dello stato di luoghi, cose o persone – può procedersi all’accertamento e alla determinazione dei crediti derivanti, tra l’altro, da fatto illecito, essendo in tal caso previsto che il consulente tenti la conciliazione, e che ove la stessa abbia esito positivo, il relativo verbale possa acquisire, in forza di decreto giudiziale, efficacia di titolo esecutivo.

Orbene, siffatti rilievi smentiscono l’assunto del ricorrente secondo cui lo scopo dell’ATP sarebbe solo quello di preservare prove che potranno poi consentire, in un eventuale giudizio risarcitorio, l’accoglimento della domanda proposta.

9.3.2. Nondimeno, il motivo va egualmente accolta, sulla scorta delle ulteriori considerazioni che lo sorreggono.

Verso tale esito convergono, infatti, sia l’argomento “letterale” in sè, per vero, non decisivo – secondo cui l’art. 2952 c.c., comma 3, pone sullo stesso piano la richiesta di risarcimento e “l’azione”, dove l’uso dell’articolo determinativo indica trattarsi di quella “risarcitoria” (e di essa soltanto), sia l’argomento “sistematico”, che riecheggia, del resto, proprio precedente di questa Corte citato dal ricorrente (Cass. Sez. 3, sent. 13 gennaio 2015, n. 289, non massimata).

Tale pronuncia, invero, sottolinea che il testo dell’art. 2952 c.c., “deve essere interpretato in termini rigorosi, anche in considerazione del fatto che il termine di prescrizione ivi previsto è straordinariamente breve”, sicchè risultano “sconsigliabili interpretazioni della lettera della legge che, ancorando la decorrenza del termine adatto a comportamenti non identificabili in modo certo, possano pregiudicare ulteriormente la certezza dei rapporti e l’esercizio dei diritti spettanti all’assicurato”.

La necessità di un’interpretazione restrittiva, d’altra parte, deriva, prima ancora che dal fatto che la norma in esame pone una deroga alla regola generale di cui all’art. 2946 c.c., dalle perplessità che-hanno accompagnato la scelta dei codificatori di fissare – in origine addirittura in un anno – la prescrizione degli “altri diritti derivanti dall’assicurazione”.

Non è, infatti, casuale che – già prima che il legislatore portasse a due anni il termine di cui all’art. 2952 c.c., comma 2, (giusta il disposto del D.L. 28 agosto 2008, n. 134, art. 3, comma 2-ter, convertito, con modificazioni, nella L. 27 ottobre 2008, n. 166) – vi erano state iniziative legislative volte ad elevare addirittura a cinque anni il termine “de quo” (in particolare, nel corso della XIV legislatura repubblicana, e più precisamente il 21 giugno 2001, fu presentato il progetto di L. n. 1004, recante “Modifiche al codice civile in materia di assicurazioni”). Si sottolineava, in particolare, come la disciplina italiana, nel prevedere il termine prescrizionale di un anno, fosse tra le più restrittive in ambito continentale, a fronte di ordinamenti che prevedevano già un termine di due anni (come in Francia, Germania e Danimarca), ovvero triennale (Belgio e Grecia), o ancora più lungo (Spagna, cinque anni, Inghilterra, sei anni).

D’altra parte, lo stesso Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni Private, nella circolare n. 403/D del 16 marzo 2000, nel rammentare come “invocare il decorso del termine prescrizionale non sia un obbligo ma una mera facoltà per l’impresa, posta a presidio, tra l’altro, della certezza dei rapporti giuridici”, aveva segnalato l’opportunità – ancora una volta in ragione della particolare brevità del termine di prescrizione – che le imprese assicurative si dispongono, “nella valutazione di richieste di liquidazione eventualmente tardive, in un’ottica di ragionevolezza onde evitare che il beneficio previsto dalla legge a loro favore in ordine alla certezza dei rapporti assicurativi si tramuti in un trattamento che può rivelarsi punitivo per il beneficiario”.

10. Le spese del presente giudizio saranno definite all’esito del giudizio di rinvio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso ed accoglie il terzo, cassando, in relazione, la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, perchè decida nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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