Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1158 del 21/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 1158 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 12807-2009 proposto da:
CAPUTO GIAMPIERO C.F. CPTGPR62C28B792F, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA L. MANTEGAZZA 24, presso lo
studio dell’avvocato MARCO GARDIN, rappresentato e
difeso dall’avvocato RAMPINO GABRIELE, giusta delega
in atti;
– ricorrente –

2013

contro

3245

SPEDICATO

IMPIANTI

S.R.L.

C.F.

00594430753,

in

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XXI APRILE,

Data pubblicazione: 21/01/2014

presso lo studio dell’avvocato TRIFILIDIS MASSIMO,
rappresentata e difesa dall’avvocato TAURINO
ALESSANDRO, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 2023/2008 della CORTE

2682/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/11/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato SOLFANELLI ANDREA per delega RAMPINO
GABRIELE;
udito l’Avvocato TAURINO ALESSANDRO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per l’inammissibilità e in subordine rigetto.

D’APPELLO di LECCE, depositata il 03/12/2008 R.G.N.

R.G. 12807/2009
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

ou

Con ricorso del 26-7-2002 Giampiero Caputo esponeva che, già
dipendente della Spedicato Impianti s.r.l. dal 9-8-1980 alla data del

specializzato addetto alla manutenzione di acquedotti, aveva ricevuto nel corso
del rapporto una retribuzione inferiore a quella dovuta ex ceni ed art. 36 Cost.,
anche a titolo di TFR, lavoro straordinario ed indennità per ferie non godute,
avendo lavorato per almeno 51 ore settimanali, con orari 6,30/12,30 —
15,30/18,30 (il sabato dalle 6,30 alle 18,30), ed essendo stato reperibile notte e
giorno una settimana su tre per intervenire in caso di guasto ai pozzi
dell’acquedotto fin dall’anno 1995.
Considerato quindi che gli erano dovute differenze retributive pari ad
euro 41.224,67, chiedeva pertanto che la società convenuta fosse condannata
al pagamento in suo favore della detta somma con la conseguente
regolarizzazione contributiva.
La Spedicato Impianti s.r.l. si costituiva e chiedeva il rigetto della
domanda, eccependo la prescrizione quinquennale di eventuali crediti,
contestando in toto il conteggio allegato al ricorso e deducendo che l’orario di
lavoro non aveva mai ecceduto le 40 ore settimanali ed era stato retribuito in
misura maggiore di quella dovuta.
Il giudice del lavoro del Tribunale di Lecce, all’esito della prova
testimoniale e della espletata CTU contabile, rigettava la domanda, essendo
emerso che le somme riscosse dal Caputo eccedevano quelle a lui dovute di

1

licenziamento del 30-3-2001, inquadrato nel III livello con mansioni di operaio

circa lire 38.000.000, somma comprendente le ore straordinarie compensate
tramite un’indennità di trasferta.
Il Caputo proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la
riforma con l’accoglimento della domanda.

La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza depositata il 3-12-2008,
rigettava l’appello, per la infondatezza delle censure, concernenti soltanto
l’accertamento in fatto condotto dal primo giudice riguardo al lavoro
straordinario svolto (soltanto per 204 ore annue), l’omessa pronuncia sulle
differenze per lavoro ordinario e TFR e la negata acquisizione dei cartellini
marca-tempo.
Per la cassazione di tale sentenza il Caputo ha proposto ricorso con tre
motivi.
La Spedicato Impianti s.r.l. ha resistito con controricorso.
Il Caputo ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe
omesso di pronunciare sul motivo di appello riguardante la erronea
ricostruzione, da parte del primo giudice, del lavoro straordinario
effettivamente prestato, e deduce che lo stesso era superiore alle 204 ore
apoditticamente individuate nella sentenza di primo grado in quanto in base
alle risultanze istruttorie sarebbero emerse due ore di straordinario al giorno,

compreso il sabato (giorno nel quale non era risultata alcuna riduzione
dell’orario effettivo).

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La società si costituiva e resisteva al gravame.

Il ricorrente si duole inoltre della mancata acquisizione dei cartellini
marcatempo (a suo dire attestanti un numero di ore di lavoro straordinario
conforme a quello indicato nei conteggi allegati al ricorso introduttivo),
costituenti prove precostituite, come tali acquisibili anche in appello.

avrebbero omesso di pronunciare sulle differenze retributive dovute anche per
il lavoro ordinario e deduce che la Corte d’Appello ha disatteso il relativo
motivo di gravame ritenendo che il primo giudice aveva implicitamente
rigettato il capo di domanda sulla scorta delle risultanze della CTU, laddove,
invece una corretta lettura della carte processuali e delle dette risultanze,
avrebbe imposto una soluzione differente.
Con il terzo motivo il Caputo rileva, infine, che la Corte di merito
“avrebbe dovuto procedere ad una ricostruzione dell’intero rapporto, con
determinazione delle somme dovute a titolo di TFR e con ricostruzione della
posizione previdenziale”.
Osserva il Collegio che i detti motivi, connessi fra loro, risultano in parte
assolutamente generici e privi di autosufficienza e in parte infondati.
Sul primo motivo va rilevato che il ricorrente si limita a ribadire il proprio
assunto o, se si vuole, la propria lettura complessiva delle risultanze istruttorie,
senza minimamene indicare specificamente quali risultanze siano state
trascurate dalla Corte di merito. Tanto meno, poi, nel ricorso viene in qualche
modo riportato il contenuto delle dette risultanze.
In relazione, poi, alla mancata acquisizione dei cartellini marcatempo
(anche questi in alcun modo e neppure sommariamente riportati in ricorso ai
fini della autosufficienza dello stesso), va rilevato che il ricorrente si limita a
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Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che i giudici del merito

ribadirne la natura di prova precostituita, senza considerare che la sentenza
impugnata, richiamando il principio affermato da Cass. S.U. n. 8202 del 2005,
ha legittimamente affermato che la prova documentale è soggetta alle
medesime preclusioni di quella testimoniale.

lavoro, in base al combinato disposto degli art. 416, terzo comma, cod. proc.
civ., che stabilisce che il convenuto deve indicare a pena di decadenza i mezzi
di prova dei quali intende avvalersi, ed in particolar modo i documenti, che
deve contestualmente depositare – onere probatorio gravante anche sull’attore
per il principio di reciprocità fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza
n. 13 del 1977 – e 437, secondo comma, cod. proc. civ., che, a sua volta, pone il
divieto di ammissione in grado di appello di nuovi mezzi di prova – fra i quali
devono annoverarsi anche i documenti -, l’omessa indicazione, nell’atto
introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti, e l’omesso deposito
degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto
alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia
giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda
processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione (ad
esempio, a seguito di riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del
terzo); e la irreversibilità della estinzione del diritto di produrre i documenti,
dovuta al mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, rende il diritto
stesso insuscettibile di reviviscenza in grado di appello. Tale rigoroso sistema
di preclusioni trova un contemperamento – ispirato alla esigenza della ricerca
della “verità materiale”, cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro,
teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel
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In particolare con la detta pronuncia è stato chiarito che “nel rito del

giudizio devono trovare riconoscimento — nei poteri d’ufficio del giudice in
materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del citato art. 437,
secondo comma, cod. proc. civ., ove essi siano indispensabili ai fini della
decisione della causa, poteri, peraltro, da esercitare pur sempre con riferimento

delle parti stesse” (sulla “completa equiparazione” ormai tra prova precostituita
e prova costituenda i fini dell’operatività delle preclusioni e dei termini
decadenziali previsti dalla legge, cfr. Cass. 22-5-2006 n. 11922).
Orbene, nella fattispecie il ricorrente, ribadendo semplicemente la tesi
della prova precostituita, in effetti non tiene conto del decisum ed in sostanza
nulla dice in relazione alle ragioni che avrebbero potuto anche giustificare una
produzione tardiva dei detti documenti, e neppure indica alcunché di specifico
in merito alla indispensabilità dei documenti stessi a fini della decisione (non
riportandone neanche sommariamente il contenuto).
Con riguardo, poi, al secondo motivo, parimenti, il Caputo lamenta una
omessa pronuncia o una omessa motivazione in relazione alle asserite
differenze dovute anche per il lavoro ordinario, che sarebbero emerse dalle
carte processuali e dalle risultanze della CTU, senza specificarne e, tantomeno,
riportarne il contenuto.
Peraltro, sul punto, la sentenza impugnata si è espressamente pronunciata
affermando che “una volta appurato con la CTU il versamento al ricorrente di
somme di gran lunga superiori al dovuto, il primo giudice ha di conseguenza ed
implicitamente pronunciato, disattendendolo, sul capo di domanda inerente le
pretese differenze per lavoro ordinario e TFR, rigettando quindi in toto la
domanda.”
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a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio

Il ricorrente quindi avrebbe dovuto censurare direttamente e
specificamente tale statuizione, e non limitarsi ad affermare del tutto
genericamente che una corretta lettura delle carte processuali e delle risultanze
della CTU avrebbe imposto una soluzione differente, il tutto senza specificare

Ugualmente, con riguardo al terzo motivo, è sufficiente rilevare che la
Corte d’Appello, nel confermare il rigetto in toto della domanda, ha
confermato anche il rigetto implicito delle richieste relative alle pretese
differenze sul TFR e sulla posizione previdenziale, non incorrendo né nel vizio
di omessa pronuncia né in quello di omessa motivazione (vizi che, del resto,
sono stati parimenti denunciati in modo assolutamente generico).
Il ricorso va pertanto respinto e il ricorrente va condannato al pagamento
delle spese in favore della controricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare alla società
controricorrente le spese, liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro 3.000,00
per compensi oltre accessori di legge.
Roma 14 novembre 2013
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

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Il Funzionario Giudiziario

IDENTE

in alcun modo di quali carte e di quali risultanze si trattasse.

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