Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11577 del 26/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 26/05/2011, (ud. 07/04/2011, dep. 26/05/2011), n.11577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21608-2007 proposto da:

BORMIOLI ROCCO & FIGLIO S.P.A., in persona del legale

rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. BERTOLONI 31,

presso lo studio degli avvocati PULSONI FABIO e RAPONE RAFFAELLA, Che

la rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144,

presso lo studio degli avvocati ZAMMATARO VITO, PIGNATARO ADRIANA,

che lo rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 242/2006 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 08/08/2006 R.G.N. 05/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato RAPONE RAFFAELLA;

udito l’Avvocato GIANDOMENICO CATALANO per delega ZAMMATARO VITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Bologna, pronunciando in sede di rinvio, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava le domande originariamente proposte nei confronti dell’INAIL dalla Vetreria Padana Polesana S.p.a. e dalla Vetreria Riolo S.p.a. – incorporate poi nella società Bormioli Rocco e figlio – aventi ad oggetto la restituzione di somme che si assumevano indebitamente versate al predetto Istituto a titolo di premi assicurativi.

La Corte del merito rilevava,innanzitutto, che ogni questione, pure riproposta dalla società convenuta,riguardante la correttezza del contraddittorio nelle precedenti fasi del giudizio doveva considerarsi superata atteso che, fin dal primo giudizio di rinvio – di cui alla sentenza di questa Corte n. 15913 del 2000 -, le due originarie società si erano costituite come Bormioli Rocco e Figlio S.p.a. nella quale erano state entrambe incorporate nel corso del giudizio.

Riteneva poi, in applicazione del principio sancito dalla sentenza del 12 gennaio 2005 n. 438 di annullamento di questa Corte, infondate le domande proposte dalle originarie ricorrenti basate sul diverso assunto che bisognava tener conto, ai fini del tasso specifico aziendale, dell’effettivo andamento degli infortuni e delle malattie professionali dell’azienda interessata.

Avverso questa sentenza la società Bormioli Rocco e Figlio ricorre in cassazione sulla base di due censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso l’INAIL che deposita memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima censura la società ricorrente deduce violazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 39, 40, e 41 e del D.M. 14 novembre 1974, artt. 14 e 15 e del D.M. 18 giugno 1988, artt. 16 e 20 del Ministero del lavoro nonchè vizio di contraddittorietà e insufficienza della motivazione.

Lamenta sostanzialmente la società che la Corte di appello si è erroneamente adeguata al principio sancito, in materia di calcolo del tasso specifico aziendale, dalle Sezioni Unite di questa Corte con la citata sentenza dell’11 giugno 2001 n. 7853.

La censura è infondata.

E’ necessario premettere, ai fini dello scrutinio delle censure in esame, che i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi;

nella terza ipotesi, la “potestas iudicandi” del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione “ex novo” dei fatti già acquisiti, nonchè la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (Cass. 5 marzo 2009 n. 5316 e Cass. 3 ottobre 2005 n. 19305 cui adde Cass. 6 aprile 2004 n. 6707) Tanto precisato e passando al controllo dell’uniformazione del giudice di rinvio al dictum enunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza rescindente, nell’ambito del quale il giudice di legittimità deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa (Cfr. Cass. 21 aprile 2006 n. 9395), rileva il Collegio che nella sentenza di rinvio n. 438 del 2005 questa Corte ha annullato la sentenza impugnata perchè i giudici di appello non si sono attenuti al principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza dell’11 giugno 2001 n. 7853 secondo il quale: ai fini della determinazione del premio dovuto dalle aziende industriali per l’assicurazione dei dipendenti contro gli infortuni e le malattie professionali, nel calcolo del tasso specifico aziendale devono essere inclusi gli oneri per i casi di infortunio e di malattia professionale ancora da definire alla data di tale calcolo (riserva sinistri), anche quando nell’azienda non si siano verificati infortuni nel periodo considerato; ed infatti il detto tasso specifico aziendale è stato previsto dal D.M. 18 giugno 1988 e dai precedenti decreti (contenenti le tabelle di classificazione delle diverse lavorazioni con i corrispondenti tassi di tariffa, nonchè i criteri di determinazione del tasso specifico aziendale) con riferimento non all’andamento infortunistico della singola azienda, bensì al rapporto tra l’andamento infortunistico in ciascuna categoria di lavorazione ed il numero di lavoratori assicurati nelle singole imprese, in corrispondenza di un principio di mutualità tra le imprese assicuranti, che – salvaguardando l’equilibrio finanziario dell’ente assicuratore e ripartendo gli effetti dei sinistri fra le imprese consente di evitare che l’assenza di eventi dannosi per una pluralità di imprese e la conseguente riduzione contributiva, eventualmente assai consistente nel complesso, si traduca in un pesante aggravio per le imprese colpite da sinistri o si ripercuota sul bilancio dell’ente assicuratore mentre l’assenza di sinistri per la singola azienda può eventualmente comportare per quest’ultima il beneficio di una riduzione del tasso, una volta che questo sia stato determinato previa inclusione della detta riserva.

Orbene ritiene il Collegio che il giudice del rinvio facendo applicazione del principio sancito dalle Sezioni Unite di questa Corte nella richiamata sentenza n. 7853 del 2001, posto a base, nella sentenza di rinvio n. 438 del 2005 dell’annullamento della sentenza di secondo grado della Corte di Appello di Milano, si è pienamente attenuto al dictum contenuto nella sentenza di annullamento che, appunto, ha cassato la sentenza impugnata rinviando alla Corte di Appello di Bologna perchè facesse applicazione del richiamato principio espresso dalle Sezioni Unite nella citata sentenza n. 7853 del 2001.

E’ corretta in diritto ed adeguatamente motivata, pertanto, la sentenza della Corte di Appello di Bologna, in questa sede impugnata, che applicando il principio di diritto sancito nella sentenza rescindente ha rigettato la domanda delle originarie società ricorrenti la quale si fondava su di una opposta regola iuris, che in questa sede la società ricorrente ha inteso nuovamente riproporre contestando il dictum di questa Corte in ragione del quale la precedente sentenza di secondo grado era stata cassata.

Con la seconda censura la società Bormioli e Figlio denuncia violazione degli artt. 101 e 324 c.p.c. e art. 2909 c.c. nonchè vizio di motivazione in punto di nullità del procedimento di appello instaurato dinnanzi al Tribunale di Milano per aver il giudice ritenuto valida la notifica fatta dall’INAIL alla Vetreria Riola S.p.a..

La censura è infondata.

Infatti è pur vero che questa Corte, nella sentenza n. 438 del 2005, decidendo sul ricorso proposto dal solo INAIL, nell’esaminare il primo motivo d’impugnazione ha, tra l’altro, rilevato che, per effetto della prima pronuncia di cassazione – ossia la n. 7853 del 2001-, il giudice del rinvio avrebbe dovuto esaminare il contraddittorio tra l’INAIL e la società Vetreria Riola e per essa l’attuale società intimata che l’ha incorporata, ma è altrettanto vero che questo motivo è stato ritenuto inammissibile per carenza d’interesse dell’INAIL e la sentenza impugnata è stata cassata esclusivamente in relazione all’accoglimento del secondo motivo del ricorso attinente alla diversa questione del calcolo del tasso specifico aziendale e in ordine al quale è stato sancito il principio di diritto a cui, come in precedenza rimarcato, la Corte territoriale di Bologna si attenuta.

Tanto sta a significare che questa Corte non emettendo alcuna statuizione concernente il pur rilevato mancato esame da parte della Corte del merito della regolarità del contraddittorio tra l’INAIL e la società Vetreria Riola, non ha, evidentemente, ritenuto devoluta ritualmente alla sua cognizione la relativa questione, sicchè la stessa non può essere ora riproposta in questa sede di legittimità essendosi su tale punto formato implicito giudicato.

In tal senso va corretta, a norma dell’art. 384 c.p.c., u.c., la motivazione della sentenza impugnata.

Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso, pertanto, va respinto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 5.540,00 di cui Euro 5.500,00 per onorario oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2011

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