Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11577 del 11/05/2017

Cassazione civile, sez. II, 11/05/2017, (ud. 27/01/2017, dep.11/05/2017),  n. 11577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9241-2012 proposto da:

L.C., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

SANZIO 1, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO ROMANO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VINCENZO DI CICCO;

– ricorrente –

contro

DIREZIONE REGIONALE ENTRATE REGIONE SICILIA, MINISTERO ECONOMIA E

FINANZE, eLettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASETTA

MATTEI 239, presso lo studio dell’avvocato SERGIO TROPEA,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO TARANTO;

– controricorrente incidentale –

e contro

PROCURATORE REPUBBLICA TRIBUNALE CATANIA, C.O., DIREZIONE

GENERALE ENTRATE;

– intimati –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE PENALE di CATANIA, DEL 26/01/12,

DEP. IL 3/2312 (PROC. PEN. 2668/2004);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito l’Avvocato DI CICCO Vincenzo, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento delle difese in atti ed esposte;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso principale e per l’assorbimento del ricorso incidentale

condizionato.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

L.C. ricorre, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso l’ordinanza del Tribunale di Catania del 26 gennaio 2012, con la quale veniva rigettata l’opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170 avverso il provvedimento del 29 aprile 2011 di quello stesso Tribunale. Tale ultimo provvedimento aveva rigettato l’istanza di liquidazione di compenso avanzata dall’odierno ricorrente in relazione all’incarico di custode e amministratore giudiziario di varie società.

Nella fattispecie, in particolare, le pronunce del Tribunale catanese erano fondate sulla qualificazione dell’attività come quella degli “ausiliari del giudice” soggetta al termine decadenziale di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 71 e non all’ordinaria prescrizione decennale come quella prevista dal successivo art. 72 Decreto cit. per l’attività del custode (in sostanza il ricorrente, dimessosi dall’incarico assegnatogli, aveva svolto istanza di liquidazione dopo oltre diciotto mesi dalla data delle dimissioni).

Il formulato ricorso è fondato su due ordini di motivi.

Resistono allo stesso con controricorso l’Avvocatura Generale dello Stato, per il Ministero dell’Economia e per la Direzione Regionale delle Entrate Regione Sicilia e S.S., il quale ultimo propone, altresì ricorso incidentale condizionato.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione della L. n. 575 del 1965, art. 2-octies del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 71 e 72 e della L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di errata applicazione alla L. n. 575 del 1965, art. 2 octies e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 71 con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

3.- I due proposti motivi fanno riferimento entrambi alla L. n. 575 del 1965, art. 2 octies ed alle altre norme innanzi richiamate deducendo – sotto un primo profilo – una “violazione e falsa applicazione” di legge e, sotto un secondo profilo, una “errata applicazione” delle indicate disposizioni di legge.

Riferendosi, in buona sostanza, i motivi ad aspetti che presuppongono – innanzitutto – la qualificazione dell’attività svolta, entrambi gli stessi possono essere trattati congiuntamente.

Ciò detto va, immediatamente, evidenziata l’ammissibilità – contestata dalle parti contro ricorrenti – del rimedio esperito con il ricorso in esame.

Avverso, infatti, l’ordinanza che ha deciso sull’opposizione proposta, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, comma 1 dal custode o preteso tale di un bene sottoposto a sequestro giudiziario contro il decreto, emesso dal giudice del medesimo sequestro, che aveva negato il suo diritto al compenso, è ammissibile, come nella fattispecie, il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7 in virtù del richiamo al procedimento speciale per la liquidazione degli onorari di avvocato, regolato dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 29 (Cass. civ., Sez. Prima, Sent. 25 novembre 2011, n. 24959).

Ritenuta, quindi, l’ammissibilità del ricorso in dissenso delle stesse conclusioni rassegnate – come da verbale – in udienza dal P.G., la Corte ritiene dirimente l’esame della qualificazione dell’attività (ausiliaria o meno) dell’attività in concreto svolta dal ricorrente.

Deriva, infatti, da tale qualificazione l’applicabilità in ipotesi della ordinaria prescrizione decennale (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 72) dei compensi spettanti al custode giudiziario ovvero l’applicabilità del termine decadenziale di diciotto mesi, ex art. 71 D.P.R. cit., per la richiesta di compensi. L’applicazione di tale ultima norma – va evidenziato – travolge del tutto l’istanza del suddetto ricorrente.

Quest’ultimo, che aveva – congiuntamente ad altri – svolto, dal 28 settembre 2001, attività di amministratore giudiziario del gruppo Aligrup, nonchè dei beni personali dei coniugi S.- Sp. e dei loro figli, posti sotto sequestro, si era dimesso dall’incarico il 26 agosto 2009 e, successivamente, il 2 marzo 2011 aveva avanzata istanza di ulteriori compensi a saldo nell’attività svolta e per la quale erano già stati liquidati acconti nella misura complessiva di Euro 570mila.

Orbene la stessa attività, per come in concreto si sostanzia, non può che essere ritenuta non come una mera custodia dei beni sequestrati ai sensi della L. n. 575 del 1965.

Ai sensi degli artt. 2-sexies e 2 septies, correttamente nell’ipotesi applicati, l’amministratore dei beni sequestrati è soggetto attivo, sotto il diretto controllo del giudice, del patrimonio posto sotto sequestro e non mero custode immoto del medesimo patrimonio.

Le citate norme, pertinentemente applicabili, prevedono che l’amministratore stesso “provvede alla custodia, alla conservazione, all’amministrazione dei beni sequestrati… sotto la direzione del giudice delegato, anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività del bene”: già questo aspetto depone in pieno per la qualificazione dell’attività svolta come del tutto ausiliaria e, quindi, soggetta al detto termine decadenziale ex art. 71 cit..

Insomma l’attività svolta e di cui si controverte era sicuramente di tipo ausiliaria, anche per tutta una serie di altri indici correttamente indicati nella non insufficiente motivazione del provvedimento gravato (dinamica conservazione del compendio patrimoniale, fine dell’accrescimento dello stesso, garanzia di superiori interessi pubblicistici, incremento dell’attività, svolgimento di autonoma attività gestoria, che trova – ad ulteriore riprova della sua ausiliari età- unico limite negli atti e disposizione di indirizzo proprio del giudice delegato).

Sotto tale profilo appare del tutto insussistente, non solo il pure prospettato vizio art. 360 c.p.c., ex art. 5 ma anche la violazione ed erronea o falsa applicazione della L. n. 575 del 1965, art. 2 octies.

Tale ultima norma attiene, in buona sostanza, alati determinazione dell’ammontare del compenso e non mira di certo all’inquadramento ed alla qualificazione della detta attività, da cui deriva – come già accennato- il regime decadenziale o prescrizionale applicabile nella fattispecie. Il provvedimento gravato è, insomma, corretto anche dal punto di vista della normativa applicata e sostanzialmente conforme (oltre che alla deliberazione C.S.M. ivi richiamata) alla giurisprudenza di questa Corte.

Peraltro, ancora, in ricorso si è affermato che “non si riscontrano nella giurisprudenza della Suprema Corte decisioni conformi a quella seguita dal Tribunale di Catania”: l’assunto non è del tutto inconfutabile e significativo.

Infatti esistono più pronunce proprio di questa stessa Corte (ad esempio: Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 4 aprile 2011, n. 7631; Sez. Prima, Sent. 20 dicembre 2011, n. 27663 e Sez. Prima, Sent. 25 luglio 2013, n. 18080), le quali, ancorchè rese con riferimento all’analoga, ma differente figura dell’amministratore giudiziario nominato nel procedimento disciplinato dall’art. 2409 c.c., inducono – a contrario – che, nella fattispecie in esame e per cui è controversia, si è in presenza di una attività ausiliaria del giudice con tutte le ovvie conseguenze.

Con le sentenze innanzi citate si è rimarcato che il compito l’amministratore ex art. 2409 c.c. si concreta in una “gestione della società strumentale al ripristino del suo corretto funzionamento”, per cui non si verte in tema di attività rientrante “nella categoria degli ausiliari del giudice” (con tutte le conseguenze del caso, fra l’altro comportanti che il rimedio contro il provvedimento che dispone la liquidazione del compenso per l’opera prestata non può consistere nell’opposizione prevista dal citato D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 (quella cui fa ricorso l’odierno ricorrente), ma deve individuarsi, attesa la natura monitoria del decreto pronunciata ai sensi dell’art. 92 disp. att. c.p.c., u.p. nel rimedio di carattere generale previsto dall’art. 645 c.p.c.).

Da tutto ciò deriva, a contrario, che per la particolare e diversa natura dell’attività dell’amministratore di cui al presente giudizio, non “meramente strumentale” al corretto ripristino del funzionamento di una società, ma del tutto, pienamente e dinamicamente “gestoria” anche per ovvie finalità pubblicistiche si è in presenza di una attività ausiliaria del giudice (e, proprio pertanto, della esperibilità stessa del rimedio dell’opposizione con ex art. 170 D.P.R., cit., utilizzato dal ricorrente) con tutte le ovvie conseguenze derivanti dall’applicazione della normativa di tale decreto ivi inclusa quella (ex art. 71, cit.) decadenziale in ragione della natura dell’attività così come correttamente innanzi individuata.

4.- Entrambi i su esposti motivi non sono fondati e, pertanto vanno respinti con conseguente rigetto del ricorso.

5.- Il ricorso incidentale condizionato resta assorbito dal rigetto del ricorso principale.

6.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano così come in dispositivo.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato, e condanna il ricorrente al pagamento in favore delle Amministrazioni controricorrenti delle spese del giudizio, determinate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge, nonchè al pagamento delle spese in favore del controricorrente S.S. delle spese del giudizio, determinate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017

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