Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11577 del 06/06/2016


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Cassazione civile sez. I, 06/06/2016, (ud. 28/04/2016, dep. 06/06/2016), n.11577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22631/2010 proposto da:

COOPCOSTRUZIONI S.C.AR.L., (c.f./p.i. (OMISSIS)), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA COLA DI RIENZO 28, presso l’avvocato GIOVANNI DORIA,

che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CITTA’ METROPOLITANA DI ROMA CAPITALE, succeduta all’AMMINISTRAZIONE

PROVINCIALE DI ROMA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 119-A,

presso l’AVVOCATURA della CITTA’ METROPOLITANA di ROMA CAPITALE,

rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMILIANO SIENI, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 774/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2016 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato GIOVANNI DORIA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato MASSIMILIANO SIENI che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

RUSSO Rosario. che ha concluso per il rigetto del ricorso con

compensazione delle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. – Con atto notificato il 23 giugno 1998 CoopCostruzioni S.c.a.r.l. ha convenuto in giudizio la Provincia di Roma dinanzi al Tribunale di Roma e, dopo aver premesso che Edilfornaciai S.r.l.

aveva stipulato con l’ente convenuto, in esito ad apposita gara, a seguito di aggiudicazione del 2 agosto 1989, vistata dal C.C.A.E.L. della Regione Lazio il 2 ottobre 1989, un contratto di appalto del 26 marzo 1991 per la costruzione di un edificio scolastico, costruzione ultimata il 3 settembre 1994, ha chiesto la condanna dell’ente convenuto: a) al risarcimento dei danni determinati dalla illegittima sospensione dei lavori disposta il 23 febbraio 1991; b) al pagamento degli interessi per il ritardo occorso nella corresponsione dell’anticipazione e degli acconti del corrispettivo; c) al pagamento dell’importo dovuto a titolo di revisione prezzi.

p.2. – Nel contraddittorio con la Provincia di Roma, il Tribunale adito, con sentenza del 12 maggio 2005, ha accolto la domanda proposta dalla società attrice soltanto con riguardo al capo concernente gli interessi su anticipazione e acconti sul corrispettivo, rigettandola per il resto.

p.3. Contro la sentenza CoopCostruzioni S.c.a.r.l. ha proposto appello al quale la Provincia appellata ha resistito.

L’impugnazione è stata respinta dalla Corte d’appello di Roma con sentenza del 22 febbraio 2010.

A fondamento della decisione la Corte territoriale ha, per quanto ancora rileva, osservato quanto segue:

-) che la sospensione dei lavori era addebitabile a responsabilità dell’appaltatrice, in conseguenza della necessità di redigere un progetto di variante in relazione alla erronea progettazione delle fondazioni, originariamente previste come fondazioni a platea, richiedendosi invece fondazioni a pali, senza che al riguardo potesse assumere rilievo, nei rapporti tra le parti, una eventuale culpa in vigilando della committente, che aveva scelto il progetto presentato dall’impresa, nonostante l’inidoneità delle fondazioni a platea;

-) che correttamente il Tribunale aveva escluso la prova del danno derivante dalla illegittima protrazione della sospensione dei lavori, dal momento che, pur essendo stata consegnata l’area di cantiere, nessuna installazione risultava essere stata eseguita in loco;

-) che non poteva condividersi l’assunto della società appellante, secondo cui il danno conseguito alla sospensione, danno in tesi determinato dall’installazione del cantiere poi rimasto fermo, doveva desumersi dalla brevità del tempo entro cui era stata predisposta la perizia di variante, nonchè dalla circostanza delle trattative intercorse tra le parti, dal momento che le trattative si erano svolte in vista di una transazione, e che non era possibile determinare l’entità di danni per un fermo di cantiere, ancorchè con una dotazione minimale, in mancanza di alcun elemento per desumere che tale dotazione vi fosse e quale fosse la sua consistenza;

-) che correttamente il Tribunale aveva affermato la decorrenza degli interessi sul compenso revisionale dalla data di stipula del contratto, in forza della disciplina negoziale convenuta sul punto tra le parti, dal momento che, contrariamente a quanto sostenuto dalla società appellante, la L. n. 41 del 1986, art. 33, unitamente alla L. n. 37 del 1970, art. 2, dettava una disciplina inderogabile soltanto per quanto concernente le clausole contrattuali dirette a vincolare la pubblica amministrazione committente al riconoscimento del diritto alla revisione, essendo perciò valida la previsione pattizia che ancorava il termine a quo per il calcolo degli interessi sul compenso revisionale alla data di conclusione del contratto di appalto.

p.4. – CoopCostruzioni S.c.a.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

La Provincia di Roma ha resistito con controricorso seguito da memoria depositata dalla Città Metropolitana Roma Capitale succeduta ex lege alla Provincia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.5. – Il ricorso contiene tre motivi.

p.5.1. – Il primo motivo è svolto sotto la rubrica: “Falsa applicazione della L. 22 febbraio 1973, n. 37, art. 2, e L. 28 febbraio 1986, n. 41, art. 33. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, decisivo per il giudizio”.

Il motivo, in breve, è volto a sostenere che la sentenza impugnata sarebbe inficiata sia da violazione di legge che da vizio motivazionale nella parte in cui aveva affermato la derogabilità della disciplina legale della revisione prezzi all’epoca vigente, basandosi sull’errata lettura di un precedente di questa Corte, ossia Cass. 14 novembre 2005, numero 22.903, dovendo essere il compenso revisionale calcolato a far data dall’aggiudicazione del 2 agosto 1989-2 ottobre 1989.

p.5.2. – Il secondo motivo è svolto sotto la rubrica: “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, decisivo per il giudizio. Violazione, falsa ed errata applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c.”.

Sostiene la società ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva interpretato la tesi difensiva di essa appellante, che aveva fatto leva sulla particolare rapidità dell’esecuzione della perizia di variante determinata dalla iniziale inidoneità del progetto, perizia realizzata in soli 44 giorni, al fine di trarne argomento di dimostrazione dell’esistenza in loco di una dotazione e organizzazione di cantiere a seguito della consegna dei lavori, avvenuta il 19 dicembre 1990, come se CoopCostruzioni S.c.a.r.l.

avesse inteso attribuire a detta circostanza un valore di prova piena del danno patito, mentre la circostanza aveva un rilievo indiziario che, tuttavia, il giudice di merito aveva mancato di considerare.

p.5.3. – Il terzo motivo è svolto sotto la rubrica: “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, decisivo per il giudizio. Violazione, falsa ed errata applicazione dell’art. 1321 c.c. e ss., e art. 1362 e ss.. Violazione dell’art. 1374 c.c.”.

Il motivo attiene alla legittimità della sospensione dei lavori disposta in dipendenza dell’inidoneità del progetto, che prevedeva fondazioni a platea in luogo di fondazioni a pali, e si appunta sulla circostanza che la commissione tecnica designata dalla Provincia di Roma per valutare i progetti, aveva scelto proprio quello di Edilfornaciai S.r.l., che prevedeva fondazioni a platea, scartando l progetto di un’altra società concorrente che prevedeva invece una fondazione a pali. Dopodichè, sostiene la società ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente attribuito all’amministrazione committente poteri di vigilanza o di controllo, mentre l’ineseguibilità del programma negoziale derivante da un progetto inadeguato doveva ritenersi imputabile in tutto o in parte all’amministrazione.

p.6. – Il ricorso va respinto.

p.6.1. – E’ infondato il primo motivo.

Questa Corte ha più volte ribadito che la L. 22 febbraio 1973, n. 37, art. 2, secondo cui: “Per tutti i lavori affidati o appaltati dalle amministrazioni o aziende dello Stato…la facoltà di procedere alla revisione dei prezzi è ammessa, secondo le norme che la regolano, con esclusione di qualsiasi patto contrario o in deroga”, ha vietato in materia ogni genere di patti in deroga, sicchè eventuali pattuizioni dirette (ad escludere o, all’opposto) a rendere obbligatoria la revisione in difformità dal regime legale sono da ritenersi radicalmente nulle, attesa l’imperatività della norma in esame (Cass., Sez. Un., 2 giugno 1997, n. 4906; Cass. 14 maggio 1998, n. 4873; Cass. 10 agosto 2000, n. 560; Cass. 14 giugno 2000, n. 8105; Cass. 27 giugno 2000, n. 8711).

In particolare, Cass. 24 febbraio 1994, n. 1876, ha affermato che il citato art. 2, sta a significare che “la facoltà dell’amministrazione appaltante (o concedente) di procedere alla revisione dei prezzi non ammetteva, sotto qualsiasi profilo, deroghe pattizie, nel senso, esplicitando, che la revisione non poteva essere preventivamente esclusa o, all’opposto, resa obbligatoria, nè essere regolata con modalità difformi, in tutto o in parte, dal regime legale. Di qui la nullità (attesa la pacifica imperatività della norma sotto esame) delle pattuizioni derogative (sostituite, perciò, di diritto, ex art. 1339 c.c., dalla disciplina legale), quale che ne fosse il contenuto e, quindi, anche se attinenti non all’an ma al quantum della revisione e, in particolare, alla base del relativo computo, dato che l’art. 2 cit., rinviando, senza distinzione alcuna, alle norme (tutte) che regolavano l’istituto, non consentiva di degradare a norme dispositive quelle riguardanti il modo di determinare l’importo revisionale”.

Erroneamente, dunque, la Corte territoriale ha ritenuto che la norma in discorso comportasse l’invalidità delle sole clausole contrattuali dirette a vincolare la pubblica amministrazione committente al riconoscimento del diritto alla revisione.

Nondimeno il motivo spiegato va disatteso, mentre la sentenza impugnata va sul punto confermata, sebbene con diversa motivazione.

Il fatto è che l’assunto della società ricorrente, come sintetizzato in espositiva, muove dalla premessa che essa si sarebbe resa aggiudicataria dell’appalto in data 2 agosto 1989 – 2 ottobre 1989, mentre il contratto sarebbe stato poi stipulato il 26 marzo 1991: in effetti, però, la stessa ricorrente chiarisce poi, a pagina 4 del ricorso, che quella del 2 agosto 1989-2 ottobre 1989 altro non era se non l’aggiudicazione provvisoria, senza, peraltro, che dal ricorso emerga la data di quella definitiva. Sicchè, nello svolgere il primo motivo, in particolare alle pagine 9 – 11, CoopCostruzioni S.c.a.r.l. ha affrontato il vero punto nodale della tesi sulla quale il ricorso si fonda, tesi secondo cui l’aggiudicazione cui ha tratto la L. n. 41 del 1986, art. 33, in forza del quale la revisione prezzi è ammessa a “decorrere dal secondo anno successivo alla aggiudicazione”, sarebbe – in caso di distinzione tra l’una e l’altra – l’aggiudicazione provvisoria e non quella definitiva: difatti, secondo la stessa ricorrente, la tipica funzione riequilibratrice della revisione prezzi sarebbe tradita da una lettura della norma che ancorasse la revisione prezzi all’aggiudicazione definitiva, giacchè, in tal caso, il calcolo non potrebbe tener conto delle variazioni intercorse tra il momento in cui l’offerente abbia effettuato la propria offerta e l’aggiudicazione definitiva.

Tale tesi, tuttavia, non può essere condivisa.

Ed invero, per opinione comunemente accolta, dall’aggiudicazione provvisoria non sorge in capo all’impresa aggiudicataria un diritto pieno alla formazione del contratto, bensì un interesse legittimo, ovvero una mera aspettativa alla conclusione del procedimento.

Secondo la giurisprudenza, dunque, l’aggiudicazione provvisoria ha la natura giuridica di un atto endoprocedimentale, inserendosi nell’ambito della procedura di scelta del contraente come un momento necessario ma non decisivo (Cons. St., sez. 4^, 31 ottobre 2006, n. 6456). E, difatti, è prevista, in generale, un’ulteriore attività di verifica da parte dell’amministrazione non solo in merito alla regolarità della procedura, ma estesa anche all’opportunità e alla convenienza di questa. Solo in caso di esito positivo l’amministrazione perviene all’aggiudicazione definitiva. Non può pertanto dubitarsi che la definitiva individuazione del contraente si stabilizzi soltanto con l’aggiudicazione definitiva che, costituisce l’effettivo atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, che segna l’incontro della volontà della pubblica amministrazione e del privato espressa in sede di offerta.

In tal senso questa corte ha di recente chiarito che, in tema di pubblici appalti, l’aggiudicazione provvisoria ha, come si diceva natura di atto endoprocedimentale, che, quantunque generi tra le parti situazioni giuridiche preliminari tutelabili in sede giurisdizionale, non può mai determinare l’instaurazione del rapporto contrattuale finale tra la stazione appaltante e l’aggiudicatario, potendo tale risultato raggiungersi solo con l’aggiudicazione definitiva, che non è atto meramente confermativo o esecutivo ma è un provvedimento affatto autonomo e diverso rispetto all’aggiudicazione provvisoria anche quando ne recepisca interamente contenuti (Cass. 25 maggio 2015, n. 10750).

Posta la distinzione tra aggiudicazione provvisoria ed aggiudicazione definitiva, non può revocarsi in dubbio che la L. n. 41 del 1986, art. 33, si riferisca all’aggiudicazione definitiva, come si desume dall’indirizzo giurisprudenziale formatosi in materia, sebbene il particolare punto oggetto dell’odierna controversia non risulti essere stato specificamente esaminato.

E’ stato difatti già osservato (Cons. St., Sez. 5^, 1 ottobre 2002, n. 5122) che l’art. 33, comma 3, citato, nel testo vigente fino alla sua abrogazione operata dal D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 3, convertito in L. 8 agosto 1992, n. 359, stabiliva che: “Per i lavori di cui al precedente comma 2”, ossia per “i lavori relativi ad opere pubbliche da appaltarsi, da concedersi o da affidarsi dalle Amministrazioni e dalle Aziende dello Stato, anche con ordinamento autonomo, dagli enti locali o da altri enti pubblici”, “aventi durata superiore all’anno, la facoltà di procedere alla revisione dei prezzi”, esclusa dal comma 2, “è ammessa, a decorrere dal secondo anno successivo alla aggiudicazione e con esclusione dei lavori già eseguiti nel primo anno e dell’intera anticipazione ricevuta, quando l’Amministrazione riconosca che l’importo complessivo della prestazione è aumentato o diminuito in misura superiore al 10 per cento per effetto di variazioni dei prezzi correnti intervenute successivamente alla aggiudicazione stessa. Le variazioni dei prezzi da prendere a base per la suddetta revisione per ogni semestre dell’anno sono quelle, rilevate, rispettivamente, con decorrenza 1 gennaio e 1 luglio di ciascun anno”.

La norma prendeva dunque in considerazione l’aggiudicazione per due volte, quale evento dal cui verificarsi far decorrere i periodi di tempo rilevanti in sede applicativa: una prima volta, l’aggiudicazione era il momento dal quale andava computato il primo anno di durata del rapporto contrattuale al fine di escluderlo dalla revisione dei prezzi; una seconda volta, l’aggiudicazione era il fatto che segnava il termine iniziale del periodo al quale far riferimento per l’individuazione delle variazioni dei prezzi da prendere a base per la suddetta revisione.

La stessa disposizione non prendeva viceversa in considerazione nè l’offerta, nè altra scansione della fase procedimentale che preludesse all’aggiudicazione definitiva e alla conseguente stipulazione del contratto: e che, anzi, si confonde con detta stipulazione, giacchè: 1) il verbale o altro provvedimento di aggiudicazione è atto non preparatorio, ma conclusivo del procedimento, ed è equivalente, per ogni effetto, al contratto; 2) l’eventuale successiva stipulazione di quest’ultimo configura una formalità ulteriore, che nulla aggiunge all’esistenza ed alla perfezione del vincolo negoziale: a meno dell’ipotesi che dallo stesso verbale o dal bando di gara risulti la volontà dell’amministrazione di rinviare la costituzione del vincolo al momento successivo della stipulazione del contratto (da ultimo Cass. 4 marzo 2011, n. 5217).

La tesi sostenuta dalla ricorrente, pertanto, è priva di qualunque base testuale. E, a conferma dell’erroneità della soluzione prospettata con il motivo in esame sta d’altronde la considerazione che, dal momento che la revisione prezzi tende a ristabilire il rapporto sinallagmatico tra la prestazione dell’appaltatore e la controprestazione dell’Amministrazione, adeguando il corrispettivo alle variazioni dei prezzi di mercato qualora questi superino la soglia prevista dall’alea contrattuale come determinata dalla legge, essa può operare soltanto dopo che il rapporto contrattuale sia sorto, e cioè non prima dell’aggiudicazione definitiva.

Senza considerare le conseguenze abnormi dell’interpretazione disattesa comportanti, per un verso, l’inappicabilità della norma alle tipologie di appalti pubblici, come la trattativa privata in cui non concepibile un’aggiudicazione provvisoria, nonchè alle gare in cui l’amministrazione non ritenga di farvi ricorso (con la conseguente alternativa che in entrambe le fattispecie, peraltro riguardanti la totalità quasi degli appalti pubblici, dovrebbe essere rimessa alla discrezionalità del giudice e per esso al c.t. –

la ricerca di un momento endoprocedimentale sostitutivo, da cui far decorrere la richiesta variazione dei prezzi). E per altro verso l’attribuzione all’unico termine “aggiudicazione”, per due volte usato nell’unica proposizione del terzo comma, di un significato differente in ciascuna delle due indicazioni (la prima riferibile all’aggiudicazione definitiva e la seconda a quella provvisoria): in contrasto perfino con il tenore letterale dell’aggettivazione “stessa” che qualifica il secondo riferimento escludendone espressamente la possibilità di un significato diverso dal primo.

Sicchè deve affermarsi il principio secondo cui, ai fini della revisione prezzi, nel quadro di applicazione della L. 28 febbraio 1986, n. 41, art. 33, nessuna rilievo riveste l’aggiudicazione provvisoria ed il tempo eventualmente intercorrente tra essa e l’aggiudicazione definitiva e/o la stipulazione del contratto.

Tale essendo la regula iuris da applicare, il dispositivo pronunciato dalla Corte territoriale risulta perfettamente conforme a diritto –

con la precisazione che, come si è già evidenziato, non risulta in questo caso che vi sia stata una cesura temporale tra aggiudicazione definitiva e stipulazione del contratto, nè tantomeno emerge dagli atti l’ipotetica entità di essa -, con la correzione motivazionale ai sensi dell’art. 384 c.p.c., che si è qui sopra svolta.

p.6.2. – I1 secondo motivo inammissibile.

La Corte d’appello, la quale non risulta affatto aver ritenuto che la circostanza della brevità dell’arco temporale di realizzazione del progetto di variante fosse stata dedotta quale prova diretta che l’installazione del cantiere, ha spiegato in modo sintetico, ma sufficientemente chiaro, che tale brevità non dimostrava affatto che, all’epoca della disposta sospensione dei lavori, il cantiere fosse stato già impiantato, sicchè il suo fermo avesse determinato un pregiudizio alla stessa appaltatrice.

In particolare, la Corte territoriale ha osservato che detto pregiudizio non poteva essere parametrato neppure al fermo di un cantiere con una dotazione minimale, mancando ogni elemento dal quale desumere che una simile dotazione vi fosse e, in ogni caso, quale fosse la sua consistenza. In tal modo il giudice di merito ha con tutta chiarezza escluso che dalla brevità del tempo impiegato per la realizzazione del progetto di variante – fatto noto comprovato CoopCostruzioni S.c.a.r.l. – potesse risalirsi al fatto che la società intendeva provare, ossia all’effettiva esistenza, oltre che alla consistenza, del cantiere.

Siffatto ragionamento è evidentemente conforme al modello descritto dall’art. 2727 c.c., ed è come tale incensurabile in sede di legittimità, salvo che per il difetto di adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (Cass. 26 novembre 2008, n. 28224; Cass. 28 ottobre 2014, n. 22801).

E, nel caso in esame, la società ricorrente si è semplicemente limitata a sostenere che la Corte d’appello non avrebbe considerato il rilievo presuntivo della circostanza esposta, ma non ha addotto elementi critici volti a dimostrare l’erroneità del ragionamento –

peraltro plausibilissimo secondo cui la breve durata del tempo di realizzazione del nuovo progetto non consentiva di ritenere accertato che il cantiere fosse stato già installato.

In definitiva CoopCostruzioni S.c.a.r.l. ha soltanto riproposto la propria lettura concernente il rilievo dell’elemento istruttorio addotto – la brevità del tempo impiegato per la realizzazione del progetto di variante -, alternativa a quella datane dal giudice di merito e, come tale, non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte.

p.6.3. – Anche il terzo motivo inammissibile.

La doglianza si appunta in effetti su un elemento di rilievo meramente lessicale, traendone una ricostruzione che non corrisponde alla ratio decidendi posta a sostegno della decisione impugnata, ossia il passaggio motivazionale con cui la Corte d’appello, nell’escludere una qualche responsabilità dell’amministrazione per aver approvato il progetto che prevedeva fondazioni a platea anzichè a pali, ha ipotizzato una sua culpa in vigilando, irrilevante nei rapporti tra le parti.

Da ciò la società ricorrente ha ritenuto di poter desumere che la Corte d’appello avesse attribuito all’amministrazione poteri di vigilanza e controllo che, al contrario, essa non aveva: ma, con tutta evidenza, il senso del ragionamento della Corte d’appello è ben diverso, e si risolve in ciò, che l’eventuale colpa dell’amministrazione nel non avvedersi tempestivamente che la fondazione a platea era inidonea, occorrendo quella a pali, non aveva avuto efficienza causale alcuna nel prodursi della sospensione, la quale doveva invece essere interamente ricondotta proprio, e solo, all’inidoneità del progetto inizialmente realizzato da Edilfornaciai S.r.l. e, come tale, ad essa soltanto addebitabile.

Tale essendo la ratio decidendi adottata dalla sentenza impugnata, e considerando che essa non è stata correttamente ricostruita dal ricorrente per cassazione, il motivo, come si è premesso, è inammissibile per difetto dell’indispensabile requisito di specificità insito nella previsione dettata dall’art. 360 c.p.c..

p.7. – Le spese seguono la soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio, liquidate in complessivi Euro 13.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed il resto per compenso, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2016

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