Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11576 del 26/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 26/05/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 26/05/2011), n.11576

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18000-2009 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difeso

dall’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LUCREZIO CARO 63, presso lo studio dell’avvocato ST. ZOPPI G. PESELLI

ANTONIO, rappresentata e difesa dall’avvocato RIMMAUDO GIOVANNI,

giusta delega in atti;

OBIETTIVO LAVORO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 1,

presso lo studio dell’avvocato ZINCONE ANDREA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato BAROZZI SERGIO, giusta delega in

atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 543/2008 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 16/07/2008 rgn. 1296/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2 011 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega PAOLO TOSI;

udito l’Avvocato ZINCONE ANDREA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 16 luglio 2008, la Corte d’Appello di Genova accoglieva il gravame svolto da B.L. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di accertamento dell’esistenza di un rapporto a tempo determinato con Poste italiane spa non ricorrendo alcuna delle eccezionali ipotesi di conversione del contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo e del contratto di prestazione di lavoro temporaneo.

2. La Corte territoriale puntualizzava che:

B. aveva adito il giudice di primo grado esponendo di esser stata in servizio presso la sede di (OMISSIS) delle Poste dal 20.3.2003 e malgrado ciò il 24.3.2003 le veniva fatto stipulare un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo con Obiettivo Lavoro, società di fornitura di lavoro temporaneo seri, per lavorare per Poste italiane presso la sede di (OMISSIS) dal 20.3.2003 al 30.4.2003, ai sensi della L. n. 196 del 1997, art. 3, comma 1, lett. a) contratto successivamente prorogato fino al 30.9.2003, per espletare mansioni di postino portalettere, precisando che la sua assunzione era stata effettuata per soddisfare le esigenze di carattere temporaneo dell’impresa utilizzatrice nel cui interesse e sotto le cui direttive e controllo effettuerà la prestazione e deducendo di aver sempre svolto attività di portalettere in posti di fatto rimasti vacanti per pensionamento, trasferimento, infortunio dei titolari;

– risultava in atti un fax inviato da Obiettivo lavoro a Poste italiane, inviato il 24.3.2003, nel quale la società di fornitura chiedeva a Poste di far sottoscrivere il contratto “per prestazioni di lavoro temporaneo”, onde la lavoratrice non poteva aver sottoscritto tale contratto in data anteriore all’inizio della prestazione con Poste, il 20.3.2004, come indicato nelle buste paga;

– prima dell’inizio della prestazione di lavoro per poste, non risulta che tra OL e la lavoratrice via sia stata una definizione contrattuale delle modalità della prestazione, seppure verbale, per essere state le condizioni della prestazione definite e individuate solo con Poste al momento dell’inizio della prestazione;

– il caso di specie era fuori dall’ambito di applicazione della normativa sul lavoro temporaneo ed il rapporto è sorto direttamente con Poste, con le caratteristiche, fin dall’inizio, del rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

nè rilevava la sottoscrizione da parte della lavoratrice dei moduli sottopostile da OL, nè il contratto di fornitura tra Poste e OL, res inter alios acta per la lavoratrice;

– rimanevano assorbiti l’esame della legittimità della proroga, posta nel nulla dalla pregressa natura del rapporto a tempo indeterminato e il motivo di appello sull’insussistenza delle ragioni addotte a fondamento dell’assunzione;

– le retribuzioni maturate dovevano essere corrisposte a titolo di indennità risarcitoria dalla data del 4.2.2.004, data nella quale Poste riceveva la raccomandata con la richiesta di riassunzione nel posto di lavoro, mettendo a disposizione le proprie energie lavorative.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, Poste italiane spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi. Le intimate hanno resistito con controricorso, eccependo, B., l’improponibilità ed inammissibilità del ricorso;

Obiettivo lavoro spa rinammissibilità del ricorso perchè estranea ai motivi proposti e al giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2126 c.c., L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 2 (art. 360 c.p.c., n. 3) formulando due quesiti di diritto con i quali si chiede alla Corte di dire se la sentenza abbia violato: a) i citati artt. 2094 e 2126 c.c., nel ritenere costituito un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in capo all’utilizzatore di una prestazione di fatto solo in forza della prestazione stessa, sebbene accettata quale prestazione di lavoro temporaneo a valle di un contratto scritto di fornitura di lavoro temporaneo (ed in mancanza di un contratto scritto di prestazione);

b) la L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 2 nel ritenere la norma applicabile solo qualora sussista un contratto orale.

5. Con il secondo motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) per aver la Corte ritenuto provata , senza alcun riscontro documentale e probatorio e senza esporre alcuna argomentazione al riguardo, l’assenza di una definizione contrattuale, quanto meno orale, tra fornitore e lavoratore precedente l’inizio della missione.

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile in quanto proposto dopo il decorso del termine previsto dall’art. 327 c.p.c.. Ai sensi dell’art. 327 c.p.c., comma 10, infatti, indipendentemente dalla notificazione della sentenza, il ricorso per cassazione non può essere proposto dopo decorso un anno dalla pubblicazione della sentenza. Il termine annuale di impugnazione previsto dall’art. 327 c.p.c. (insuscettibile di sospensione feriale nelle controversie in materia di lavoro e previdenziali) è stabilito a pena di decadenza, insanabile e rilevabile d’ufficio, in quanto i termini di impugnazione sono fuori dalla disponibilità delle parti, così che il regime delle preclusioni vigente in materia non può essere superato nemmeno per acquiescenza della controparte (cfr. Cass. 6542/98, Cass. 4502/96, Cass. 2203/96, Cass. 12141/95). Tale termine decorre in ogni caso dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, senza che rilevi il giorno della comunicazione che di tale deposito il cancelliere da alle parti, ex art. 133 c.p.c., comma 2, atteso che l’ampiezza del termine annuale consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta in rebus suis, dovendo pertanto ritenersi manifestamente infondato qualsiasi profilo di supposta illegittrmità costituzionale dell’art. 327 c.p.c. per contrasto con l’art. 3 o con l’art. 24 Cost. (cfr. Cass. 15778/2007, Cass. 16311/2004, Cass. 11910/2003, Cass. 486/2003, Cass. 9665/98).

2. Inoltre, per il computo dei termini a mese o ad anno si osserva il calendario comune, facendo riferimento al nome e al numero attribuiti, rispettivamente, a ciascun mese e giorno; ne consegue, in particolare, che la scadenza del termine annuale per l’impugnazione delle sentenze – nelle controversie, come quelle di lavoro, a cui non è applicabile la sospensione feriale dei termini – coincide con lo spirare del giorno (dell’anno successivo) avente la stessa denominazione, quanto a mese e numero, di quello in cui la sentenza è stata depositata (Cass. 23479/2007).

3. Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 24 luglio 2009, n. 17352 hanno enunciato, in tema di notificazione degli atti processuali, il principio secondo cui qualora la notificazione dell’atto, da effettuare entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha l’onere – anche per il principio della ragionevole durata del processo, atteso che remissione di un provvedimento giudiziale con la fissazione di un nuovo termine perentorio allungherebbe i termini del giudizio – di chiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempre che la ripresa del medesimo sia avvenuta entro un termine ragionevolmente convenuto, tenuti presenti i tempi necessari, secondo la comune diligenza, per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori.

4. Nella specie, l’intervallo temporale tra la prima notificazione, nel mese di luglio del 2009, del ricorso per cassazione avverso sentenza pubblicata il 16 luglio 2008, non andata a buon fine per essere risultato trasferito il domiciliatario, e la successiva notificazione, il 22 settembre 2009, induce il Collegio ad escludere che la ripresa del procedimento notificatorio si sia informata al termine ragionevole indicato dal dictum delle Sezioni unite.

5. Il ricorso proposto nei confronti del lavoratore va, pertanto, dichiarato inammissibile per tardività della notificazione.

6. Anche il ricorso nei confronti della società Obiettivo Lavoro va dichiarato inammissibile per l’estraneità, della predetta società, alla materia del contendere.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dei resistenti, liquidate per ciascuno di essi in Euro 15,00 oltre 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 31 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2011

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