Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11576 del 03/05/2021

Cassazione civile sez. I, 03/05/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 03/05/2021), n.11576

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6765/2019 proposto da:

O.K., rappresentato e difeso dall’Avv. Gianluca Vitale,

per delega in calce al ricorso per cassazione ed elettivamente

domiciliato presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di TORINO n. 285/2019 depositato in

data 14 gennaio 2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

3/12/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con decreto del 14 gennaio 2019, il Tribunale di Torino ha rigettato il ricorso proposto da O.K., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il ricorrente ha dichiarato di avere lasciato il paese, insieme alla sorella, a seguito di un conflitto tra la comunità (OMISSIS) e la comunità (OMISSIS) legato alla proprietà di alcuni terreni; che nel corso di detti scontri il fratello maggiore era stato ucciso e che, temendo per la propria vita, lui e la sorella si erano rifugiati prima a (OMISSIS), poi in Libia e, infine, in Italia.

3. Il Tribunale ha ritenuto il racconto del richiedente non credibile e lacunoso; che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, tenuto conto anche della situazione del paese di provenienza alla luce delle fonti richiamate e che non sussistevano situazioni afferenti a beni primari della persona, nè era decisiva la documentazione medica prodotta, risalente al (OMISSIS), non essendo state allegate specifiche esigenze di cura; anche la relazione dei servizi sociali, che dava atto della frequenza di corsi scolastici; la relazione attestante la partecipazione ad attività di volontariato e i certificati di frequenza di corsi scolastici, erano incisivi, in assenza di altri elementi di valutazione.

4. O.K. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a quattro motivi.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente solleva la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) e art. 21, comma 1, così come convertito dalla L. n. 46 del 2017, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 77 Cost., comma 2, per mancanza dei presupposti di necessità e urgenza nell’emanazione dello stesso decreto legge, per quanto concerne il differimento dell’efficacia temporale e, quindi, dell’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale.

1.1 Già questa Corte, con motivazione condivisibile che qui si richiama, ha ritenuto la questione prospettata manifestamente infondata, in ragione del fatto che è privo di fondamento logico l’assunto del ricorrente secondo cui la previsione di un termine di 180 giorni per l’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale denoterebbe l’insussistenza del requisito di urgenza per l’adozione dello strumento del decreto legge, dal momento che l’esigenza di un intervallo temporale perchè possa entrare a regime una complessa riforma processuale, quale quella in discorso, non esclude affatto che l’intervento di riforma sia caratterizzato dal requisito dell’urgenza (Cass., 5 luglio 2018, n. 17717; Cass., 5 novembre 2018, n. 28119).

Peraltro, poichè la questione sollevata investe il corretto esercizio della funzione normativa primaria, i giudici delle leggi hanno affermato che “la sindacabilità dei presupposti in relazione all’art. 77 Cost., della scelta del Governo di intervenire con decreto-legge va limitata ai soli casi di evidente mancanza dei presupposti in questione o di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della relativa valutazione” (Corte Costituzionale, sentenza 10 ottobre 2017, n. 236).

2. Con il secondo motivo il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 35 bis del D.Lgs. n. 25 del 2008, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1; art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5, art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo parametro così come integrato dall’art. 46, paragrafo 3, della Direttiva 32/2013 e dagli artt. 6 e 13 della CEDU; per quanto concerne la previsione del rito camerale ex artt. 737 c.p.c. e segg. e relative deroghe espresse dal legislatore, nelle controversie in materia di protezione internazionale.

2.1 Anche in questo caso, la Corte, con motivazione condivisibile che qui si richiama, ha ritenuto la questione prospettata manifestamente infondata, in ragione del fatto che il rito camerale previsto dall’art. 737 c.p.c., rito previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio pure nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (Cass., 28 ottobre 2020, n. 23780; Cass., 5 luglio 2018, n. 17717).

La Corte di Cassazione ha, peraltro, ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35 bis, richiamato, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., anche nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Cass., 30 ottobre 2018, n. 27700).

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3 e art. 27, comma 1 bis; D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6 e art. 16, Direttiva 2013/32/UE; falsa applicazione di norme di diritto; violazione dei criteri legali per la valutazione della credibilità del richiedente, essendosi limitato il Tribunale a semplici speculazioni e a valutare da un punto di vista soggettivo le dichiarazioni rese dal richiedente senza ricercare alcun tipo di riscontro esterno inattendibilità.

3.1 Il motivo è infondato.

3.2 Occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del Giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 3, lett. c)), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, “non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda” (Cass. 14 novembre 2017, n. 26921).

Alla luce di quanto sopra è evidente che il dovere del Giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente, anche se non suffragato da prove, richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano “considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. c) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. e).

Inoltre, la difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti, prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3, comma 5, non impone affatto al Giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incredibile e fantasioso, anche perchè i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3, sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al Giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, ed è sufficiente richiamare i concetti di coerenza, plausibilità (lett. c) e attendibilità (lett. e) che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale. Quanto poi al dovere di cooperazione istruttoria del Giudice, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass., 27 giugno 2018, n. 16925).

3.3 Ciò posto, il Tribunale, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, non ha violato i suddetti principi, nè è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo ritenuto generiche le allegazioni e carente di dettagli la narrazione dei fatti sottesi alla decisione di lasciare la Nigeria, mettendo in evidenza inoltre, con motivazione che non è stata censurata specificamente dal ricorrente, la lacunosità delle allegazioni del richiedente in merito all’evolversi del conflitto che si sarebbe verificato tra le comunità (OMISSIS), al decesso del fratello e alla immediata decisione assunta con la sorella di lasciare il Paese e ciò alla luce del fatto che nella zona di provenienza del ricorrente non si erano registrati conflitti delle dimensioni tali da giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato e che non si erano rinvenute informazioni sull’esistenza di conflitti di analoga natura in un tempo successivo a quello dei fatti narrati, pure avendo riferito il richiedente che il conflitto tra le comunità (OMISSIS) sarebbe stato il primo del genere a verificarsi.

Il decreto impugnato, quindi, ha messo in evidenza numerose contraddizioni riguardanti aspetti rilevanti del racconto del richiedente la protezione e ha valutato la sostanziale “coerenza” e “plausibilità” del racconto, alla luce anche della situazione oggettiva del Paese di provenienza, quale ricavata dalle fonti internazionali, con un apprezzamento di fatto, peraltro, censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente, o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6; falsa applicazione di norme di diritto; violazione dei criteri legali per l’accertamento della condizione di violenza indiscriminata nel Pese di origine del richiedente e omessa istruttoria sulle condizioni di sicurezza del Paese e sulle vicende riguardanti il Sud del Paese da dove proveniva.

4.1 Il motivo è inammissibile perchè non si confronta con la ratio decidendi posta dal Tribunale a fondamento della decisione, laddove è stata affermata la mancata allegazione in ordine a situazioni afferenti a beni primari della persona, non individuabili nella ritenuta generica e lacunosa motivazione che il richiedente aveva addotto in relazione all’impossibilità di fare rientro nel Paese di origine.

La Corte di Cassazione ha più volte affermato che nell’ipotesi in cui la sentenza impugnata sia basata su plurime e distinte “rationes decidendi”, ciascuna di per sè sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, sussiste l’onere del ricorrente di impugnarle tutte, a pena di inammissibilità del ricorso (Cass., 18 aprile 2019, n. 10815).

4.2 Peraltro, il Tribunale, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, ha esaminato le vicende riguardanti il Sud del Paese della Nigeria a pag. 6 del provvedimento impugnato, evidenziando come numerose fonti (espressamente richiamate e aggiornate al 2018) rilevavano che non vi era una situazione di rischio effettivo di grave danno o di conflitto armato e di violenza generalizzata.

4.3 In ogni caso, il ricorrente, nel denunciare il vizio di violazione di legge con riguardo alla statuizione di diniego della protezione umanitaria, svolge doglianze generiche con riferimento alla situazione del paese di provenienza, sollecitando un’inammissibile rivalutazione degli accertamenti di fatto effettuata dal Tribunale, che ha, con adeguata motivazione, escluso, nel caso concreto, la sussistenza di fattori di vulnerabilità soggettiva ed oggettiva, anche mediante descrizione della situazione del Paese di origine del richiedente, con indicazione delle fonti.

E’ utile precisare che il fattore dell’integrazione sociale in Italia, peraltro genericamente allegato in ricorso, è recessivo, qualora difetti la vulnerabilità (Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459; Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455).

5. Il ricorso va, conclusivamente, rigettato.

Nulla sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2021

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