Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11575 del 03/05/2021

Cassazione civile sez. I, 03/05/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 03/05/2021), n.11575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5438/2019 proposto da:

I.K., rappresentato e difeso dall’Avv. Gianluca Vitale, per

delega in calce al ricorso per cassazione ed elettivamente

domiciliato presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di TORINO n. 6906/2018 depositato in

data 31 dicembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

3/12/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con decreto del 31 dicembre 2018, il Tribunale di Torino ha rigettato il ricorso proposto da I.K., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il ricorrente aveva dichiarato di essere di religione musulmana cristiana e di etnia (OMISSIS) e di avere lasciato il paese perchè alcuni uomini, appartenenti alla fazione politica opposta a quella del padre simpatizzante del partito (OMISSIS), e appoggiati dal Sindaco, volevano impossessarsi dei terreni del padre e avevano minacciato sia lui, che il padre; che egli, per timore, si era trasferito a (OMISSIS) per tre anni e poi aveva lasciato il paese dopo avere salutato suoi parenti.

3. Il Tribunale, dopo avere evidenziato che il richiedente aveva insistito sulla sola domanda di protezione umanitaria, ha rigettato la richiesta affermando che il contratto di lavoro prodotto (contratto di lavoro a tempo indeterminato per 24 ore con la mansione di “colf”), era stato stipulato con un connazionale nel (OMISSIS), mentre il richiedente era in Italia dal 2016, e che le condizioni di salute, come certificate dalla documentazione medica prodotta che attestava crisi epilettiche e come “sospetto piccolo male”, non erano così gravi da porre in pericolo la vita del richiedente.

4. I.K. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato ad un unico motivo.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e la violazione dei criteri legali per la concessione della protezione umanitaria, non rilevando che il rapporto di lavoro fosse stato formalizzato solo nel mese di (OMISSIS) e che il rapporto di lavoro era a tempo indeterminato e che dovevano essere tenute in considerazione anche le precarie condizioni di salute del richiedente che, pur non gravissime, lo esponevano al fondato timore di non potere ricevere alcuna cura ove fosse stato costretto a rientrare in Bangladesh.

1.1 Il motivo è inammissibile, poichè il Tribunale, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, ha evidenziato che gli elementi emersi non offrivano alcuna evidenza in ordine ad una peculiare situazione di vulnerabilità del ricorrente e che non assumeva valore decisivo il contratto di lavoro prodotto sia perchè era stato stipulato solo nel (OMISSIS), mentre il richiedente era in Italia dal 2016, sia perchè era stato stipulato con un connazionale e che le condizioni di salute, come certificate dalla documentazione medica prodotta – che attestava crisi epilettiche e come “sospetto piccolo male” – non erano così gravi da porre in pericolo la vita del richiedente.

1.2 A fronte di tali motivazioni, il ricorrente, nel denunciare il vizio di violazione di legge con riguardo alla statuizione di diniego della protezione umanitaria, ha svolto doglianze generiche, limitandosi ad una critica sterile indirizzata alla motivazione della sentenza, senza nulla aggiungere, in concreto, con riferimento alla posizione personale e ad una qualche situazione di vulnerabilità in grado di giustificare le ragioni umanitarie richieste per il permesso di soggiorno, sovrapponendo la sua valutazione a quella del Tribunale e nulla precisando in ordine alla impossibilità di ricevere cure avuto riguardo alla specifica malattia accertata, sollecitando un’inammissibile rivalutazione degli accertamenti di fatto effettuata dal Tribunale, che ha, con adeguata motivazione, affermato che non si era in presenza di patologie che mettevano in pericolo la vita del richiedente.

In proposito, questa Corte, con specifico riferimento al diritto alla salute, ha incluso il diritto alla salute nell’alveo dei diritti umani della persona ed ha affermato che, anche se la protezione umanitaria non può essere riconosciuta per il semplice fatto che lo straniero non versi in buone condizioni di salute, il rientro nel paese di provenienza può integrare la grave violazione dei diritti umani posta a base delle condizioni di vulnerabilità richieste dalla legge, ove nel Paese di origine il diritto alla salute, in relazione alla patologia allegata e dimostrata, non possa essere garantito (Cass. 27 novembre 2013, n. 26566).

In particolare, è stato affermato che il richiedente deve allegare in modo specifico le cattive condizioni di salute e l’assenza di condizioni di protezione dell’integrità psico-fisica nel Paese di origine (elemento cui deve seguire l’approfondimento istruttorio officioso del giudice), con l’ulteriore precisazione che la condizione di vulnerabilità riconducibile alla salute può non coincidere con quella che costituisce la ragione dell’allontanamento dal Paese di origine, non potendosi escludere un aggravamento o una manifestazione patologica in precedenza latente, essendo il giudizio ancorato all’attualità (Cass. 7 luglio 2014, n. 15466).

1.3 E ciò senza prescindere dall’ulteriore profilo di inammissibilità del motivo dedotto, atteso che il ricorrente non si confronta con tutte le specifiche ragioni del decidere poste dal Tribunale a fondamento della decisione, laddove il giudice di merito ha affermato da un lato che il contratto di lavoro di collaborazione domestica era stato stipulato con un connazionale e che le patologie certificate non erano tali da porre in pericolo di vita il richiedente.

1.4 La Corte di Cassazione ha più volte affermato che nell’ipotesi in cui la sentenza impugnata sia basata su plurime e distinte “rationes decidendi”, ciascuna di per sè sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, sussiste l’onere del ricorrente di impugnarle tutte, a pena di inammissibilità del ricorso (Cass., 18 aprile 2019, n. 10815).

2. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna I.K. alla rifusione, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2021

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