Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11573 del 03/05/2021

Cassazione civile sez. I, 03/05/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 03/05/2021), n.11573

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 760/2019 proposto da:

S.A.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Gianluca Vitale, in

virtù di procura in calce al ricorso per cassazione, elettivamente

domiciliato in Roma, via Torino, n. 7, presso lo studio legale

dell’Avv. Laura Barberio.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di TORINO n. 5802/2018 depositato in

data 15 novembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

3/12/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con decreto del 15 novembre 2018, il Tribunale di Torino ha rigettato il ricorso proposto da S.A.A., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il ricorrente aveva dichiarato che la sua famiglia aveva aperto un negozio, ma una comunità sciita che era nel villaggio pretendeva che il negozio fosse chiuso; che una domenica erano entrati nel negozio e avevano ucciso il fratello dando fuoco a tutto; per questa ragione tutta la famiglia si era trasferita a (OMISSIS) dove lui aveva trovato un lavoro in un negozio di abbigliamento per bambini; qui il fratello maggiore aveva ucciso l’ex marito della sorella, perchè il coniuge aveva divorziato lasciandola con un figlio, e i familiari del ragazzo ucciso, stante i dissidi tra le due famiglie, gli davano la caccia, essendo il fratello fuggito in Iran, fino a che un giorno aveva ricevuto dei colpi di pistola mentre era in moto; era così andato in Russia e poi era giunto in Italia.

3. Il Tribunale ha ritenuto il racconto del richiedente non credibile e contraddittorio, evidenziando che soltanto in sede di ricorso egli aveva prodotto una dichiarazione da cui risultava essere sciita e che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, tenuto conto anche della situazione del paese di provenienza alla luce delle fonti richiamate, nè quelli per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo il richiedente credibile e che la situazione del paese di origine non appariva così grave da porre la totalità dei suoi cittadini in condizioni di vulnerabilità; inoltre la recente assunzione del richiedente non integrava un adeguato grado di integrazione sociale e da sola non era comunque sufficiente.

4. S.A.A. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a due motivi.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3 e art. 27, comma 1 bis; D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6 e art. 16; Direttiva 2013/32/UE; falsa applicazione di norme di diritto e violazione dei criteri legali per la valutazione della credibilità del richiedente.

Il ricorrente si duole che il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto in relazione ad aspetti non connessi con le dichiarazioni rese e completamente marginali, quali la discordanza con il modello C3 dove le ragioni della fuga erano state ricondotte a motivazioni religiose e all’appartenenza ad una minoranza; l’essere di religione sciita, piuttosto che sunnita come indicato nel verbale; la discrasia dell’età e la data di rilascio del passaporto.

1.2 Il motivo è infondato.

1.3 Occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del Giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 3, lett. c)), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, “non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda” (Cass. 14 novembre 2017, n. 26921).

Alla luce di quanto sopra è evidente che il dovere del Giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente, anche se non suffragato da prove, richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano “considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. c) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. e).

Inoltre, la difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti, prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3, comma 5, non impone affatto al Giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incredibile e fantasioso, anche perchè i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3, sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al Giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, ed è sufficiente richiamare i concetti di coerenza, plausibilità (lett. c) e attendibilità (lett. e) che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale. Quanto poi al dovere di cooperazione istruttoria del Giudice, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass., 27 giugno 2018, n. 16925).

1.4 Ciò posto, il Tribunale, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, non ha violato i suddetti principi, nè è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo ritenuto esistenti numerose discrasie, alcune niente affatto secondarie, come quelle afferenti le motivazioni dell’allontanamento dal paese di origine e l’età e il luogo di nascita, mettendo in evidenza inoltre, con motivazione che non è stata censurata dal ricorrente, che era inverosimile che la famiglia del richiedente fosse stata discriminata per motivi religiosi nel villaggio natale stante che la stessa professava la religione maggioritaria e che soltanto in sede di ricorso era stato dedotto che il ricorrente fosse sciita, con la produzione di una certificazione che riscontrerebbe detta circostanza.

Il Tribunale ha precisato, inoltre, che, in sede di audizione in Commissione, il verbale era stato tradotto e riletto al richiedente che nulla aveva replicato.

Il decreto impugnato, quindi, ha messo in evidenza numerose contraddizioni riguardanti aspetti non secondari del racconto del richiedente la protezione e ha valutato la sostanziale “coerenza” e “plausibilità” del racconto, con un apprezzamento di fatto, peraltro, censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente, o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass., 5 febbraio 2019, 2019, n. 3340; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e successive modificazioni; difetto di motivazione, avendo il Tribunale richiamato in merito alla condizione generalizzata del Pakistan quanto già affermato al fine di negare la sussistenza di una condizione di violenza indiscriminata utile ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

2.1 Il motivo è inammissibile perchè non si confronta con la ratio decidendi posta dal Tribunale a fondamento della decisione, laddove ha affermato che in ragione della non credibilità del racconto del richiedente non poteva ritenersi esistente il rischio di subire una grave violazione dei diritti umani in caso di rientro nel paese di origine e che, in ogni caso, la situazione del paese di origine non appariva così grave da porre la totalità dei suoi cittadini in condizioni di vulnerabilità così significativa da giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2.2 La Corte di Cassazione ha più volte affermato che nell’ipotesi in cui la sentenza impugnata sia basata su plurime e distinte “rationes decidendi”, ciascuna di per sè sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, sussiste l’onere del ricorrente di impugnarle tutte, a pena di inammissibilità del ricorso (Cass., 18 aprile 2019, n. 10815).

2.3 In ogni caso, il ricorrente, nel denunciare il vizio di violazione di legge con riguardo alla statuizione di diniego della protezione umanitaria, svolge doglianze generiche con riferimento alla situazione del paese di provenienza, sollecitando un’inammissibile rivalutazione degli accertamenti di fatto effettuata dal Tribunale, che ha, con adeguata motivazione, escluso, nel caso concreto, la sussistenza di fattori di vulnerabilità soggettiva ed oggettiva, anche mediante descrizione della situazione del Paese di origine del richiedente, con indicazione delle fonti.

E’ utile precisare che il fattore dell’integrazione sociale in Italia, peraltro genericamente allegato in ricorso, è recessivo, qualora difetti la vulnerabilità (Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459; Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455).

3. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2021

 

 

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