Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11572 del 11/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 11/05/2017, (ud. 22/02/2017, dep.11/05/2017),  n. 11572

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22511-2011 proposto da:

CENTRO STUDI GB & LAGRANGE S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio degli

avvocati RENATO SCOGNAMIGLIO, CLAUDIO SCOGNAMIGLIO che la

rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ANTONINO SGROI, ENRICO MITTONI, CARLA D’ALOISIO, LELIO

MARITATO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 331/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 21/03/2011 R.G.N. 331/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Torino, con sentenza pubblicata in data 21 marzo 2011, ha rigettato l’appello proposto da Centro Studi Gb & Lagrange s.r.l. (di seguito solo Centro Studi) avverso la sentenza di primo grado, di rigetto delle domande di opposizione proposte dalla società contro il verbale d’ispezione compiuto il 28/2/2008 e la conseguente cartella di pagamento notificata nell’interesse dell’Inps il 25/11/2008, avente ad oggetto il pagamento dei contributi relativi al periodo ottobre 2005-dicembre 2007 e riguardanti diciannove insegnanti, con i quali erano stati stipulati altrettanti contratti di lavoro a progetto;

la Corte territoriale, nel condividere il giudizio espresso dal primo giudice, ha ritenuto che tali contratti fossero privi del carattere della specificità del progetto, non essendo individuabile un progetto o programma al quale essi avessero offerto un apporto con reale autonomia;

la società ha proposto ricorso per cassazione sostenuto da due motivi, al quale ha resistito con controricorso l’Inps.

Diritto

CONSIDERATO

che:

per la connessione che li lega, i due motivi vanno affrontati congiuntamente, e sono entrambi infondati;

non sussiste la denunciata violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 61 (posto in correlazione con gli artt. 2094, 2697, 2702 e 2720 c.c.);

con tale norma, nel testo vigente ratione temporis (ossia prima delle modifiche apportate al testo originario dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, e dai successivi interventi legislativi, fino alla sua definitiva abrogazione ad opera del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 52, comma 1), il legislatore ha introdotto un nuovo tipo contrattuale, volto a disciplinare le collaborazioni coordinate e continuative previste nell’art. 409 c.p.c., n. 3, prevedendone la stipulazione con un atto scritto, dal quale devono emergere la durata, determinata o determinabile, della collaborazione e la sua riconducibilità a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale, determinati dal committente ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione (Cass. 25/6/2013, n. 15922 e 29/5/2013, n. 13394);

il successivo art. 62 prevede che il contratto deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere “ai fini della prova” tutta una serie di elementi, quali l’indicazione della durata (lett. a), la “indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuata nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto” (lett. b); il corrispettivo (lett. c); le forme di coordinamento del lavoratore al committente (lett. d); le eventuali misure per la tutela della salute (lett. e);

per la giurisprudenza prevalente e parte della dottrina, i due termini “programma” e “progetto” costituiscono una endiadi, ossia un unico concetto espresso attraverso due diversi sostantivi, da interpretarsi nel senso di una specifica indicazione “di ciò che il committente intende realizzare”;

le due parole hanno quindi la funzione di indicare segmenti specifici dell’attività organizzata dal committente, definiti sia sotto il profilo strutturale che temporale;

tale indicazione è essenziale in quanto l’attività affidata con il lavoro a progetto deve svolgersi in piena autonomia, in funzione di un risultato determinato ed in coordinazione con l’organizzazione predisposta dal committente, anche sotto il profilo temporale;

il risultato diventa così un fattore chiave che giustifica l’autonomia gestionale del progetto o del programma di lavoro, sia nei tempi sia nelle modalità di realizzazione, e ciò perchè l’interesse del creditore è relativo al perfezionamento del risultato convenuto che, pur non necessariamente identificandosi in uno specifico opus, deve in ogni caso assumere una sua precisa connotazione, differenziandosi dalla mera disponibilità, da parte del committente, di una prestazione di lavoro eterodiretta, tipica del rapporto di lavoro subordinato;

conseguentemente, al committente viene richiesto di esplicitare ex ante, in forma scritta (su cui cfr. Cass. 19/4/2016, n. 7716), l’obiettivo che il contratto si prefigge di raggiungere ed il risultato della prestazione richiesta al collaboratore, che deve essere necessariamente rivolta a quell’obiettivo; non viene, invece, richiesto che il progetto abbia ad oggetto un’attività altamente specialistica o di particolare contenuto professionale, e tanto meno che sia unica e irripetibile;

in questa chiave interpretativa, la “specificità del progetto, programma o fase” diviene l’elemento caratterizzante della differenza fra un genuino rapporto di lavoro a progetto e un contratto a progetto stipulato solo per celare un rapporto di lavoro subordinato;

la Corte territoriale ha fatto piana e corretta applicazione dei principi su richiamati, e ciò esclude che sia incorsa in violazione di legge: l’assunto della ricorrente, secondo cui la Corte avrebbe rigettato la domanda sull’unico presupposto che l’attività svolta dagli insegnanti è del tutto coincidente con l’oggetto sociale del Centro Studi, trova un riscontro solo parziale nella lettura della sentenza, nella quale invece il giudizio circa la mancanza di uno specifico progetto o programma è fondato su una serie di elementi tratti dalla stessa lettura dei singoli contratti;

in particolare, la Corte ha rilevato come l’attività affidata a ciascun docente, e descritta nei contratti, fosse conforme alle linee programmatiche del Ministero dell’istruzione, con gli adattamenti resi necessari dalle caratteristiche della classe a lui affidata (in funzione del livello di conoscenze e competenze e di altri fattori influenti sulla capacità di apprendimento degli allievi), e difettasse di autonomia e specificità, atteggiandosi nel modo tipico del lavoro dell’insegnante al quale è comunque demandata l’ordinaria pianificazione del suo lavoro e margini di autonomia tipici delle prestazioni intellettuali;

ha quindi escluso l’esistenza di uno specifico progetto o programma di lavoro idoneo a qualificare i rapporti come rapporti di lavoro a progetto;

anche la denuncia di omessa e insufficiente motivazione è infondata alla luce del compiuto accertamento fattuale compiuto dalla Corte territoriale, la quale ha riscontrato che i lavoratori erano tenuti ad un obbligo di presenza e al rispetto dell’orario di lavoro, predeterminato per ciascun docente all’inizio dell’anno (salvo aggiustamenti occasionali) e basato sul monte ore per materia stabilito dalla normativa statale, con esclusione di qualsiasi possibilità di scelta circa i tempi per l’adempimento della prestazione; dovevano comunicare le eventuali assenze alle quali ovviava la direzione; erano tenuti a svolgere mansioni collaterali e complementari, disposti dalla direzione medesima, senza alcuna libertà di determinazione sui tempi e modi del loro svolgimento; erano retribuiti in correlazione alla quantità di lavoro svolto, cui si aggiungeva un gettone di presenza per alcune delle attività connesse;

ha dunque ritenuto che tutti gli insegnanti fossero inseriti nella organizzazione aziendale, richiamando quanto all’elemento tipico della subordinazione, costituito dalla sottoposizione del lavoratore al potere gerarchico, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, i principi già espressi da Cass. 19 aprile 2010, n. 9252 (resa proprio in una fattispecie di lavoro intercorso tra un insegnante e la scuola privata) secondo cui, “quando l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni (e, in particolare, della loro natura intellettuale o professionale) e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari, come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell’osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale, elementi che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente con indizi probatori della subordinazione.” (v. pure, Cass. Sez. Un., 30 giugno 1999, n. 379);

a tali criteri generali ed astratti la Corte territoriale si è rigorosamente attenuta, – sicchè non si ravvisa la violazione dell’art. 2094 c.c. -, mentre costituisce accertamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivata, la relativa valutazione (Cass. 7/10/2013, n. 22785; Cass. 7/4/1992, n. 4220; Cass. 27/9/1991, n. 10086), che, nel caso di specie come su rilevato, la Corte ha compiuto in modo del tutto appagante con la puntuale indicazione delle fonti di prova poste a sostegno della sua decisione (testimonianze assunte in giudizio e documenti contrattuali);

va peraltro precisato che la questione posta dalla controversia in esame non è quella di accertare quale sia stato il lavoro svolto dal lavoratore in difformità rispetto a quello indicato nel contratto, ma, più a monte, di valutare se l’attività specificata nel contratto di lavoro a progetto fosse inquadrabile nello schema legislativo del lavoro a progetto o fosse un lavoro di natura subordinata;

in questa prospettiva, è evidente la mancanza di decisività delle questioni riguardanti le prove testimoniali che non sarebbero state correttamente valutate dalla Corte territoriale, giacchè è assorbente il giudizio circa la mancanza di specificità del progetto;

in mancanza di progetto, programma di lavoro o fase di esso, la conversione automatica i rapporti di lavoro subordinato non può essere evitata dal committente-datore di lavoro neppure provando che la prestazione lavorativa sia stata caratterizzata da una piena autonomia organizzativa ed esecutiva (da ultimo, Cass. 17/08/2016, n. 17127; Cass. 21/06/2016, n. 12820);

quanto alla parte del motivo di ricorso riguardante il mancato rilievo dato dalla Corte territoriale al nomen iuris adoperato dalle parti e al rinvio al CCNL Filius – FIINSEI- UGL ANACCC, sembra sufficiente rilevare che con riguardo al lavoro a progetto la giurisprudenza ribadisce l’irrilevanza del nomen iuris adottato dalle parti, dovendosi invece attribuirsi rilevanza al riscontro della effettiva sussistenza di un progetto o programma specifico, ovvero alle concrete modalità di svolgimento del rapporto, normativamente delineato come forma particolare di lavoro autonomo, ai sensi del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 61 (Cass. 21/10/2014 n. 22289);

il riferimento al contratto collettivo nazionale di lavoro, è, invece, affetto da evidente vizio di improcedibilità, non avendo la parte provveduto a depositarlo unitamente al ricorso per cassazione e non avendo altresì fornito precise indicazioni per una sua facile reperibilità nei fascicoli di parte o d’ufficio delle pregresse fasi del giudizio e dovendosi rammentare in proposito che, in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 7, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, munita di visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (in tal senso, fra le tante, Cass. 11/01/2016, n. 195; Cass. Sez.Un. 11/4/2012, n. 5698; Cass. Sez. Un. 3/11/2011, n. 22726);

in definitiva, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, in applicazione del principio della soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017

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