Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1157 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 27/02/2020, dep. 21/01/2021), n.1157

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI P. – Consigliere –

Dott. DI NAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 488/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

M. s.r.l. in persona dell’amministratrice unica P.F.,

rappresentata e difesa dall’Avv. Lucia Bianchini, elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’Avv. Luca Pardini in Roma via

Cicerone n. 44, giusta procura speciale a margine del controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana n. 75/8/12, depositata il 17 maggio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 febbraio

2020 dal Consigliere Marco Dinapoli.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M. s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, impugnava in primo grado tre avvisi di accertamento, n. (OMISSIS) per l’anno di imposta 2003, n. (OMISSIS) per l’anno di imposta 2004 e n. (OMISSIS) per l’anno di imposta 2005 emessi dall’Agenzia delle entrate per l’indebita detrazione dell’Iva (e relative sanzioni) su fatture di acquisto autoveicoli usati tramite soggetti economici fittiziamente interposti (c.d. “frode carosello”).

La Commissione tributaria provinciale di Lucca accoglieva il ricorso della contribuente per l’anno di imposta 2003, ritenendo l’accertamento tardivo, e lo rigettava per gli anni 2004 e 2005. Appellavano in via principale la società e in via incidentale l’Agenzia delle entrate.

La Commissione tributaria regionale della Toscana, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva l’appello della società e rigettava l’appello incidentale. Riteneva che la società non sapeva e non poteva sapere di partecipare ad una operazione fraudolenta, argomentando dalla richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero per il reato di cui alla L. n. 74 del 2000, art. 2; sottolineava poi la congruità dei prezzi di acquisto dei veicoli e la scarsa incidenza quantitativa delle operazioni contestate nel complesso delle attività commerciali svolte dalla contribuente.

L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione con due motivi e chiede cassarsi la sentenza impugnata con ogni conseguente pronunzia, spese rifuse.

La s.r.l. M. resiste e deposita controricorso con cui eccepisce l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso avverso.

Entrambe le parti hanno dedotto che l’anno di imposta 2003 è stato definito in corso di causa ai sensi del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 39, comma 12 (chiusura delle liti fiscali minori), per cui il contenzioso superstite riguarda solo i rimanenti anni 2004 e 2005.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente propone due motivi di ricorso.

1.1 – Primo motivo: violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 17 e 19, degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., dell’art. 654 c.p.p. e del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 20, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto che la buona fede della contribuente, avvalorata dall’archiviazione in sede penale, avrebbe efficacia esimente, mentre invece, data l’accertata interposizione soggettiva e l’omesso versamento dell’Iva da parte dei soggetti fittiziamente interposti, la sentenza avrebbe dovuto verificare la consapevolezza della frode da parte della società, o la sua conoscibilità e, quindi, l’ignoranza colpevole; non rileverebbe a tal fine il provvedimento di archiviazione penale.

1.2 – Secondo motivo: insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; in quanto la sentenza impugnata, valorizzando il decreto penale di archiviazione, avrebbe omesso di valutare tutte le circostanze di fatto indicate dai verificatori circa le condizioni soggettive degli operatori economici interposti, che ne evidenziano la fittizietà per un verso e l’ignoranza colpevole dell’acquirente per altro verso, nonchè circa le modalità oggettive delle operazioni (numero delle operazioni, mancanza di documentazione sui rapporti commerciali intercorsi fra le parti, prezzo di vendita inferiore a quello di acquisto sul mercato tedesco).

2.- La s.r.l. M. eccepisce l’inammissibilità del ricorso perchè proposto nei confronti di M. s.r.l., soggetto diverso dalla parte processuale, e notificato a quest’ultima, onde l’inesistenza giuridica della notifica del ricorso.

2.1- Eccepisce inoltre l’inammissibilità del primo motivo di ricorso in quanto denunzia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 17 e 19, che riguardano materia diversa da quella oggetto del contendere.

2.2- Eccepisce, infine, l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso perchè diretto a sollecitare una rilettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal giudice di merito, non consentita in sede di legittimità.

3.- Le eccezioni di inammissibilità del ricorso principale sono infondate.

3.1- Non vi è alcuna incertezza circa il soggetto nei cui confronti è stato proposto il ricorso per cassazione; infatti, anche se nella intestazione del ricorso è stata indicata la s.r.l. M., il soggetto è inequivocabilmente individuabile dalla lettura dell’intero ricorso, in cui il destinatario viene indicato come M. s.r.l. e viene ricostruita senza possibilità di equivoci la vicenda processuale cui il ricorso si riferisce, con la compiuta indicazione della sentenza impugnata, degli avvisi di accertamento oggetto del giudizio, dei difensori e del domicilio eletto, e degli altri parametri processuali. Si tratta quindi di un mero errore materiale commesso nella intestazione del ricorso, da cui non deriva la omessa o incerta indicazione delle parti processuali prospettata dalla controricorrente come vizio di inammissibilità.

3.2- Non ricorre neanche la dedotta inesistenza della notifica del ricorso. Si richiama sul punto il principio di diritto affermato da Sez. Un. 20 luglio 2016 n. 14916, per cui “L’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, sì da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè in definitiva, omessa”.

3.2.2- In applicazione di tale principio il vizio di notifica lamentato dalla controricorrente, consistente nella erronea indicazione del destinatario della notifica dell’atto ( M. s.r.l. invece che M. s.r.l.), quand’anche fosse ritenuto significativo perchè non idoneo ad evidenziare il collegamento fra l’atto notificato ed il soggetto destinatario, ricadrebbe nell’ambito della nullità, sanabile retroattivamente per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3.

3.3- E’ infondata l’eccezione di inammissibilità del primo motivo di ricorso, poichè l’indicazione delle leggi di cui si assume la violazione o la falsa applicazione viene effettuata dalla parte ricorrente secondo la sua prospettazione, per cui l’eventuale indicazione di leggi a detta della controparte processuale non inerenti al motivo di ricorso proposto non può essere equiparata ad omessa indicazione (questa sì causa di possibile inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), ma può costituire, tutt’al più, ragione di infondatezza del motivo di ricorso. Inoltre, nel caso in esame, la ricorrente ha lamentato sotto la medesima rubrica anche la violazione di altre norme di legge, oltre quelle inconferenti a detta della controricorrente.

3.4- E’ infondata l’eccezione di inammissibilità del secondo motivo di ricorso. Va premesso che trova qui applicazione ratione temporis il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anteriore alla riforma introdotta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134, che come è noto, ha limitato la deducibilità per cassazione del vizio di motivazione ai soli casi di riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. La vecchia formulazione della norma, a differenza di quella successiva alla riforma, consentiva la deduzione del vizio di motivazione anche sotto l’aspetto della insufficienza, che è proprio quello lamentato nel caso in esame.

4.- Passando alla valutazione della fondatezza dei motivi di ricorso, è opportuno premettere che in materia di fatturazione di operazioni soggettivamente inesistenti questa Corte ha formulato, anche alla luce di ripetuti interventi della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, i principi di diritto che seguono, cui occorre dare continuità: 1) “in tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta”; 2) “la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente”; 3) “incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. Sez. V 20 aprile 2018 n. 9851; vedi anche Corte di Giustizia 6 dicembre 2012, Bonik, C285/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14, par. 50; Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahagèben e David, C-80/11 e C-142/11).

4.1- La sentenza impugnata richiama nella parte iniziale della motivazione principi che non sembrano discostarsi da quelli indicati dalle Sezioni Unite; afferma infatti che “secondo consolidata giurisprudenza, tanto di legittimità che comunitaria, l’Iva pagata per l’operazione soggettivamente inesistente non è detraibile ed è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione qualora l’Amministrazione gli contesti l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti”. E nel merito accerta in fatto la validità della prova contraria.

4.2- Non si rileva pertanto, stando alle dichiarazioni iniziali del giudice a quo, la violazione o falsa applicazione, lamentata dalla ricorrente, delle norme sui soggetti tenuti al pagamento dell’Iva e sulle detrazioni (D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17 e 19, come si deduce chiaramente dal contenuto del ricorso a prescindere dalla errata indicazione del D.P.R. n. 600 del 1973), nè delle norme sulla ripartizione dell’onere della prova, come interpretate dalla giurisprudenza richiamata al punto 4.

4.3- Non si rileva neanche la lamentata violazione delle norme sulla efficacia del giudicato penale nel giudizio tributario (art. 654 c.p.p. e del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 20) perchè la sentenza impugnata non afferma di attribuire efficacia di cosa giudicata al provvedimento di archiviazione del G.I.P. del Tribunale di Lucca, bensì quello più limitato di “significativo rilievo”. Tale affermazione è coerente con la previsione delle norme in questione.

Il primo motivo va, quindi, rigettato.

5.- Il secondo motivo del ricorso è invece fondato. La sentenza impugnata, infatti, contrariamente a quanto affermato in linea di principio, attribuisce – come detto – “significativo rilievo” al provvedimento di archiviazione del procedimento penale, da cui desume sia la mancanza di una prova adeguata della triangolazione apparente, che l’impossibilità di dare per dimostrato che la contribuente ne fosse o ne avrebbe potuto essere a conoscenza; afferma infatti che “…con tale provvedimento il GIP, riportandosi per l’accoglimento alla richiesta del PM, conferma l’assenza di elementi univoci dimostrativi delle modalità in ipotesi illecite attraverso le quali avrebbero operato le ditte fornitrici. Dalla dichiarata inesistenza di adeguata prova (“modalità in ipotesi illecite”) relativamente alla simulazione soggettiva in conseguenza della quale la merce sarebbe provenuta da soggetto differente da quello figurante in fattura discende l’impossibilità di dare per dimostrato che la contribuente fosse o potesse essere a conoscenza dell’esistenza di una circostanza non sufficientemente provata nè documentata negli avvisi oggetto delle impugnazione originante il presente processo tributario”. Le rimanenti argomentazioni, utilizzate ad adiuvandum, appaiono poi generiche ed inadeguate a sostenere la decisione, che omette qualunque valutazione degli elementi e circostanze specificamente evidenziate negli avvisi di accertamento a sostegno della ripresa a tassazione.

5.1- Sussiste perciò il vizio di insufficiente motivazione denunziato dalla ricorrente. Infatti, premesso che il provvedimento emesso dal giudice penale (per altro un decreto di archiviazione senza contraddittorio) non fa stato nel processo tributario, in quanto i due processi obbediscono a regole diverse e sono ancorati a presupposti diversi e preordinati a finalità diverse, il giudice a quo avrebbe dovuto valutare la effettiva valenza dimostrativa nel presente processo delle motivazioni del decreto di archiviazione penale, alla luce di tutti gli elementi di fatto che gli avvisi di accertamento avevano evidenziato a fini del recupero a tassazione dell’Iva indebitamente detratta, quali: -) mancanza di una sede reale e di una sia pur minima struttura organizzativa dei soggetti asseritamente interposti; -) mancanza di qualsiasi traccia documentale diversa dalle fatture di rapporti commerciali effettivi intercorsi fra le parti; -) omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali e della tenuta delle scritture contabili da parte dei soggetti fittiziamente interposti… ed altre circostanze di fatto indicate negli avvisi a supporto degli accertamenti.

5.2- La sentenza impugnata, invece, affida le proprie decisioni prevalentemente al fatto storico che fosse stato emesso un provvedimento penale di archiviazione, manifestando una insufficienza motivazionale a buona ragione evidenziata dalla ricorrente, tanto più in considerazione della valenza “significativa” che la stessa sentenza attribuisce al fatto, pur non avendolo sufficientemente scrutinato.

6.- L’accertamento giudiziario dovrà essere rinnovato, con rinvio degli atti al giudice a quo, che dovrà valutare la valenza dimostrativa del decreto di archiviazione emesso dal giudice penale, in base al suo contenuto decisorio ed alla utilizzabilità nel presente giudizio tributario degli accertamenti effettuati da quel giudice ed a quei fini, valutazione che dovrà essere necessariamente effettuata alla luce della documentazione e delle argomentazioni svolte dalle parti nel giudizio di appello.

7.- Per i motivi esposti, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio per un nuovo giudizio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui si rimette anche la regolamentazione delle spese processuali del giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, per un nuovo giudizio, anche sulle spese.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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