Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11567 del 11/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 11/05/2017, (ud. 01/02/2017, dep.11/05/2017),  n. 11567

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso 26919=2014 proposto da:

C.L., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA FLAMINIA 48, presso lo studio dell’avvocato AMILCARE BUCETI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE BORTONE, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

CASA DEL SOLE CLINICA POLISPECIALISTICA T. COSTA S.R.L., P.I.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C. MORIN 45, presso lo studio

dell’avvocato BARBARA CONTE, rappresentata e difesa dall’avvocato

SILVESTRO CONTE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9158/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/11/2013 R.G.N. 10487/11;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/02/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SILVESTRO CONTE.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Latina accoglieva la domanda proposta da C.L., diretta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole dalla s.r.l. Casa del Sole, con condanna della società alla reintegra nel posto di lavoro ed alla corresponsione, a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate dal licenziamento sino alla effettiva reintegra.

Il Tribunale, premesso che il licenziamento era stato intimato per giusta causa, a seguito dell’addebito consistente nell’aver praticato ad una paziente una iniezione di eparina calcica, farmaco non prescritto dai sanitari, ha evidenziato che la società non aveva assolto all’onere della prova sulla stessa gravante in quanto, a fronte della specifica contestazione della lavoratrice che aveva dichiarato di essersi attenuta alle indicazioni terapeutiche riportate nel foglio di terapia, aveva prodotto un documento (foglio di terapia) non sottoscritto da alcuno e privo di data certa. Ha aggiunto che anche i testi escussi non avevano consentito di fare chiarezza sul punto.

Avverso tale sentenza ha proposto appello la Casa di Cura; resisteva la lavoratrice.

Con sentenza depositata il 7 novembre 2013, la Corte d’appello di Roma accoglieva il gravame ed in riforma della sentenza impugnata respingeva la domanda proposta dalla C..

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso quest’ultima, affidato a due motivi.

Resiste la società Casa del Sole con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2702, 2704, 2724, 2119 e 2697 c.c., oltre che della L. n. 604 del 1966, art. 5.

Lamenta che la sentenza impugnata, nel riformare la pronuncia di primo grado, si era basata essenzialmente sull’erroneo presupposto che il c.d. “foglio di terapia” fosse da considerarsi scrittura privata e quindi atto idoneo a costituire prova documentale, di cui non aveva i necessari requisiti (sottoscrizione e data certa), dell’assunto datoriale. Lamenta inoltre che tale “foglio di terapia” non poteva essere integrato dalla prova testimoniale, essendo ciò precluso dall’art. 2724, che lo consente solo quando vi sia un principio di prova per iscritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda, ipotesi non ricorrente nella specie.

Il motivo è in parte inammissibile e per il resto infondato.

Deve infatti considerarsi che la sentenza impugnata non ha ritenuto commesso il fatto solo sulla base del detto “foglio di terapia”, ma anche in base ad altre risultanze istruttorie, non solo testimoniali (tra cui il medico che seguiva la paziente e cha ha escluso di aver disposto la iniezione del farmaco in questione), ma anche documentali (quale ad esempio la cartella clinica), sicchè la censura finisce per criticare un accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito nel regime di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Per il resto, pur risultando dalla sentenza impugnata che le prove testimoniali non hanno solo riguardato il detto foglio di terapia ma la condotta addebitata, deve decisivamente notarsi che il giudice del lavoro può comunque ammettere la prova per testi anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, in base all’art. 421 c.p.c., comma 2.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2, e art. 345 c.p.c..

Lamenta che in base alle citate disposizioni non potevano trovare ingresso per la prima volta in grado di appello le domande ed eccezioni nuove dirette a mutare i fatti costitutivi e/o estintivi oggetto del giudizio di primo grado. Evidenzia a tal fine che nell’atto di appello della società erano contenuti “fatti e circostanze mai dedotte nel giudizio di primo grado, condite con nuove valutazioni e semplici arbitrarie considerazioni… accompagnate da una parziale, maliziosa ed erronea ricostruzione e lettura del giudizio di primo grado” (avere o meno avvertito il medico di guardia, confusione o meno della terapia con quella di altro paziente, contenuto e forma del foglio di terapia).

Il motivo presenta evidenti profili di inammissibilità laddove diretto ad una diversa ricostruzione dei fatti di causa da parte della sentenza impugnata, in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Per il resto deve osservarsi che la deduzione di fatti e circostanze, con particolare riferimento a quelli indicati dall’odierna ricorrente, non integrano alcun fatto nuovo, nè alcuna nuova eccezione in grado di appello, mantenendo infatti immutato il thema decidendum e dunque l’oggetto della pretesa ed i suoi fatti costitutivi, nella specie il fatto posto dalla datrice di lavoro a fondamento del licenziamento (e plurimis, Cass. n. 6431/06, Cass. n. 16298/10).

3.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

L’attuale condizione della ricorrente di ammessa al patrocinio a spese dello Stato esclude, allo stato, la debenza di quanto previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017

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