Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11565 del 06/06/2016


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Cassazione civile sez. II, 06/06/2016, (ud. 14/04/2016, dep. 06/06/2016), n.11565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19453/2011 proposto da:

Z.E., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA UNIONE SOVIETICA 8, presso lo studio dell’avvocato

MAURIZIO CERCHIARA, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GIOVANNI CAPPELLARI;

– ricorrente –

contro

G.L., quale titolare dell’omonima impresa individuale

edile, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

LIBIA 4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO GALIENA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALDO CAMPESAN;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1265/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 07/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

udito l’Avvocato MAURIZIO CERCHIARA, difensore del ricorrente, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ALESSANDRO GALIENA, con delega orale dell’Avvocato

ALDO CAMPESAN difensore del controricorrente, che ha chiesto

l’accoglimento delle difese in atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento dei primi

due motivi e per l’assorbimento del terzo motivo di ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 28 febbraio 2003, Z. E. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Padova G.L., titolare dell’omonima impresa individuale, cui aveva affidato in appalto le opere di ristrutturazione di un fabbricato. Lamentava la presenza di gravi difetti dell’opera (consistenti nella mancanza di tenuta del manto di copertura) e chiedeva che, accertata la responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c., o comunque il suo inadempimento, fosse pronunciata in danno del medesimo la condanna al risarcimento del danno, commisurato al costo dei lavori per il rifacimento del tetto.

G. si costituiva ed eccepiva, per quanto qui rileva, la prescrizione dell’azione.

Il Tribunale respingeva la domanda accogliendo l’eccezione di prescrizione e compensava le spese di lite. Ritenendo che la denuncia dei vizi fosse stata effettuata nell’autunno 1996 e che da tale momento il termine prescrizionale di un anno potesse essere interrotto solo attraverso il compimento di un atto giudiziale, il giudice di prime cure evidenziava che tale atto doveva essere individuato nel ricorso per accertamento tecnico preventivo, che era stato depositato dal committente nel febbraio 1999, e dunque ben oltre lo spirare del nominato termine prescrizionale.

Z.E. appellava la sentenza; proponeva appello incidentale G. con riguardo alla statuizione concernente le spese processuali.

Con sentenza depositata il 7 giugno 2010 la Corte di appello di Venezia dichiarava inammissibile l’appello principale ed accoglieva quello incidentale, regolando le spese del primo grado secondo il principio di soccombenza. Con riguardo al gravame principale, la corte veneta, andando in contrario avviso rispetto al tribunale, negava che la prescrizione potesse essere interrotta solo con un atto giudiziale, reputando sufficiente, a tal fine, la semplice costituzione in mora di controparte. Rilevava, tuttavia, che Z. aveva omesso di specificare con quali atti si sarebbe prodotto il richiamato effetto interruttivo, sicchè – concludeva –

era mancata una precisa confutazione degli argomenti utilizzati dal giudice di primo grado.

Avverso tale decisione Z. ha proposto un ricorso per cassazione affidato a tre motivi. L’intimato ha depositato controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione all’art. 2943 c.c., artt. 112 e 342 c.p.c.. Rileva preliminarmente che la corte, dopo aver concordato con il tribunale circa l’esistenza di un carteggio fra le parti che consentiva di collocare la denuncia dei vizi nel settembre-ottobre 1996, aveva correttamente affermato che il successivo termine di prescrizione di cui all’art. 1669 c.c., comma 2, avrebbe potuto essere interrotto non solo dall’azione giudiziale, ma da un qualsiasi atto di messa in mora. Sostiene che, una volta riconosciuto ciò, la corte avrebbe dovuto proseguire nell’esame del merito della controversia, esaminando la documentazione prodotta dallo stesso ricorrente, allora appellante, anzichè limitarsi a rilevare la genericità del motivo.

In particolare, e quanto alla ritenuta mancanza di specificità, assume che l’art. 342 c.p.c., non impone un’analitica indicazione degli atti e dei documenti su cui la censura si fonda (così come impone, invece, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione). Ritiene così il precetto soddisfatto dal riferimento onnicomprensivo ai documenti prodotti contenuto nel motivo di gravame (ove si era richiamato alla “copiosa serie di atti stragiudiziali con cui, a partire dal 1996 in poi e con cadenza infrannuale, ha continuato a rivendicare il proprio diritto risarcitorio” ovvero alle “molteplici diffide scritte agli atti, inviate con il mezzo raccomandato e con frequenza infrannuale”). Infine il ricorrente osserva che l’eccezione di interruzione della prescrizione, in quanto eccezione in senso lato, poteva essere rilevata dal giudice anche d’ufficio: sicchè la corte d’appello ben avrebbe potuto esaminare e prendere in considerazione, a tal fine, la prodotta corrispondenza fra le parti nel lasso di tempo ricompreso fra la denuncia del vizio e l’avvio del giudizio di istruzione preventiva.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce poi omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per la controversia. Si duole l’istante che il giudice del gravame abbia omesso l’esame di documenti che assumevano rilievo determinante ai fini dell’accertamento dell’interruzione della prescrizione. Secondo il ricorrente risultava illogico che, a fronte del potere del giudice di rilievo d’ufficio dell’interruzione, si fosse preteso che l’appellante indicasse specificamente gli atti che fossero idonei ad escludere il maturarsi della prescrizione.

I due motivi, in quanto connessi, si prestano a una trattazione unitaria.

La corte distrettuale, come in precedenza accennato, ha ritenuto che la prescrizione potesse essere validamente interrotta da atti di messa in mora del committente, ma ha evidenziato che, avendo questi mancato di formulare una puntuale indicazione in tal senso –

attestandosi su di una generica affermazione circa l’esistenza di atti muniti della detta efficacia interruttiva – il motivo di impugnazione proposto dovesse ritenersi inammissibile.

Ora, affinchè un capo di sentenza possa ritenersi validamente impugnato non è sufficiente che nell’atto d’appello sia manifestata una volontà in tal senso, ma è necessario che sia contenuta una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico (Cass. S.U. 9 novembre 2011, n. 23299; Cass. 22 settembre 2015, n. 18704).

Nella fattispecie, l’appellante aveva censurato la sentenza impugnata opponendo che in base alla norma generale di cui all’art. 2943 c.c., la prescrizione è interrotta da ogni atto che valga a costituire in mora il debitore, sicchè doveva ritenersi erronea l’affermazione, contenuta nella sentenza resa dal tribunale, secondo cui ai fini interruttivi doveva attribuirsi rilievo alle sole azioni giudiziali.

Lo stesso appellante aveva inoltre evidenziato che tra i documenti del processo risultavano presenti molteplici diffide scritte inviate all’appellato “con frequenza infrannuale”, con ciò rappresentando –

all’evidenza – l’avvenuta produzione in giudizio degli atti di costituzione in mora di cui si è precedentemente detto.

Ciò posto, il motivo di appello non poteva considerarsi inammissibile, dal momento che era tale da consentire al giudice di comprendere con certezza il contenuto della censura ed alla controparte di svolgere senza alcun pregiudizio la propria attività difensiva (Cass. 23 ottobre 2014, n. 22502); infatti, il principio della necessaria specificità dei motivi di appello prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione (Cass. 20 marzo 2013, n. 6978).

Nè un problema di ammissibilità del motivo può porsi con riferimento alla mancata specifica indicazione dei documenti che potevano dar ragione dell’eccepita interruzione. A prescindere dal fatto che il motivo, constando di una parte argomentativa idonea a incrinare il fondamento logico-giuridico della decisione, risulta essere per ciò solo ammissibile, va evidenziato che, vertendosi in tema di interruzione della prescrizione – che è, notoriamente, eccezione in senso lato (Cass. S.U. 27 luglio 2005, n. 15661) –

l’allegazione dei fatti da parte dell’interessato non risulta essere indispensabile alla definizione della relativa questione da parte del giudice, essendo sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis (Cass. S.U. 7 maggio 2013, n. 10531). Ciò implica che il giudice del merito, in primo grado, o anche in appello, a prescindere dalla proposizione della relativa eccezione, debba comunque verificare se le risultanze processuali comprovino l’esistenza di un atto interruttivo della prescrizione. A maggior ragione, ove l’eccezione sia stata proposta, il giudice non può attribuire rilievo al fatto che la parte abbia mancato di allegare specificamente gli atti interruttivi, ma deve verificare se dalle risultanze di causa emerga che la questione prospettata abbia fondamento, esaminando quindi l’eccezione nel merito.

Il terzo motivo censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 334 c.p.c., in relazione all’accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla controparte in punto di compensazione delle spese di lite. Assume il ricorrente che, avendo G.L. proposto un appello incidentale tardivo, questo doveva essere dichiarato inefficace dalla Corte di merito, visto che il gravame principale era stato ritenuto inammissibile.

Il motivo risulta assorbito, stante l’accoglimento dei primi due motivi.

La sentenza va quindi cassata con rinvio della causa ad altra sezione della Corte di appello di Venezia che deciderà anche in merito alle spese del giudizio trattato avanti a questa Suprema Corte.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso con riferimento ai primi due motivi e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Venezia anche per le spese.

Sentenza redatta con la collaborazione dell’assistente di studio Dott. C.F..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2016

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