Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11561 del 03/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 03/05/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 03/05/2021), n.11561

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21660/2015 proposto da:

V.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIROLAMO

BENVENUTI, 19, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO ZUCCARO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA LISA BUONADONNA;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA

PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, MAURO RICCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9428/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 19/02/2015 R.G.N. 998/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/12/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 19.2.2015, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva retrodatato al 1.2.2004 l’assegno ordinario d’invalidità già riconosciuto in via amministrativa a V.L. ma con decorrenza dal 1.2.2007, invece che dalla data della domanda amministrativa del 1.1.2001;

che avverso tale pronuncia V.L. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura, successivamente illustrati con memoria;

che l’INPS ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., per avere la Corte di merito disatteso le conclusioni della CTU disposta in sede di gravame, che individuavano nella data del 25.7.2002 la decorrenza del beneficio oggetto della domanda;

che, con il secondo e il terzo motivo, il ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per avere la Corte territoriale reso motivazione non specifica (e dunque meramente apparente) in ordine all’effettiva decorrenza del beneficio e altresì per avere confermato la valutazione espressa dalla CTU disposta in prime cure nonostante avesse prima disposto il rinnovo delle operazioni peritali;

che i tre motivi possono essere esaminati congiuntamente in considerazione dell’intima connessione delle censure svolte, tutte sostanzialmente rivolte nei confronti della decisione dei giudici territoriali di discostarsi dall’esito della consulenza tecnica di seconde cure;

che, al riguardo, va ricordato che è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità il principio secondo cui il giudice di merito, quale peritus peritorum, non solo non ha alcun obbligo di nominare un consulente d’ufficio, potendo ricorrere alle conoscenze specialistiche che abbia acquisito direttamente attraverso studi o ricerche personali, ma soprattutto, esaminando direttamente la documentazione su cui si basa la relazione del consulente tecnico, può disattenderne le argomentazioni, in quanto sorrette da motivazioni contraddittorie, o sostituirle con proprie diverse, tratte da proprie personali cognizioni tecniche (cfr. da ult. Cass. nn. 30733 del 2017 e 28419 del 2020);

che, ciò premesso, i motivi sono all’evidenza inammissibili, pretendendo di censurare il giudizio di fatto reso dalla Corte in ordine alla sussistenza dei presupposti necessari per disporre la retrodatazione dell’assegno d’invalidità, che è questione di merito non suscettibile di essere devoluta in questa sede di legittimità se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, siccome interpretati da Cass. S.U. n. 8053 del 2014 e innumerevoli successive conformi, con le quali si è chiarito che non è l’errore di valutazione delle risultanze probatorie che può essere oggetto di censura per cassazione, ma l’omesso esame di un fatto primario o secondario che, se tenuto presente, avrebbe certamente indotto un diverso giudizio;

che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, a tanto dovendo pervenirsi ogni qualvolta, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, si miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (così, da ult., Cass. S.U. n. 34476 del 2019);

che le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo; che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2021

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