Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11560 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. I, 15/06/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 15/06/2020), n.11560

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6757/2019 proposto da:

B.B., rappresentato e difeso dall’avv. Gostoli R., del foro

di Pesaro Urbino;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 14/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/02/2020 da Dott. ACIERNO MARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Ancona ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta da B.B., cittadino della (OMISSIS).

A sostegno della decisione ha affermato che la credibilità del racconto del ricorrente è carente perchè lo stesso non è stato in grado di circostanziare la vicenda; gli altri elementi pertinenti concernenti il suo caso, non sono stati prodotti nè è stata fornita idonea motivazione per la loro mancanza, tenuto conto del procedimento penale a carico del ricorrente; le dichiarazioni sono state incoerenti e contraddittorie ed, inoltre, lo stesso non è comparso volontariamente all’audizione.

La situazione generale del paese è attraversata da conflitti politici anche aspri su base etnica, ma secondo le più recenti fonti Easo, è genericamente stabile. La domanda di rifugio viene rigettata perchè il ricorrente non ha allegato di essere affiliato politicamente o di appartenere a minoranza etnica o religiosa ragione per cui il timore persecutorio espresso non rientra nelle ipotesi della Convenzione di Ginevra. La domanda di protezione sussidiaria viene rigettata perchè non sussistono elementi dai quali desumere la sussistenza di una grave ed individuale minaccia perchè il ricorrente riferisce di un solo evento e di episodi privi di lesività specifica; non vi è pericolo per la vita e l’incolumità di civili. La domanda relativa al permesso umanitario viene rilevato che non sussiste una condizione di vulnerabilità specifica tenuto conto dell’inesistenza di problematiche soggettive quali quelle descritte nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19; il ricorrente può soddisfare bisogni ed esigenze ineludibili di vita personale in caso di rimpatrio; nel paese di provenienza non vengono segnalate compromissioni dei diritti umani e non vi è prova di un effettivo percorso d’integrazione sociale e lavorativa.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero affidato a tre motivi. Non ha svolto difese il Ministero dell’Interno.

Nel primo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ed il vizio di omessa motivazione in relazione alla valutazione negativa della credibilità svolta senza una verifica effettiva del timore del ricorrente di non poter fruire della protezione della polizia.

La censura è inammissibile perchè rileva l’insussistenza di giustificazione argomentativa della valutazione di credibilità senza alcuna indicazione in ordine alla vicenda narrata, non enucleabile nè dal provvedimento impugnata nè, tuttavia dal motivo di ricorso, così da renderlo radicalmente generico.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e art. 14, in relazione alla mancata rilevazione di una situazione di grave instabilità in Guinea anche per l’inadeguatezza del sistema di prevenzione del crimine e della protezione pubblica dei cittadini.

La censura è inammissibile sia perchè generica, in quanto non contrasta l’indagine officiosa svolta nel provvedimento impugnato in relazione alle condizioni del paese, sulla base di fonti EASO coeve all’accertamento svolto, sia perchè miri a sostituire una propria valutazione di gravità della situazione a quella insindacabilmente svolta dal giudice del merito.

Nel terzo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non aver considerato nel rigettare la domanda di protezione umanitaria la grave violazione dei diritti umani perpetrata nel paese di origine del ricorrente, riscontrabile anche dall’indagine officiosa svolta dal Tribunale in relazione al grado di integrazione raggiunto.

La censura è fondata ma deve essere correttamente qualificato come di omessa motivazione o motivazione apparente. Il tribunale ha omesso di verificare in concreto la sussistenza de la condizione di vulnerabilità derivante dal giudizio prognostico da svolgere all’esito della valutazione comparativa del grado d’integrazione raggiunto con la situazione di compromissione dei diritti umani nel paese di origine, eziologicamente collegati alla condizione soggettivamente realizzata in Italia (Cass. 4455 del 2019; S.U. 29459 e 294 i0 del 2019). All’allegazione della parte relativa alla situazione attuale in Italia ed a quella che conseguirebbe al rientro, deve seguire un accertamento officioso specificamente rivolto a verificare se, nel paese di origine, la situazione nella quale verrebbe a trovarsi il ricorrente, in relazione alla sua complessiva condizione soggettiva ed oggettiva, (età, salute, radici relazionali e parentali, condizione personale, appartenenza ad un gruppo sociale, grado d’integrazione sociale e lavorativa raggiunta, etc.) sia idonea a determinare non un mero peggioramento della migliore condizione di vita goduta nel nostro paese, ma una compressione radicale dei diritti umani correlati al profilo del richiedente, che lo privi della concreta possibilità di condurre un’esistenza coerente con il “nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale” (Cass. 4455 del 2018; S.U. S.U. 29459 e 29460 del 2019).

Nella specie, la prognosi negativa è svelta soltanto astrattamente. Nessun riferimento alle specifiche allegazioni relative al lavoro come bracciante agricolo svolto dal ricorrente, ancorchè documentato, come specificamente riferito in ricorso, nè alle altre modalità d’integrazione messe in campo. Nessun esame dell’incidenza della compromissione dei diritti umani, pure rilevata nell’indagine officiosa svolta in relazione alla situazione generale, peraltro in modo articolato ed ampio. La ratio decidendi del rigetto è fondata su una giustificazione che risulta apodittica perchè disancorata da alcun elemento concreto di valutazione, così di assumere la connotazione di una motivazione sostanzialmente apparente, nella quale non si rinviene alcun profilo di collegamento con il caso concreto.

In conclusione, devono essere dichiarati inammissibili i primi due motivi, accolto il terzo, cassato il provvedimento impugnato con rinvio della causa al Tribunale di Ancona, in diversa composizione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i primi due motivi i ricorso. Accoglie il terzo.

Cassa il provvedimento impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Ancona, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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