Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11558 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. I, 15/06/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 15/06/2020), n.11558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8151/2019 proposto da:

H.R., elettivamente domiciliato in Lecco, via Carlo Cattaneo

n. 42/h, presso lo studio dell’avv. Maria Daniela Sacchi, che lo

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore

(OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 08/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/02/2020 da Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- H.R., proveniente dal Pakistan (regione del Gujrat) ha presentato ricorso avanti al Tribunale di Milano avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Milano/Monza, di diniego del riconoscimento della protezione internazionale (diritto di rifugio; protezione sussidiaria) e del riconoscimento della protezione umanitaria.

Con decreto depositato in data 8 febbraio 2019, il Tribunale ha respinto il ricorso.

2.- Il Tribunale ha premesso che il racconto sviluppato dal richiedente presenta “elementi di non credibilità intrinseca anche a causa di inspiegabili lacune, oltre che per oggettivo contrasto con la stessa documentazione di cui il ricorrente intende avvalersi”.

Con specifico riferimento al tema del diritto di rifugio, il decreto ha osservato che anche “prescindendo dalla valutazione di credibilità, il rischio di danno grave costituito dalle minacce di morte provenienti dal creditore non è connesso ad alcuno dei motivi di cui all’art. 8, essendo invece legato all’essere il ricorrente vincolato a un contratto di mutuo stipulato dal padre”.

Ha poi escluso – con riferimento al Paese del Pakistan – la sussistenza di un conflitto armato generalizzato ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), richiamando in particolare un report di ARC, Pakistan Country del 18 giugno 2018 e un report di Freedom House – Pakistan 28 maggio 2018.

Quanto infine alla protezione umanitaria, il Tribunale ha osservato che la frequenza di un corso di falegnameria e il conseguimento di un conseguente attestato non sono elementi idonei a fondare il riconoscimento in discorso. Al riguardo occorre la presenza di una situazione di vulnerabilità del richiedente, che inerisca in modo specifico alla persona di questi.

3.- Avverso questo provvedimento ha presentato ricorso H.R., promuovendo quattro motivi di cassazione.

Il Ministero non ha svolto difese in questa fase del processo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- Col primo motivo, il ricorrente censura la decisione del Tribunale per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per “non avere applicato i principi in materia di attenuazione dell’onere della prova”.

5.- Il motivo è inammissibile.

Nei suoi contenuti, il motivo viene a contestare la valutazione di non credibilità che è stata effettuata dal Tribunale milanese.

Sotto il profilo del diritto di rifugio, tuttavia, il ricorrente trascura che, al riguardo, la decisione impugnata si fonda anche su un’altra e autonoma ratio decidendi: nella specie, comunque non risultano configurati i presupposti oggettivi prescritti per il riconoscimento della protezione in discorso. Il ricorrente non censura questa ratio.

Nemmeno indica, d’altra parte, la sussistenza di eventi in qualche modo riconducibili alle ipotesi previste nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

6. Il secondo e il terzo motivo riguardano il tema della protezione sussidiaria e appaiono suscettibili di esame unitario.

Il secondo motivo lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per “non avere riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del deducente”.

Il terzo motivo, poi, assume violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per non avere assolto l’onere di cooperazione istruttoria.

7.- Più in particolare, nel secondo motivo si afferma che “l’esame della sussistenza di una condizione di pericolo, dovuta a violenza diffusa e non controllata o non controllabile, della autorità statuali, non è stato effettuato in modo sufficientemente adeguato nella pronuncia de qua”: “il quadro tracciato dalle fonti ufficiali in relazione al Pakistan (e in particolare al Punjab da dove proviene il ricorrente) è drammatico”. Nel terzo motivo, si ribadisce che il “quadro dell’attuale situazione del Pakistan”, che è stato descritto dal Tribunale, “non corrisponde a quello attuale”. Vengono richiamati, in proposito, un report di Amnesty International del 2013; una pubblicazione del Foreign and Commonwealth Office del 2015; nonchè un comunicato del Ministero degli Affari Esteri del 24 dicembre 2018, in cui si riferisce che “la situazione di sicurezza in Pakistan è condizionata dal permanere di un elevato rischio terrorismo… le forze di sicurezza pakistane sono da tempo impegnate in un’importante opera di contrasto al terrorismo, ma… la probabilità di rappresaglie da parte di organizzazioni terroristiche resta alta”.

8.- Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono inammissibili.

Gli stessi richiedono, com’è del resto evidente, un nuovo giudizio sugli elementi materiali della fattispecie, ulteriore rispetto a quello effettuato dal Tribunale milanese e di contrario segno. Una simile valutazione, tuttavia, è preclusa all’esame di questa Corte.

Non si sottrae al riscontro così compiuto il profilo del terrorismo, che il ricorrente ricava da un documento pubblicato in epoca successiva al deposito del decreto impugnato. Come emerge immediatamente (anche) dalla lettura di questo documento, infatti, sopravvenuta non è la problematica che vi è sottesa (quella appunto data dal terrorismo), ma solo la data di edizione del documento.

9.- Col quarto motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 5, comma 6 TUI, per non avere il Tribunale riconosciuto al richiedente la protezione internazionale per motivi umanitari.

Ad avviso del ricorrente, non è stato tenuto in adeguata considerazione il “buon livello di integrazione e radicamento” del richiedente, che, “durante tutto il 2018 il ricorrente si è costantemente attivato nel reperire un’attività lavorativa, che, seppur a tempo determinato, lo ha visto occupato” in diversi ambiti.

10.- Il motivo non può essere accolto.

Come ha puntualizzato la pronuncia di Cass. Sezioni Unite, 13 novembre 2019, n. 29459, il mero riscontro del livello dell’integrazione sociale raggiuta dal richiedente non è in sè elemento sufficiente a completare l’arco dei presupposti occorrenti per il riconoscimento della protezione umanitaria, dovendosi comunque tenere conto, al riguardo, della presenza di una situazione di vulnerabilità specifica alla persona del richiedente.

11.- In conclusione, il ricorso dev’essere respinto.

Stante la mancata costituzione del Ministero, non ha luogo provvedere

alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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