Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11558 del 12/05/2010
Cassazione civile sez. I, 12/05/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 12/05/2010), n.11558
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ADAMO Mario – Presidente –
Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
M.I., elettivamente domiciliato in Roma, via San
Valentino 34, presso l’avv. Vincenzo Scuderi, rappresentato e difeso
dagli avvocati Bullaro Nino, del Foro di Palermo, e Vito Passalacqua,
del Foro di Marsala, giusta procura in atti;
– ricorrente –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro
tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso
l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende per
legge;
– controricorrente –
avverso il decreto della Corte d’appello di Palermo del 17 gennaio
2007, cron. n. 163, nella causa iscritta al n. 423/06 R.G.;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
20 gennaio 2010 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò;
alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto
procuratore generale, dott. APICE Umberto che nulla ha osservato.
La Corte:
Fatto
FATTO E DIRITTO
A) rilevato che è stata depositata in cancelleria relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti, con la quale – premesso che ” M.I. adiva la Corte d’appello di Palermo, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi alla Corte dei conti, avente ad oggetto il riconoscimento di pensione privilegiata a seguito di infermità contratta durante il servizio militare di leva.
La Corte d’appello di Palermo, con decreto del 17 gennaio 2007, ha rigettato la domanda, condannando il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
La Corte territoriale ha rilevato che il processo davanti alla Corte dei conti aveva avuto una durata irragionevole, essendosi protratto oltre il periodo fisiologico.
Ha tuttavia escluso che il ritardo avesse provocato nell’istante il lamentato pregiudizio non patrimoniale, e ciò in quanto il ricorrente era ab origine consapevole della infondatezza della sua pretesa (essendo stata la domanda presentata dopo circa 24 anni dalla cessazione del servizio militare, una volta scaduto il termine quinquennale di decadenza previsto dal D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 169), e quindi non aveva risentito l’ansia ed il patema d’animo conseguenti alla pendenza del processo.
Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso M. I., affidato a tre motivi.
Ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri” – si è osservato che “Con i primi due motivi, formulati nel rispetto dell’art. 366-bis cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello escluso il riconoscimento del diritto all’equa riparazione per la piena consapevolezza in capo all’istante dell’infondatezza della domanda, pur in assenza di eccezioni e di prova da parte dell’Amministrazione convenuta. La censura è manifestamente infondata, perchè la Corte di merito ha rilevato come, costituendosi in giudizio, la Presidenza del Consiglio dei ministri avesse chiesto il rigetto del ricorso per temerarietà della domanda. In presenza di tale eccezione, ben poteva la Corte d’appello trarre dagli elementi processuali a sua disposizione – in primis, dalla decisione conclusiva del giudizio presupposto – la prova della piena consapevolezza, in capo all’istante, della infondatezza delle proprie istanze.
Il terzo motivo censura la statuizione con cui la Corte d’appello ha desunto la piena consapevolezza dell’infondatezza della pretesa dal fatto che la pretesa pensionistica del M. era stata formulata tardivamente, addirittura 24 anni dalla cessazione del servizio militare, oltre il compimento del termine di decadenza quinquennale prescritto dalla legge.
Il motivo è inammissibile, perchè le deduzioni critiche della parte ricorrente, oltre ad infrangersi contro la palese sussistenza, nel decreto impugnato, dei requisiti strutturali dell’argomentazione, si sostanziano nel ripercorrere criticamente il ragionamento decisorio svolto dal giudice a quo, sicchè incidono sull’intrinseco delle opzioni nelle quali propriamente si concreta il giudizio di merito, risultando per ciò stesso estranee all’ambito meramente estrinseco entro il quale è circoscritto il giudizio di legittimità.
Pertanto, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone presupposti di legge”;
B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione;
ritenuto che, in base alle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato e che le spese del giudizio di cassazione, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 1.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2010