Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11554 del 15/06/2020

Cassazione civile sez. I, 15/06/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 15/06/2020), n.11554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2903/2019 proposto da:

O.E.P., elettivamente domiciliato presso l’avv. Anna

Moretti, la quale lo rappres. e difende, con procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., elett.te domic.

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappres. e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 14/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/02/2020 dal Cons. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con decreto emesso il 14.12.18, il Tribunale di Milano rigettò il ricorso proposto da O.E.P. – cittadino della (OMISSIS) – avverso il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della domanda di protezione internazionale, rilevando che: non era riconoscibile la protezione internazionale in quanto il racconto del ricorrente non era credibile, presentando diverse contraddizioni, come evidenziato sia da un’inadeguata conoscenza del programma dei partiti in cui egli sostiene di aver militato, sia dal non aver sporto denuncia per il citato omicidio del collega scrutatore che sarebbe stato ucciso, sia da imprecisate vicende di omicidi di parenti attribuiti ai sostenitori di (OMISSIS); non sussistevano i presupposti della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub lett. a) e b), non emergendo dai fatti narrati dal ricorrente un grave rischio di danno alla persona o di trattamenti inumani, nè di cui alla lett. c) in quanto dalle COI esaminate non si desumeva una situazione nel paese di violenza generalizzata derivante da conflitto armato; non era riconoscibile la protezione umanitaria, sia perchè non era emersa una specifica situazione personale di vulnerabilità, ovvero un vissuto traumatico permanente causato dal transito in Libia ove il ricorrente lamenta di aver subito maltrattamenti, sia perchè la situazione che il ricorrente ritroverebbe in caso di rimpatrio paragonata con la situazione attuale in Italia – ove l’istante svolge attività lavorativa agricola a tempo determinato – non fa emergere indici di grave sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali.

O.E.P. ricorre in cassazione con tre motivi.

Il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

RITENUTO

che:

Con il primo motivo si denunzia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, avendo il Tribunale escluso i presupposti della protezione internazionale e sussidiaria, omettendo di acquisire informazioni aggiornate sulla situazione socio-politica della Nigeria.

Con il secondo motivo si denunzia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), artt. 5 e 14, per non aver il Tribunale riconosciuto la protezione sussidiaria pur desumendosi da fonti internazionali la sussistenza in Nigeria di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato riconducibile all’attività del gruppo terroristico denominato (OMISSIS).

Con il terzo motivo si denunzia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in ordine alla protezione umanitaria, nonchè insufficiente motivazione circa l’esistenza di condizioni di vulnerabilità del ricorrente, i cui presupposti erano desumibili sia dall’integrazione sociale inerente all’attività lavorativa del ricorrente, sia dalla situazione di grave pericolo per l’incolumità dei cittadini in Nigeria.

I primi due motivi – esaminabili congiuntamente poichè tra loro connessi – sono inammissibili poichè non colgono la ratio decidendi, avendo il Tribunale ritenuto l’insussistenza dei presupposti del riconoscimento della protezione internazionale e di quella sussidiaria per l’inattendibilità del racconto reso dal ricorrente, in quanto non plausibile e non dettagliato in ordine alla vicenda della paventata persecuzione per motivi di militanza in un partito.

Il ricorrente si duole, invece, del mancato esperimento dei poteri istruttori ufficiosi da parte del Tribunale al fine di accertare la situazione socio-politica della Nigeria, ovvero della violenza indiscriminata derivante da conflitto armato. Al riguardo, va osservato che nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento. In relazione alla protezione sussidiaria, essa ha ad oggetto sul piano dell’onere di allegazione tutto ciò che è contenuto nel paradigma dell’art. 14, trattandosi di norma tesa a distinguere il concetto di “danno grave” secondo i diversi profili di cui alle lett. a), b) e c). Ne consegue che, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (Cass., n. 33096/18; Cass., n. 17174/19; n. 4892/19).

Nel caso concreto, pertanto, il Tribunale ha ritenuto di respingere le domande relative alla protezione internazionale e sussidiaria, per l’inattendibilità del racconto del ricorrente, senza assumere informazioni sulla situazione della Nigeria.

Il terzo motivo è inammissibile, essendo la doglianza diretta al riesame dei fatti inerenti alla condizione di vulnerabilità del ricorrente ai fini del permesso umanitario, non essendo state allegate specifiche situazioni di vulnerabilità afferenti a seri motivi umanitari o alla violazione di diritti fondamentali. Al riguardo, si richiama l’orientamento di questa Corte – cui il collegio intende dare continuità – secondo il quale, la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass., n. 9304/19; SU, n. 29459/19).

Nel caso concreto, il ricorrente ha fatto richiamo all’attività lavorativa, che di per sè può integrare un indice d’integrazione sociale, ma non sufficiente per configurare una situazione di vulnerabilità rilevante per il riconoscimento del permesso umanitario. Invero, a tal fine, il ricorrente non ha allegato fatti afferenti alla sproporzione tra le condizioni di vita attuali del ricorrente e quelle che ritroverebbe in caso di rientro in Nigeria (v. Cass., n. 4455/18), limitandosi a richiamare genericamente la situazione socio-politica della Nigeria. Nulla per le spese, atteso che il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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